Matteo Renzi e Lucio Presta raccontano la loro docu-serie su Firenze

Campo lungo. Uffizi. Matteo Renzi, completo blu scuro, camicia bianca, guarda fuori dalla finestra che affaccia su via dei Georgofili, e parla di mafia, dell’ attentato del 1993: «La mafia capisce allora che l’ identità italiana va disintegrata anche nei suoi simboli culturali, come faranno anni dopo i talebani con i Budda». Perché in questo viaggio nelle bellezze fiorentine voluto da Lucio Presta è un continuo fluire tra passato e presente.

Tra storia e attualità. «E nel tempo delle fake news, della propaganda e della disinformazione offriamo una occasione per riflettere», dice Renzi che però avverte: «Non è che parliamo di politica». Almeno non proprio. «Ma per esempio ricordiamo la storia della elettrice palatina, l’ultima dei Medici, Anna Maria Luisa, la donna che capisce cosa deve essere Firenze e la salva. Mentre le altre famiglie svendono le opere e i quadri, lei cede il potere ai Lorena a condizione che tutto il patrimonio artistico venga tenuto nella capitale, Firenze, «per ornamento dello Stato, per utilità del pubblico, per attirare curiosità dei forestieri».«Una politica vera», commenta Renzi. «E per me il vero capolavoro degli Uffizi è proprio questo legato di famiglia, firmato il 31 ottobre del 1737, dalla donna più importante di Firenze che guarda lontano, e parla di Stato». «La bellezza come antidoto alla barbarie che vediamo», dice Renzi per poi riprendere subito i panni di Cicerone in questa speciale visita agli Uffizi a cui partecipa anche il premier del Lussemburgo, Xavier Bettel, insieme al marito, di passaggio in città, suoi grandi amici.

Un giorno sul set. Davanti alle telecamere si trova molto a suo agio («guarda nella camera giusta come spesso professionisti consumati non riescono a fare», dice un cameramen). Scherza con la troupe di 30 persone che lavora senza sosta dall’ alba a notte fonda per catturare ogni magia di questa città. E il copione rimane li, sul trespolo, perché si procede a braccio.

Ci tiene a spiegare perché ha voluto calarsi nei panni dello showman, ma guai a chiamarlo divulgatore: «Non sono Alberto Angela, lui è molto meglio di me». Alza le spalle quando gli si chiede delle critiche ricevute. «Firenze è una passione personale, e il mio sogno era raccontarla e la possibilità di rivolgermi a un pubblico internazionale mi piace da impazzire. Io i grandi, quando potevo, li portavo qua. Dalla Merkel a Netanyahu, a Shinzo Abe. Lo considero un servizio poi se vogliono polemizzare che facciano pure».

Ben più preoccupato di non far sapere alla moglie Agnese che oggi ha mangiato focaccia e non il beverone. «Mi ha messo a dieta». Renzi è un fiume in piena quando parla della sua città: «Questo incredibile vulcano di arte, bellezza, e polemiche, visto che i fiorentini litigano su tutto, è pieno di emozioni e di insegnamenti anche per l’ oggi.

Se Firenze non avesse scommesso sulla mondializzazione, la globalizzazione ante litteram non sarebbe mai diventata Firenze, sarebbe rimasta una città piccola e cupa. E in tutto questo ci sono dei messaggi per oggi, il primo fra tutti è quello della necessità di aprirsi al mondo e non avere paura, quindi no al protezionismo».

Il viaggio nella città. Non immaginatevi un viaggio didascalico: c’ è il cibo, il vino, parliamo anche di mafia e terrorismo, il calcio storico e l’astronomia con Galileo, la medicina con l’ istituto degli Innocenti.

«Firenze – racconta Renzi – diventa grande quando raccoglie i trovatelli, i bambini abbandonati, altro che bambini separati dalle madri ai confini del Messico, altro che i minori non accompagnati. E poi c’è l’ istituto degli Innocenti dove si capisce che si deve investire sulla pediatria e sui vaccini. E chi mettono i fiorentini a costruire l’ istituto degli innocenti, cioè il luogo degli ultimi? Brunelleschi. Lo stesso che mettono a fare la cupola del Duomo. Perché questo è Firenze».

Il documentario. Un programma «pop», lo definisce Lucio Presta, «dove Matteo racconta la sua Firenze, i luoghi in cui è cresciuto e dove poi ha portato i grandi del mondo. È la città raccontata da “dentro”, con un ritmo veloce che niente ha a che vedere con la divulgazione». Presta spiega anche come la trattativa con Mediaset sia ancora in piedi: «Non è una questione di soldi, ma di programmazione. Queste puntate, 8, sono state pensate per la seconda serata mentre Mediaset vorrebbe lanciarle in prima». Mediaset avrebbe anche il 25 per cento dei diritti esteri. Puntate che saranno comprate dai maggiori network internazionali, dall’Europa agli States passando per i paesi arabi. E Renzi ne ha parlato anche con Barack Obama, nella sua nuova veste di produttore, quando si sono incontrati ad Arlington, il cimitero degli eroi Usa per le celebrazioni dei 50 anni dall’ assassinio di Bob Kennedy. Ma su questa indiscrezione nessun commento

«Continuiamo a parlare del programma?». Certo. «Se anche un solo telespettatore rimarrà colpito e si farà delle domande guardando questo racconto allora il risultato è raggiunto». In ogni puntata una citazione di Dante. Nell’ultima, alle Cascine: «Fatti non foste a viver come bruti». Ogni riferimento non è puramente casuale.

Maria Corbi, La Stampa

Torna in alto