NICCOLÒ FABI: “NELLA BELLEZZA DELLE PICCOLE COSE CʼÈ IL POTERE DI SCIOGLIERE I NOSTRI DOLORI”

Il cantautore romano pubblica “Una somma di piccole cose”, album registrato in solitaria durante due mesi di permanenza in una casa di campagna

niccolò fabiSi intitola “Una somma di piccole cose” l’album che segna il ritorno di Niccolò Fabi. Un lavoro realizzato in solitaria, durante una permanenza di un paio di mesi in una casa di campagna. Toccante, intenso ed essenziale, l’album si rifà al folk statunitense. “E’ un album che vorrei facesse da farmaco – spiega il cantautore romano a Tgcom24 -. Un lavoro da ascoltare per sciogliere le tensioni o i dolori”
Dopo l’esperienza entusiasmante e rivitalizzante del trio Fabi-Silvestri-Gazzè, mancava solo lui per il ritorno solista. E a dimostrare che quella storia ha avuto qualcosa di magico, dopo le felici uscite di Gazzè (grande successo con tanto di tour nei palazzetti) e Daniele Silvestri (un album frutto di una vera esuberanza di ispirazione), Fabi ha messo l’ultimo tassello. Quello poetico, intimista, al limite del minimale. Il cantautore è fuggito dalla città per ritirarsi in una casa della campagna laziale e trovare lì tutti gli elementi che gli servivano. Con pensieri e sentimenti da mettere subito in bella copia: niente demo da ripulire e levigare in studio. Tutti i brani sono nati praticamente in presa diretta, scritti e registrati da Niccolò sul posto, nell’arco di un breve periodo di tempo. Un progetto ben preciso a partire dalle fondamenta. “Ho messo insieme le cose in una maniera un po’ pianificata – spiega -. Sapevo che nel momento in cui sarei entrato in questa casa di campagna, mi sarebbero state stimolate delle cose in qualche modo speciale”.
Quanto è stato figlio dell’esperienza con Silvestri e Gazzè?
Tutto il lavoro con Max e Daniele non è stato un tour e basta. Quei mesi mi hanno lasciato emozioni molto forti. La standing ovation all’Arena di Verona, dopo l’esecuzione di “Costruire”, è stato un momento indimenticabile. E ho avuto conferme che il percorso fatto in vent’anni era giusto.
E così sei arrivato a un progetto coraggioso e controcorrente come questo.
Il mio obiettivo era quello di spogliare tutto. Soprattutto uno come me che non ha un linguaggio gridato, il sussurrare dà potenza. La magia è stata anche nell’aver fatto tutto da solo, persino la foto di copertina è stata scattata con un telefonino, alla mattina presto. ​Questa volta intanto che scrivevo sapevo che molte cose sarebbero state definitive. Spesso quando riascolti i provini ti rendi conto che il guadagno che le registrazioni defnitive hanno nella qualità del suono non bilancia la perdita di magia delle prime versioni.
Cosa c’è di speciale nelle piccole cose?
Mi piace riconoscere gli elementi che compongono qualcosa. C’è un piacere nel riconoscere la bellezza di ogni piccolo sorso che porta al tutto, se questo avviene le possibilità di godimento sono infinitamente più grandi. La Divina Commedia è resa così dall’insieme dei versi che la compongono, milioni di meraviglie. D’altra parte le grandi cose mi fanno un po’ paura e se una grossa difficoltà riusciamo a dividerla e gestirla un pezzo per volta, riusciamo ad affrontare più facilmente. L’unica accezione che mi piace meno tra quelle associabili alla parola piccolo è quella di modesto.
E’ stato difficile realizzare questo tipo di lavoro?
Tecnicamente è la cosa più facile che abbia mai fatto. Ma è anche vero che 25 anni fa probabilmente non sarei stato in grado di farla. Per fare stare insieme le cose con due stecchini devi sapere dove mettere le cose, quando metti tanto è anche più facile nascondere le pecche.
Credi di essere arrivato a un particolare punto di maturazione della tua carriera?
