Michele Mari: il mio “Visconte” che piacque a Italo Calvino

Lo scrittore ha scelto di pubblicare per la prima volta integralmente le sue storie a fumetti, tra cui gli adattamenti che realizzò giovanissimo di classici della letteratura come “L’Orlando furioso” e “I sepolcri”. Attenzione però: saranno stampate solo le copie che verranno ordinate entro fine agosto, con la promessa di non effettuare nessuna ristampa. Insomma: comprateli ora o mai più

Caro Michele Mari,
ho guardato con gran divertimento il fumetto del Visconte. Il tuo modo di raccontare per immagini è pieno di trovate visive molto spiritose ed efficaci. Mi piace molto la composizione della pagina. Il disegno lo trovo un po’ duro, ma quello è il tuo stile, e certo serve bene al contrasto del bianco e nero. Anche la “sonorizzazione” fumettistica mi diverte molto.
Mi rallegro molto del tuo lavoro e ti ringrazio.
Italo Calvino

Dopo una simile benedizione valeva la pena di farci una carriera. E invece no. Michele Mari a un certo punto interrompe: “Non avevo più tempo”, dice, “finché si trattava delle scuole medie o del liceo mi ci potevo dedicare perché, senza troppi sforzi andavo bene”. Ora però i suoi fumetti vengono proposti ai lettori, raccolti e pubblicati da Nero edizioni. Ma torniamo a quando tutto iniziò.

Come è nata l’idea di pubblicare i suoi fumetti?
“Molto per caso: sono stato contattato per fare una prefazione a un volume di un altro autore e a un certo punto è venuto fuori che da giovane ne avevo fatti alcuni, così mi hanno chiesto di vederli”.

Quando è nata questa passione?
“Da sempre. Ricordo che andavo a comperare gli albi di Nembo Kid, L’uomo mascherato e così via non appena avevo una mancettina. Non sono mai stato invece un consumatore abituale di Topolino. Mi piacevano solo i classici di Carl Barks o cose come Paperepopea, Paperineide…”.

Le grandi storie dei paperi legate alla letteratura insomma…
“Mi piaceva l’aspetto narrativo, infatti non ho mai amato le strisce che hanno un respiro asfittico. Anche i Peanuts: per me dopo un po’ stufano. Io preferisco sempre la storia, sia pure a puntate”.

Poi c’era invece il versante del fumetto più colto, quello di Linus.
“Ricordo esattamente quando uscì: era la primavera del ’65. Quando mio padre andava in edicola, lo potevo vedere dalla finestra di casa. Allora leggeva Il giorno e io aspettavo con ansia il giorno in cui avrebbe portato a casa il supplemento per ragazzi: usciva il giovedì. C’erano Cocco Bill, Flash Gordon, Rip Kirby e altre cose. Un giorno, mentre dalla finestra che dava sui giardinetti di Piazzale Baracca a Milano io lo sorvegliavo avido, vedo che sottobraccio oltre al giornale ha un album verdastro. Era il numero uno di Linus. Lui li leggeva e me li passava: divenne un’abitudine, tanto che potrei dire che probabilmente il primo testo che abbiamo condiviso è stato Linus”.

Quali erano i suoi eroi preferiti?
“Mi innamorai subito di Dick Tracy perché aveva queste vignettine molto maniacali, molto tecniche con quegli oggetti già da 007: orologi, trasmittenti. Era molto analitico: c’erano le mappe, le tubature sotterranee tutte in sezione. E poi quella galleria di personaggi eccezionali: sadici, psicotici, deformi, veri mostri umani cattivissimi, ognuno con il suo tic. Quel tipo di disegno mi piaceva moltissimo ed è anche il motivo per cui ho letto tutti, uno dopo l’altro i Tintin di Hergé”.

La linea chiara insomma.
“Sì, amavo quella pulizia del tratto, la ricostruzione degli ambienti, le macchine anni ’30, gli interni, le decorazioni dei vasi, gli arazzi: c’era una evidente conoscenza della storia dell’arte da parte dell’autore”.

Non l’ha mai turbata la parte stigmatizzata dal “politically correct”: presunto razzismo attraverso rappresentazioni caricaturali di alcuni personaggi?
“No, io su questo sono sempre stato piuttosto impermeabile. Da piccolo poi queste cose non le recepivo minimamente”.

