Pietro Turano su Ciro e Maria Paola: “Le parole di Imma Battaglia sono transfobiche, ci vuole rispetto”

L’episodio di transfobia denunciato da Ciro Migliore dopo la morte della sua compagna Maria Paola Gaglione, che ha perso la vita a seguito dello speronamento in moto del fratello Michele, ha acceso un forte dibattito mediatico. Imma Battaglia, chiamata in Rai a commentare l’accaduto, ha parlato di dissenso nei confronti della scelta di Ciro ‘di omologarsi a ciò che la società si aspettava lui fosse, un uomo”. Pietro Turano, attore in Skam Italia e attivista LGBT (consigliere nazionale Arcigay e VicePresidente di Arcigay Roma) ha commentato su Fanpage.it queste parole, a suo parere generate da una transfobia interiorizzata.

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L’episodio di transfobia a Caivano denunciato da Ciro Migliore dopo la morte della sua compagna Maria Paola Gaglione, che ha perso la vita a seguito dello speronamento in moto del fratello Michele, ha acceso un forte dibattito mediatico. Imma Battaglia, attivista LGBT chiamata in Rai a commentare l’accaduto, ha espresso opinioni nette sulle scelte di Ciro e sul suo modo di affrontare la sua identità di genere.

“Io non so perché mia madre a 3 anni mi ha tagliato i capelli, ma fatto sta che ho passato tutta la vita a dover spiegare che ero femmina. Vi assicuro che a un certo punto ti vengono i dubbi. Voglio dire che non ho fatto il percorso di Ciro per un fatto politico: sono nata così e nessuno mi può guardare e giudicare per dire cosa sono. Ma se fossi stata più fragile, se avessi voluto per forza trovare un posto nella società per essere accettata, sarebbe stato molto più facile diventare quelli che tutti ti dicono, un maschio. Più facile camuffarsi da maschio piuttosto che dire ‘sono nata così’. Quando mi offendevano dandomi del ‘masculone’, dicendomi che ero ‘omm’ (uomo in napoletano, ndr), e sputandomi addosso, li fissavo e rispondevo: “Guardami negli occhi, quello che sono sotto a te non deve interessare”. Una cosa di Ciro mi ha turbato: anche lei con questi tatuaggi, tentando di seguire per forza (ciò che gli altri si aspettavano lui fosse, ndr). E quando ha detto ‘Pensano che siamo due femmine, io so un omme’…’ Rivendicalo quello che sei, non uniformarti. Questa è stata la mia battaglia. Io non mi uniformo a quello che devo essere per mettere serena te. Io sono come sono e se non ti piaccio è un problema tuo e non mio, questo è.”

Parole che hanno molto colpito Pietro Turano, Filippo Sava di Skam Italia, che oltre ad essere un attore è un attivista impegnato per i diritti LGBT+ in qualità di consigliere nazionale Arcigay e VicePresidente di Arcigay Roma, ed è inoltre parte dello Staff di Gay Center, Gay Help Line e Lazio Pride. Dopo lo sfogo su Facebook, Fanpage.it ha contattato Pietro Turano per farsi spiegare bene la sua posizione.

Come nasce questo lungo post scritto dopo l’intervento di Imma Battaglia?
Partirei da un’analisi del contesto: il danno che la tv pubblica fa chiedendo un commento a tragedie legate all’omofobia e alla transfobia a persone come Gandolfini, presidente del family day, che ha costruito la sua immagine e il suo percorso proprio sulla rinnovazione dell’identità LGBT. Mi sembra assurdo che ancora sia considerato fondamentale su questi temi mettere per forza un contraddittorio. Mi prendo la responsabilità di dirti che persone come lui, per me, sono mandanti morali di questo genere di fatti, perché anche se in trasmissione dice che ogni violenza va punita e che questo genere di azioni restano criminali, comunque continua a rinnegare, e in qualche modo a rendere fertile con la campagna del family day, il clima d’odio che c’è sotto. 

E su Imma Battaglia?
Per quanto riguarda Imma Battaglia, lungi da me rinnegare il grande lavoro fatto da attiviste storiche come lei. Però, probabilmente con le sue parole ha dimostrato di essere legata a battaglie, toni e linguaggi che appartengono a un’altra epoca. Per cui lei ha portato la sua storia personale per delegittimare in qualche modo il percorso di una persona assolutamente diversa da lei e la cosa mi sembra fuorviante.

C’è una frattura interna al mondo LGBT, sostanziale e soprattutto d’opinione, tra lesbiche e trans?
Sì, ma c’è in origine, visto che la storia di Ciro e Maria Paola è stata raccontata come quella tra due donne da molti media e giornali. E dalla stessa famiglia di questa ragazza e, nello specifico, da suo fratello Michele, forse poco consapevole della vera identità di Ciro. Che fosse lesbica o trans poco gli importava. È vero esiste una frattura, per esempio associazioni come Arcilesbica già da molto tempo porta avanti delle posizioni trans escludenti e ha fatto anche delle dichiarazioni in questi giorni chiamando Ciro, Cira. E l’ha fatto in un modo pienamente consapevole perché hanno dichiarato che lei è una donna finché non porta a termine una transizione, quindi questo è un atto di violenza contro una donna. Forse anche per Michele era questo ma in realtà noi sappiamo che Ciro si definisce un uomo transessuale e questo noi lo dovremmo rispettare a prescindere.