Adesso sono perfetto per esprimere quello che sono adesso. La mia voce può scivolare su alcune cose perché ho la sensazione possa essere intensa nel momento in cui viene lasciata cruda. E da un punto di vista compositivo devo dire che in una compilation shuffle di musica che mi piace, la mia verrebbe subito dopo è non che ci senta tutta questa differenza. Questa è la musica che ascolto. A me questo tipo di musica mi fa stare bene.
Se di una cosa riesci ad apprezzare ogni singolo momento, il piacere di viverla aumenta in modo esponenziale.
Questo è un album essenziale anche nella lunghezza… meno di 40 minuti, in tempi in cui altri fanno album da 20-30 pezzi…
Per gusto ho sempre ascoltato questi dischi qui, trovo che l’unità di tempo giusta e coerente per un disco sia questa. Il cd prima e poi le innovazini tecnologiche hanno fatto si che, da una parte l’eccitazione di poter mettere più musica ha fatto dire mettiamocela. E dall’altra la discografica ha detto “hai voglia, da paura! Mettiamoci un chilo e mezzo di carne al posto di un chilo”. “Ben 75 minuti di musica!” è lo slogan. Ok, ma quale? Di questa carne quanto è filetto e quanto è grasso.
E’ un album molto coerente, con un’atmosfera precisa. Era quello che volevi ottenere?
A me continua piacere l’idea di dedicare una porzione della mia giornata, anche piccola, a uno stato d’animo, a un percorso. Piuttosto dello shuffle di tutto, che utilizzo ma solo ogni tanto. Se ho un certo stato d’animo e voglio che la musica mi accompagni in quel momento, mi scelgo la musica perfertta per accompagnarmi. Un disco di 70 minuti che contiene il pezzo funky, la ballata, il pezzo sociale e quello ballabile… alla fine ce n’è sempre una sbagliata, non riesco a capire quale sia il momento per ascoltarlo. Dovrei dividerlo in base alle situazioni… ma così alla fine il disco qual è?
Un disco come “Una somma di piccole cose” cosa dovrebbe trasmettere?
Questo è un tipo di disco che, se tu lo metti, da quando inizia a quando finisce, ti dà quello di cui hai bisogno. Certo, se devi andare con quattro amici al mare con la macchina decappotabile… questo non lo metti. Ma se torni a casa, un po’ stanco, ti versi un goccio di vino, ti stendi e metti questo… magari i pesi della giornata si sciolgono un po’.
Il potere curativo della musica?
Parlando anche di alcune difficoltà, con una malinconia di fondo che a volte sconfina in qualcosa di più, può compiere anche un’operazione di un certo tipo. Come esseri umani ci dividiamo anche in quelli che in una situazione di difficoltà scelgono una musica che vada in contrasto e sia quindi di distrazione: “Non mi sento bene e metto gli Ac/Dc a palla”. Altra modalità invece è che ho un groppo in gola e metto una musica che me lo scioglie magari facendomi piangere. E dopo mi sento meglio perché mi rendo conto che il mio stato d’animo non è unico ma condiviso da altri. Io faccio parte soprattutto di questa. So che quando le persone non stanno bene, io sono molto empatico e quando mi frequentano stanno meglio.
L’ultimo brano si intitola “Vince chi molla”. E’ un elogio dell’arrendevolezza?
Detto così si può fraintendere. Il titolo è un po’ provocatorio. Questa cosa non significa rinunciare ai propri sogni e alle cose importanti. È una cosa più psicoterapeutica. Gran parte dei nostri dolori è nel non accettare la separazioni. Chiunque abbia avuto un attacco di panico sa che il modo di far passare la sensazione di stare per morire sa che non è combattere quella forza, che comunque ti schiaccerebbe. Ma lasciarsi andare, lasciarsi trasportare dalla corrente ed essere depositati sulla spiaggia.

Tgcom24

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