Rolling Stones a Milano, lunga notte di rock’n’roll a San Siro. Omaggio a Charlie Watts

Sarà stato anche più caldo del quinto girone dell’inferno, ma a San Siro si è sentito solo il calore del rock’n’roll. Il racconto della sola data italiana della band britannica. La serata si è aperta con un video ricordo di Charlie Watts: “E’ il primo tour senza di lui”, ha detto commosso Mick Jagger. Omaggio all’Ucraina durante i bis. LA RECENSIONE

L’omaggio a Charlie Watts e poi Street Fighting Man: così i Rolling Stones si presentano a Milano. Mick Jagger, camicia fantasia tendente al nero, lo dice, commosso, dopo 19th Nervous Breakdown e Tumbling Dice che è espressamente dedicata al batterista scomparso: “E’ il nostro primo tour senza Charlie e ci manca tantissimo”. La bandana giallo fluo di Keith Richard è abbagliante soprattutto se abbinata a una camicia viola-venerdì-santo: si vede che gli Stones non sono superstiziosi. Ronnie Wood opta per un verde smeraldo. Insomma la lingua vermiglia degli Stones scorazza sul pantone dei colori.  Per come agita le braccia in Out of Time non si direbbe che mister Jagger giunga da un periodo di positività (al covid, of course): finito il tempo, lo fa tornare indietro e chiede a San Siro di cantare con lui!

Ormai Mick è in total black, d’altra parte il brano e Dead Flowers. Una ballad che Jagger alla chitarra rende quasi country, un tocco di romanticismo speciale che San Siro accoglie con dolcezza. Frigge la chitarra di Ronnie. Le stelle scendono dal cielo e si portano i mitologici Wild Horses: San Siro sembra la casa delle lucciole, migliaia di puntini brillano nelle tenebre, ma non sono i fiori del male, sono un tramonto montaliano sulla casa dei doganieri. Mick Jagger guarda il pubblico e dice: “Milano sei commossa per il caldo? Ora tocca a voi!” e parte con Can’t Always Get. Va detto che ci sono poche distrazioni sul palco: tanto rock’n’roll e gli Stones sugli schermi. Questa è l’essenza della musica, questo è il rock che non morirà mai. Emozionanti le inquadrature strette sulle mani di Richards e Woods che fanno vibrare le tribune. Il pubblico si offre come coro aggiunto e lo fa in maniera strepitosa. Ala fine di una versione estesa di Can’t Always Get…Jagger non può che urlare it’s fantastic prima di portare nella città fantasma degli Stones, la loro Ghost Town. Le immagini sono scure, tra Ridley Scott e Tim Burton, molto reali purtroppo. Poi, come all’improvviso, tutto si fa colore. Ora Mick indossa una felpa rossa con cappuccio (che usa). Ed è così che lui, Keith e Ronnie ci colpiscono con Honky Tonk Women: ora gli schermi abbandonano per qualche istante il palco per rappresentare ritmi sciamanici centro-americani, alla Frida Kahlo. Mick Jagger, dopo avere detto “che bello essere di nuovo sul palco anche se è più caldo del quinto girone dell’inferno” e avere presentato la band, si fa da parte e per due brani permette che si libri nell’aria la voce di Keith Richards: si tratta di You Got the Silver e Connection.

Ricompare l’arcobaleno Jagger con la ritmata Miss You. Anzi sembra la summa delle geometrie cromatiche che ho visto solo a Barcellona, a La Boqueria. Il pubblico è delicato nell’accompagnamento…sembra un sommesso e lieve mormorare dell’onde. La coda è lunghissima ed è un po’ la sublimazione di un mondo: a San Siro non ho visto né fuochi artificiali né immagini distraenti sui videowall, sul palco c’era semplicemente il rock’n’roll. Schitarrate d’altri tempi, quando chi faceva musica sapeva suonare davvero, ci introducono in Midnight Ramblers, che mi sento di definire il pezzo più suonato del Sixty Tour. Il finale si avvicina, ma c’è ancora un po’ di strada da condividere con gli Stones prima che la satisfaction sia completa. Il primo momento ha un titolo che è leggenda, è Start Me Up e sembra un liturgia: sul prato si accende pure un fumogeno, come fossimo alla processione della laica trinità del r’n’r. Jagger ricorda che “abbiamo fatto 55 anni fa il nostro primo concerto in Italia, grazie per essere ancora qui” e come per magia diventano in bianco e nero, un po’ perché all’epoca c’erano solo il tubo catodico e il bianco e nero, un po’ perché dopo una serata technicolor occorre coerenza per suonare e cantare Paint it Black. Il quinto girone dell’Inferno dantesco è, per gli Stones, quello che rappresenta il caldo che ci consuma, ma i lapilli vulcanici che circondano la band non hanno nulla a che fare col clima pazzo (o meglio che noi umani abbiamo fatto impazzire) ma servono a glorificare la Sympathy for the Devil…uhhhuhhh come ulula il coro. Considerata tra le 500 canzoni più belle di sempre Jumpin’ Jack Flash, quando uscì, nel 1968, fece pensare a un ritorno della band alle origini Blues: a San Siro il Blues non c’era, mi sa che è rimasto in hotel perché quello che ho percepito è un qualcosa di vicino al metal, una scossa elettrica che partendo dai polpastrelli di Keith e Ronnie ha contagiato il popolo delle pietre rotolanti. Jagger bascula al centro del palco come un druido: infinito! Le immagini di una alba africana che poi sconfinano nella frenesia 2.0 sono il biglietto da visita di Gimme Shelter che porta sul palco Chanelle, una voce portentosa ma superflua per come è stato costruito il Sixty Tour. Sugli schermi compaiono i colori dell’Ucraina e poi le immagini drammatiche della guerra, i bombardamenti e le macerie: è il modo che i Rolling Stones hanno scelto per urlare il loro stop alla guerra. Il saluto finale non poteva che essere affidato a (I can’t get no) Satisfaction, cantato all’unisono da tutto San Siro. Una serata indimenticabile con due trionfatori: gli Stones e il rock’n’roll!

LA SCALETTA

1 STREET FIGHTING MAN
2. 19TH NERVOUS BREAKDOWN
3. TUMBLING DICE
4. OUT OF TIME
5. DEAD FLOWERS
6. WILD HORSES
7. CAN’T ALWAYS GET
8. GHOST TOWN
9. HONKY TONK WOMEN
10. YOU GOT THE SILVER (voce principale Keith Richard)
11. CONNECTION (voce principale Keith Richard)
12. MISS YOU
13. MIDNIGHT RAMBLER
14. START ME UP
15. PAINT IT BLACK
16. SYMPATHY
17. JJ FLASH

18. GIMME SHELTER w/Chanelle
19. SATISFACTION


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