E il sesso?
“Tra i fumetti più popolari ero appassionato del Satanik di Magnus di cui avevo “preso in prestito” alcuni numeri quando avevo otto anni dal figlio quindicenne della donna di servizio che passava con noi l’estate”.

Quale è stata invece la prima storia che ha disegnato?
“Proprio quella che dà il titolo al volume: La morte attende vittime, che ho fatto quando avevo dieci anni, nel 1966. Poi nel ’71 Uno studio in rosso di Conan Doyle, nel ’72 Il visconte dimezzato, nel ’75 I sepolcri e subito dopo L’Orlando Furioso. Ce ne sono anche molte non finite. E comunque, a parte la prima, tutte le altre sono sceneggiature da testi letterari”.

Mai pensato di farlo per lavoro?
“No, perché ci sono molte cose che non so fare: le figure femminili per esempio. Nel tempo mi è spiaciuto di non aver continuato. Sono tornato a disegnare solo in occasione di Filologia dell’anfibio che riuscirà a settembre e in quell’occasione mi ero accorto che risentivo della mancanza di allenamento. L’ultimo disegno che ho fatto doveva finire in Di bestia in bestia ma poi non andò così e si può trovare nei disegni sparsi in questa raccolta. Comunque sicuramente se non avessi scritto avrei provato a disegnare seriamente”.

C’è qualcuno tra gli artisti italiani che le piace?
“Mi piace Bacilieri: il suo graphic novel su Salgari è molto bello. E tra gli stranieri Burns, Cloves e Crumb, che per me ha un segno fantastico”.

Come andò la storia della lettera che le mandò Calvino?
“Quando disegnai il Visconte, Rosellina Archinto, che era l’editrice di mia mamma (Iela Mari, famosa illustratrice, ndr), senza dirmi nulla si fece dare da mia madre i miei disegni originali e li spedì a Calvino, il quale mi scrisse poco dopo questa lettera”.

Fu felice della risposta?
“Dopo sì, all’inizio ero furente”.

Come mai?
“Perché mi arrivò questo pacco con dentro i miei disegni originali che erano stati affidati alle poste senza che io ne sapessi nulla. Io ero convinto che fossero al sicuro in uno scaffale della mia libreria. Poi vidi la lettera e mi ammorbidii”.

Qual è la maggior differenza tra il testo originale e le sue storie?
“Un’interpretazione molto sintetica direi, che passa attraverso la grafica, utilizzando, a volte, giochi e voluti anacronismi. E una certa ironia”.

 

C’è un solo modo per comprare questo libro

Michele Mari è l’unico autore che adoro che ho conosciuto per caso. Non sapevo chi fosse ma in libreria, nei primi anni Duemila, ho visto un suo libro che si intitolava La stiva e l’abisso e l’ho comprato. Da allora sono un suo devoto lettore. Un anno fa l’ho chiamato per scrivere una prefazione per un libro della casa editrice Coconino ma sapevo anche che lui stesso aveva fatto dei fumetti e così, parlandone, ci è venuta l’idea di pubblicarli.

Il suo libro uscirà con “Prima o Mai”, un metodo di pubblicazione che si basa su un periodo di preordine di un paio di mesi, alla chiusura del quale si stampano solo le copie vendute e si inviano agli acquirenti con la promessa di non ristampare mai più. In questo modo i guadagni sono assicurati in anticipo e non ci sono resi.

Il primo esperimento l’ho fatto con un mio libro, Le ragazzine stanno perdendo il controllo, di cui ho venduto 1.100 copie in un mese: era quello che di solito vendevo in due anni. Inoltre il metodo aveva ricevuto molta attenzione perché questa cosa ricattatoria e inesorabile del “mai più” attrae e sgomenta.

Dopo abbiamo fatto altri tre libri e un serie animata e sono sempre andati benissimo. Così ho stretto un patto con un’altra casa editrice, Nero, che conosco da tanto e che ha la mentalità perfetta per lavorare a progetti molto particolari e gestirà con me anche tutte le prossime uscite: oltre a libri produrremo anche cose davvero bizzarre.

La morte attende vittime era perfetto per un metodo simile perché è proprio un tesoro nascosto e anche a Mari questa idea è piaciuta subito. L’unica modo per comprarlo è andare su www.primaomai.com. Lì c’è tutto spiegato nei dettagli. È in vendita fino al 29 agosto.

Luca Valtorta e Ratigher, La Repubblica.it

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