Arbore: «“L’altra domenica” ruppe gli schemi. Le Br chiamavano ma trovavano le linee occupate»

Il primo passo della rivoluzione fu un licenziamento in tronco. Renzo Arbore, 83 anni, lo ricorda così: «“Canzonissima” 1971, serata finale. Conduttori, Corrado e Raffaella Carrà. Gianni Boncompagni ed io, da Firenze presentammo lo Scarpantibus, star radiofonica di “Alto gradimento”. L’uccellaccio urlatore animato da Giorgio Bracardi usciva da una cassa sgangherata, tra i rotoli di carta igienica. Nessuno l’aveva mai visto. Ma piaceva ai ragazzi. L’idea andò di traverso ai vertici Rai. Sentenza: tutto bene, tranne quei due. Per cinque anni fummo cancellati».

Il riscatto il 28 marzo 1976: debutta «L’altra domenica».
«Erano i tempi della riforma Rai. Nasceva Rai2 e il direttore Massimo Fichera mi interpellò. Avevo un format bell’e pronto, proposto qualche anno prima a un concorso Rai dove mi avevano bocciato. Un tg dello spettacolo: io al posto di Mario Pastore, il giornalista che conduceva il notiziario della Rete. Fichera diede l’ok. Insieme a Ugo Porcelli iniziai a razzolare nell’inconsueto, come si diceva allora».

Nacque il primo contenitore della tv…
«Volevamo divertire, informare, incidere. Sposavamo lo spirito di “Alto Gradimento” e il rigore delle scelte musicali di “Bandiera gialla” con la formula del rotocalco».
Sono passati 45 anni: domenica 28 marzo Rai Storia ricorderà «la più innovativa delle trasmissioni Rai» con un’antologia di dieci ore, dalle 14 alle 24. Presenta, chiosa e commenta lo stesso Arbore.

Spettacolo e sport. Lei e Maurizio Barendson.
«“L’altra domenica” era una maratona per un pubblico scetato. Sveglio, come si dice a Napoli. All’inizio, un riempitivo dello sport. Poi le sezioni furono separate e il programma sfondò. Tanto che nell’autunno di quell’anno Rai1 varò “Domenica in”, il varietà della rete ammiraglia».

Subito cambio di marcia.
«Volevamo rompere gli schemi tradizionali. Creammo le primogeniture e proponemmo il valletto muto Andy Luotto, un cugino italo-americano che sapeva dire solo: buono e no buono. Luotto era contrapposto alle ragazze parlanti, le inviate: Milly Carlucci, Isabella Rossellini, Silvia Annichiarico, Mimma Nocelli, Françoise Riviere. Completavano la redazione Michel Pergolani, Fabrizio Zampa e il fantasista Gianni Minà».

Più donne che uomini. Profetico.
«Frequentavo le femministe in via del Governo Vecchio, a Roma, con Mariangela Melato, la mia fidanzata. Mi chiedevo: come fanno a tollerare le vallette che aprono le buste ma non dicono una parola?».

Poi ci fu il 3139, il telefono a disposizione del pubblico.
«Alla radio c’era Chiamate Roma 3131. In tv, niente. Il telefono era ritenuto pericoloso. Aprimmo l’epoca del: da dove chiama? Lanciavamo sciarade, rebus, enigmi. Inventammo il cruciverbone».

Qualche problema ci fu.
«Erano gli anni di piombo. Più che le parolacce temevamo le telefonate dei terroristi. Andai dal direttore Andrea Barbato e chiesi: se chiamano le Brigate rosse, che faccio? Lui: non riattaccare, lasciali parlare. Non capitò, ma…».

Ma…
«Qualche anno fa venne a casa mia un fotografo francese per un servizio artistico (mai uscito). La sua assistente mi avvicinò: mi riconosci? Sono Adriana Faranda. Ricordai i timori di allora. Lei mi rivelò che più volte le Br avevano pensato di chiamare. Ma le linee erano sempre occupate».

Quale fu l’effetto delle Sorelle Bandiera, il primo gruppo «en travesti» della televisione?
«Dirompente. Allora non si osava. Ma Tito Le Duc, Neil Hansen e Mauro Bronchi piacquero subito ed entrarono nella Hit Parade con “Fatti più in là” che diventò uno slogan anche politico».

Di politica si parlava nei cartoon di Guido Manuli e Maurizio Nichetti nello spazio Gasad (Gruppi A Sinistra dell’Altra Domenica)?
«Mettevamo uno di fronte all’altro Craxi e Forlani. Papa Wojtyla giocava a tennis con Panatta e vinceva per intercessione dello Spirito Santo. Nessuno protestò, a eccezione dei socialisti quando ironizzammo su una riunificazione con il Pci. I guai veri vennero anni dopo con le minacce islamiche a Andy Luotto che faceva l’arabo a “Quelli della notte”».

Secondo un sondaggio tra i critici, «L’altra domenica» è il programma più rivoluzionario della tv italiana dopo «Il Fatto» di Enzo Biagi.
«Cercavamo di divertire il pubblico in un momento in cui, ahimè, c’era poco da sorridere. Facevamo goliardia buona, alto e basso. Marenco era il nostro campione».

Racconti.
«Mario è stato un grande umorista. Lo mandavamo sul Tevere e lui raccontava di aver trovato il moncherino di Muzio Scevola. Era così bravo che Fellini volle fargli un provino per “La città delle donne”».

Gli scoop furono tanti.
«Per la prima volta vedemmo Michael Jackson in tv: un bambino. Debuttarono da noi Vasco Rossi, che mi fu presentato come il nuovo Battisti, Pino Daniele e Paolo Conte».

Il sipario calò il 27 maggio 1979. Puntata speciale.
«Avevamo tutti voglia di cambiare. Le Sorelle Bandiera fecero in tempo a girare un film, “L’importante è non farsi notar”, presto dimenticato. Più tardi arrivò “Il pap’occhio”, che invece fu un successo».

La giornata di Renzo Arbore durante il lockdown?
«Sto in casa. Mi sono appena vaccinato. Lo scorso anno ho avuto la broncopolmonite e adesso vado cauto. Ho un canale su YouTube, renzoarborechannel.tv. Internet è una miniera di sapere. Ho la fissa di insegnare ai giovani the fondamentals, i fondamentali. Dico, ci si può dire umoristi senza conoscere il sarchiapone di Walter Chiari?».

«L’altra domenica» è la trasmissione che le assomiglia di più?
«Ho dato il meglio di me stesso per l’altra radio, l’altra musica, l’altro cinema. Fare anche l’altra tv era nell’ordine naturale delle cose, no?».

Paolo Baldini, Corriere.it

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