«Big Bang Theory» che insegna a «Game of Thrones» come concludere una serie

Chiudono a tre giorni di distanza l’una dall’altra due delle serie più popolari degli ultimi dieci anni. Il pubblico, però, sembra unanime: Sheldon ha centrato l’obiettivo, Daenerys no. Ecco perché

La parola «fine» non piace a nessuno. Soprattutto agli sceneggiatori che, presto o tardi, si vedono costretti a concludere la storia a cui hanno lavorato per anni con un sentimento che va dalla liberazione all’amarezza. Succede con le saghe al cinema ma, ancora di più, con le serie tv che, molto spesso, si trascinano stanche verso obiettivi ormai opachi, deformate dalla lente del tempo e da derive a cui gli stessi autori guardano con tenerezza. A tre giorni di distanza l’una dall’altra, il 2019 saluta due delle serie di maggior successo dell’ultimo decennio: Big Bang Theory, la sit-com della CBS che chiude dopo dodici stagioni, e Game of Thrones, la serie più vista di Hbo che termina la sua corsa dopo otto anni.

Due prodotti molto diversi, ma capaci di plasmare un immaginario tutto loro, al punto da diventare un brand riconoscibile che rivedremo negli anni a venire. Entrambe le serie, infatti, hanno già conquistato una «prolunga» del proprio essere attraverso due spin-off: The Young Sheldon, in onda dal 2017, e il prequel di Game of Thrones scritto da George R.R. Martin e Jane Goldman e con Naomi Watts e Miranda Richardson fra le protagoniste. Il momento della fine, però, arriva a metà del mese di maggio, più precisamente il 16 per la banda di Sheldon e il 19 per gli avventurieri di Westeros. Il pubblico li aspetta, nutre delle aspettative ed è pronto a dire la sua. Mai come in questo caso, però, i due finali dividono in maniera quasi unanime gli spettatori, con un pensiero che può facilmente essere riassunto così: Big Bang Theory ha fatto centro e Game of Thrones no.

Alla sit-com dei record, che al gran finale tieni incollati 18 milioni di americani con un rating del 3.1, va il merito di aver chiuso la storia in maniera coerente, bilanciata, senza sbavature. Le trovate – soprattutto l’ascensore riparato e l’ospitata a sorpresa di Sarah Michelle Gellar – funzionano. Così come funziona il gruppo di amici riunito attorno al tavolo a mangiare sulle note della sigla cantata dai Barenaked Ladies in versione acustica.
Decisamente agli antipodi con il finale di Game of Thrones che, complice la fine troppo frettolosa di un personaggio e la risoluzione di una questione di vitale importanza senza la minima enfasi, interrompe la sua corsa senza arte né parte, con l’amara consapevolezza che qualcuno dei protagonisti avrebbe meritato qualcosa in più. Se c’è una lezione che Big Bang Theory può insegnare a quelli del trono di spade è, infatti, quella di concentrarsi sui caratteri, seguirli per mano fino alla fine e far sì che il pubblico possa spegnere la televisione con una certa soddisfazione. Proprio quello a Game of Thrones è mancato e che molti fan si aspettano di trovare nel prequel.

Mario Manca. Vanity Fair

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