Daniel Day-Lewis si ritira dalla recitazione

Lo ha annunciato Variety. Il suo ultimo film, Phantom Thread, uscirà al cinema il prossimo 25 dicembre

Nel corso della sua carriera, Daniel Day-Lewis ha rilasciato pochissime interviste. Una delle più belle e recenti è stata pubblicata sul Guardian nel 2008, ed è forse quella che lo descrive con più accuratezza: Day-Lewis non è mai stato un uomo mondano, un amante della vita oltre il set. Si è sempre occupato della promozione dei suoi film, e non ha mai rilasciato dichiarazioni extra. Perché la gente, ha detto, non dovrebbe mai sapere che cosa c’è oltre il personaggio, chi è quella persona, quel viso, che compare sul grande schermo. È sempre stato misterioso e attento nel non sbilanciarsi troppo. «Non amo parlare del mio metodo», ha spiegato a Peter Stanford. «Potrebbe suonare supponente e un po’ egocentrico». I due si erano incontrati nella casa di Day-Lewis, nell’interland irlandese, per parlare de Il petroliere, il film di Paul Thomas Anderson che è valso il secondo Oscar all’attore (il primo, nel 1990, per Il mio piede sinistro; il terzo, nel 2013, per Lincoln). Era una situazione familiare, molto intima, in cui Day-Lewis è riuscito a rilassarsi. «Non saprei lavorare in città», ha confessato. Erano seduti davanti al camino, le foto del padre Cecil in bella vista, e il cielo d’Irlanda che imbruniva fuori dalla finestra.

Per i suoi ruoli, Daniel Day-Lewis si è sempre impegnato a cambiare, a diventare quel personaggio, a parlare, rispondere, a muoversi come – secondo lui e secondo il regista – sarebbe dovuto essere. È riuscito a trasformarsi. Il viso, gli occhi, le sopracciglia; anche la barba. Nel 2012, la sua voce è diventata la voce di Lincoln, ha assunto la sua musicalità, i suoi toni, la sua forza. «Mia moglie stava impazzendo», ha ricordato, alto e magro, le spalle leggermente curve, la testa bassa e un sorriso – un sorriso sghembo, enigmatico – sulle labbra. Era la sera degli Oscar, la sera della sua terza statuetta. Mai nessuno, prima di lui, ne aveva vinte così tante nella stessa categoria, nemmeno Meryl Streep. Ma è una cosa a cui Day-Lewis sembra non aver mai badato molto. Finito un film, è sempre scomparso. È ritornato alla sua casa, alle sue origini, alla sua famiglia: alla moglie, Rebecca Miller, e ai figli, Ronan e Cashel.

Ora si ritira. Per un periodo, tra il 1997 e il 2001, si era trasferito a Firenze, per lavorare come apprendista calzolaio in una bottega. È stata la pausa più lunga che si è preso dal lavoro prima di oggi. Il suo ultimo film, Phantom Thread, uscirà nei cinema il prossimo 25 dicembre. A dirigerlo, anche stavolta, Paul Thomas Anderson: forse il modo migliore per dire addio alla recitazione. Non serve, forse, ricordare i ruoli, ricordare l’iconicità di alcune battute, la assoluta credibilità di alcune interpretazioni, la potenza della sua recitazione. Non servono i titoli, i riconoscimenti; non servono nemmeno le tante parole che, negli anni, si sono spese sul “metodo”, cosiddetto, “Day-Lewis”. Bastano, forse, i ricordi – bastano le emozioni, il suo modo di essere, un po’ goffo, un po’ timido. Basta la fermezza che ha sempre avuto sul set. E ora che si ritira, basta il suo coraggio, la sua dignità, nell’aver saputo fermarsi nel momento di massimo successo.

Gianmaria Tammaro, La Stampa

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