“QUANTO ERA BELLO GARKO”. LA PM DEL CROLLO DI SANREMO PUNITA PER LE FRASI SUI SOCIAL

Il procuratore di Imperia toglie l’inchiesta alla magistrata. Procedimento disciplinare del Csm: “Doveva contenersi”

bresciL’onore e il rispetto, in questo caso della toga. Proprio le prime due parole, che compongono il titolo di una celebre fiction di cui è stato protagonista il suo beniamino, rischiano di costare caro a un pubblico ministero della procura di Imperia, Barbara Bresci. Contro di lei è stato aperto un procedimento dalla sezione disciplinare del Csm, originato dai post che il magistrato aveva pubblicato sul suo profilo Facebook e che riguardavano Gabriel Garko. Bresci è sicuramente una fan dell’attore nonché volto dell’ultimo Festival della Canzone, ma è stata anche il pm titolare dell’inchiesta sull’esplosione della villetta di Sanremo, avvenuta il primo febbraio, nella quale l’artista alloggiava. Nella deflagrazione provocata da una fuga di gas perse la vita l’anziana proprietaria e Garko riportò lievi ferite nonostante il violentissimo spostamento d’aria. Il pm Bresci partecipò al sopralluogo nel villino e nei giorni successivi ebbe il compito di far luce sull’episodio. In quelle ore Garko era persona coinvolta (testimone/parte offesa) nell’indagine. Questo non avrebbe però impedito a Barbara Bresci di parlare pubblicamente di lui sulla sua pagina Facebook. “Era bello? L’hai guardato anche per me?” chiede un’amica. E Bresci: “Eccome…”. Un’altra: “ti sei rifatta gli occhi?” E di nuovo la risposta è positiva “Sì”. Seguono altri scambi analoghi conclusi da un uomo: “Si calmi dottoressa….”. E ne avrebbe anche preso le difese con un appassionato intervento quando sui media si diffuse l’immancabile gossip sull’omosessualità – negata dall’interessato – di Garko. Le attenzioni “social” – oggi rimosse dalla pagina – del magistrato per l’attore ebbero una discreta diffusione nel circondario provinciale. E visto che erano i giorni del Festival, se ne accorsero anche persone che lavoravano all’organizzazione della manifestazione canora, che segnalarono la circostanza alle autorità. Il procuratore capo Giuseppa Geremia, ritenendo inopportune le esternazioni della collega per questioni attinenti al decoro e all’equilibrio della professione nonché potenzialmente dannose per il “prestigio dell’istituzione giudiziaria”, convocò la collega comunicandole che il fascicolo dell’inchiesta sull’esplosione le era stato tolto e affidato al procuratore aggiunto Maria Grazia Pradella, da pochi mesi a Imperia. La Bresci non accettò la decisione del capo dell’ufficio ritenendo un suo diritto poter esprimere opinioni che non avevano attinenza con l’indagine, e presentò, come le è consentito, un ricorso per riottenere l’inchiesta, sostenuta nell’azione dal collega pm Roberto Cavallone. Ma il meccanismo che si è messo in moto non ha giovato alla posizione della pm. Ai primi di marzo la Sezione Disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura ha aperto un procedimento nei suoi confronti. Il “processo” stabilirà se abbia violato l’obbligo di “continenza”, uno dei doveri del magistrato o se invece abbia esercitato legittimamente un proprio diritto. Va detto che il rapporto tra i magistrati e i social è sovente causa di imbarazzi. Nel 2012 il capo dei gip di Palermo Cesare Vincenti invitò formalmente i colleghi ad usare in modo opportuno Facebook. Per quanto riguarda Imperia, il caso Bresci arriva in un momento assai delicato per la procura. Anche un altro pm, Cavallone è infatti oggetto di un’azione disciplinare davanti al Csm per una serie di comportamenti ritenuti potenzialmente in conflitto e riguardanti una causa civile da lui avviata nei confronti di un legale sanremese per presunte ingiurie. L’avvocato era stato però oggetto di indagini (poi archiviate) da parte dello stesso pm e assisteva clienti in fascicoli dello stesso Cavallone. Infine, in un’inchiesta dei pm torinesi, è indagato, assieme ad un alto ufficiale dei carabinieri, il marito del procuratore Geremia. Il caso è relativo alla patente dell’uomo, che avrebbe dovuto essere sequestrata per un’infrazione stradale e invece gli venne restituita dai militari.

MARCO PREVE, Repubblica

Torna in alto