Harvey Keitel: «Io, il cinema e gli amici. Così da giovane ho conosciuto Scorsese e De Niro ed è nato Mr Wolf»

Harvey Keitel, 82 anni, parla a bassa voce, centellina le parole, le soppesa. È stanco per i due voli che ha dovuto prendere da Los Angeles ma è gentile, disponibile a rievocare la sua straordinaria vita per il cinema. È presidente onorario del Filming Italy Sardegna Festival ideato e diretto da Tiziana Rocca che si apre mercoledì.

Piacere, mister Wolf…

Ride: «Quella frase, Sono il signor Wolf e risolvo problemi, fu una trovata geniale di Tarantino in Pulp Fiction. È diventata una sorta di suo autografo, un tormentone, la gente si è divertita molto».

I suoi personaggi sono nevrotici, violenti, inquieti.

«Gli attori devono avere affinità col personaggio, devono credere in lui, l’obiettivo è che sia vicino alla vita reale. Mi sono capitate brave persone che fanno cose cattive e viceversa, il cinema tira fuori la complessità della vita».

In «Thelma & Louise» però lei interpreta un poliziotto buono e basta.

«Nel film di Ridley Scott molte donne si possono riconoscere. Susan Sarandon e Geena Davis misero il cuore, era fantastico vederle recitare. È stato scritto da una donna Callie Khouri. In quel mondo maschilista di abusi, ha tratteggiato il poliziotto che simpatizza con le due fuggiasche, simbolo di libertà. Ha avuto successo perché ha rappresentato con profondità e delicatezza la natura del genere maschile e femminile».

Lei, Martin Scorsese, Robert De Niro, avete cominciato tutti insieme.

«Eravamo molto giovani. Martin stava cercando giovani attori disposti a recitare gratis, perciò girava solo nel week-end visto che per sopravvivere facevamo vari lavoretti, camerieri, lavapiatti… Era il suo primo film, Chi sta bussando alla mia porta. Era il 1967, io avevo 28 anni».

Come ottenne la parte?

«Al provino finale Martin mi dice di andare in fondo a un corridoio, in una stanza buia e vuota con un tizio seduto. Lo saluto, quello mi risponde bruscamente, c’è una mezza litigata, ci mandiamo a quel paese. Si sente una voce: stop. Era Martin che mi dice, questa era un’improvvisazione. Gli rispondo che sarebbe stata una buona idea se me lo avesse detto prima».

E come conobbe De Niro?

«Eravamo entrambi all’Actor’s Studio, non sapevo niente di lui ma ho pensato subito che fosse un attore incredibile. Eravamo nell’atrio fuori dalle aule, ci presentò l’attrice Mary Anisi. Ciao, ciao. Ci guardammo e esclamammo: eh ah, oh. Nessuna parola, solo grugniti che poi si trasformarono in smorfie. Cominciammo a ridere. Poi ci siamo ritrovati in Mean Streets e Taxi Driver di Scorsese».

Cos’è Hollywood per lei?

«Hollywood rappresenta una valida cultura in sé stessa, non solo per l’America, ha prodotto film che amo. Però va reinventata. Io venivo da esperienze teatrali a New York, non è stato facile capire certi meccanismi».

Come andò con «Apocalypse Now» di Coppola?

«È una lunga storia, avevo un rapporto amichevole con Coppola, poi la sua società mi disse di firmare un contratto con cui sarei stato sotto controllo da 3 a 5 anni. Mi sono opposto e mi hanno detto: o firmi o sei licenziato. Così abbandonai il progetto».

Lei è uno dei pochi attori che ha recitato nudo.

«Fatemi chiarire questo punto, gli attori non sono spogliarellisti, raccontiamo una storia al meglio della nostra abilità e coscienza. Se il nudo è giustificato, ci sta».

«Youth» di Sorrentino?

«La malinconia dell’età e il rimpianto della giovinezza. Sono grato di averla avuta, e dei miei amici di Brooklyn. Non sono grato della morte che prima o poi approccerò».

Ha da poco girato un film per Davide Ferrario?

«Sono il governatore inglese di Malta realmente vissuto, Hunter Blair, quando l’isola era sotto il protettorato britannico. Un tipo indeciso, non sa come venire fuori dai moti indipendentisti. Blood on the Crown racconta i moti di Malta del 7 giugno 1919, giorno in cui festeggiano la libertà dagli inglesi».

Valerio Cappelli, corriere.it

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