L’impasse nella scelta tra Ciro e Cira inizialmente ha travolto anche Tg e media. Questa cosa è il corrispettivo di uno smarrimento culturale?
Assolutamente sì, infatti la battaglia della comunità trans, e in realtà di tutta la comunità LGBT, è sempre stata quella di rispettare l’autodeterminazione degli individui. Questo per evitare, in primis, che l’identità di genere sia definita solo dai genitali, dal cambio dei documenti o dagli interventi fatti, bensì dalla percezione di sé. Anche perché Ciro, ad esempio, è un ragazzo molto giovane, non sappiamo se vuole intraprendere un percorso di transizione e se se lo può permettere, quindi dovremmo rispettare semplicemente il modo in cui lui percepisce la sua identità. E questo è sicuramente un problema anche culturale, visto che spesso, a partire dai media, si assiste a una rimozione consapevole delle identità di genere che non piacciono e che risultano più scomode.

Nel tuo post hai parlato di voyeurismo e di uno sguardo morboso sull’identità di genere di Ciro. Perché?
Il dettaglio dell’identità di Ciro doveva senza dubbio essere subordinato a un solo aspetto: la violenza di tipo transfobico. Dopo di che come ci si deve rivolgere a lui dobbiamo chiederlo solo a lui, punto.

Tornando a Imma Battaglia, cosa ti ha realmente infastidito?
Quella di Imma è una storia del tutto personale, frutto di sofferenze. Molte persone lesbiche molto mascoline nella decodifica culturale collettiva vengono percepite come degli uomini mancati, così come molti ragazzi gay effemminati sono percepiti come femmine mancate. Mi rendo conto che vivono una condizione di discriminazione molto forte, non solo per il fatto di essere omosessuali ma anche perché vengono considerati un po’ come trans. Una condizione di misgendering (Riferirsi a qualcuno usando termini, pronomi o appellativi riguardanti l’originario genere genetico al posto di quello a cui la persona transgender sente di appartenere, ndr), di confusione dell’interlocutore rispetto al proprio genere, che mette seriamente in difficoltà. Però questo non autorizza queste persone a riprodurre la stessa violenza su chi è effettivamente trans e consapevole della propria identità di genere. Anzi, dovrebbe stimolare un’empatia, quindi l’atteggiamento di Imma Battaglia che rivendica il suo orgoglio lesbico mi fa pensare a una transfobia interiorizzata, soprattutto verso coloro ai quali viene diagnosticata una vera disforia di genere (Malessere percepito da un individuo che non si riconosce nel proprio sesso fenotipico o nel genere assegnatogli alla nascita, ndr).

È stata la frase “È più facile camuffarsi da maschio piuttosto che dire ‘sono nato/a così” a generare una spaccatura netta nella comunità LGBT…
In effetti, la storia della comunità trans è anche una storia recente. Prima era difficile definire anche solo la differenza tra transessualità e travestitismo. Le stesse persone trans hanno evoluto il proprio pensiero in base ai tempi che cambiavano, è una comunità attualmente in piena evoluzione. Per cui parlare di persone trans come fossero dei travestiti che si accomodano sul camuffamento è una roba inaccettabile, soprattutto da un’attivista storica, per la quale nutro una certa stima. È assurdo che abbia ragionato in base a una scelta politica, pretendendo rispetto per il percorso della sua identità di genere e poi, nello stesso intervento, non rispettando quello di un’altra persona, creando una gerarchia di percorsi, come se il suo valesse di più perché fatto in quel modo.

Forse anche il momento non era dei migliori…
Eh si, a pochi giorni dalla perdita della sua fidanzata, l’ultimo problema di Ciro Migliore è come lo chiamiamo. Esistono i suoi sentimenti e il suo dolore, per fortuna non è tutta politica.

Ma proprio politicamente, omofobia e transfobia sono state rimesse al centro.
Non parliamo mai di identità trans finché non avviene un evento drammatico come questo. Ne parliamo male e queste persone continuano così a vivere una condizione di emarginazione e discriminazione negli stessi momenti in cui si trovano a fronteggiare delle sofferenze, come individui e come comunità.

Cosa si potrebbe fare secondo te?
La prima cosa importante secondo me dovrebbe essere la formazione di chi si occupa di informazione. Poi senza dubbio di una legge che condanni gli episodi di omofobia e transfobia ma anche che fornisca strumenti per emanciparsi dalle condizioni di violenza. Penso a centri antiviolenza, case famiglia, fondi e supporto alle associazioni, il supporto legale e psicologico delle vittime, grazie ai quali si metterebbero le persone nella condizione di denunciare.

Skam ha tentato ed è riuscito a fare qualcosa per ‘normalizzare’ la tematica omosessuale tra i ragazzi. Come ci è riuscito?
Il grande lavoro del regista e sceneggiatore Ludovico Bessegato è stato nell’ascolto. È venuto al Gay center, ha conosciuto molte persone e si è commosso a sentire le loro storie. Credo che i più giovani abbiano bisogno di narrazioni diverse e di esempi positivi, perché in qualche maniera oggi le serie tv sono dei modi per decodificare la realtà, per interpretare se stessi e la realtà circostante. Offrire dei modelli positivi e raccontare che la storia di Martino e Niccolò è una storia possibile significa anche influenzare positivamente quelle persone che vivono gli anni dell’adolescenza e della formazione. Le cose si cambiano offrendo degli sguardi diversi, soprattutto in una società eteronormata come la nostra.

Tv.fanpage.it

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