Luigi Tenco, 85 anni fa nasceva il grande cantautore italiano: la sua storia

L’artista è nato a Cassine, in Piemonte, il 21 marzo 1938. Cresciuto a Genova, è qui che ha scoperto la passione per la musica. Si è poi trasferito a Milano e a Roma, incidendo tre album prima di morire. La sua ultima esibizione è stata il 26 gennaio 1967 a Sanremo: nella notte, contrariato per l’eliminazione, secondo la versione ufficiale si è sparato un colpo di pistola in testa. Restano un centinaio di suoi brani, alcuni pubblicati postumi: canzoni senza tempo, che hanno lasciato un segno nella musica italiana

Quando si parla di Luigi Tenco spesso si parte dalla fine, da quel 27 gennaio del 1967 in cui è morto – ufficialmente suicida – nella sua camera d’albergo a Sanremo. Ma Tenco è molto più di quella pallottola. È uno dei migliori cantautori italiani di sempre. E oggi, 21 marzo 2023, avrebbe compiuto 85 anni. Per questo, per una volta, per raccontarlo vogliamo partire dall’inizio. Dalla sua infanzia senza padre, dalle origini della sua passione per la musica. Ripercorrendo una carriera nata a Genova e proseguita a Milano e Roma, tra censure e successi. Per arrivare ai tre album in studio pubblicati prima dell’ultima esibizione, quella a Sanremo. E al segno profondo che ha lasciato nella musica italiana.

L’INFANZIA

Luigi Tenco è nato a Cassine, in provincia di Alessandria, il 21 marzo 1938. Sua madre, Teresa Zoccola, si era da poco separata dal marito e lavorava come cameriera per i Micca, una famiglia benestante di Torino, quando è rimasta incinta. Secondo alcuni, il padre biologico di Tenco era un componente di casa Micca: il capofamiglia Carlo o il figlio sedicenne Ferdinando. Ma l’identità dell’uomo non è mai stata rivelata. Scoperta la gravidanza, Teresa Zoccola è tornata nel paese dove viveva prima di separarsi, Cassine: qui ha dato alla luce il suo secondo figlio. Il bambino ha preso il cognome del marito della madre, Giuseppe Tenco, morto in un incidente sul lavoro qualche mese prima che lui nascesse. Luigi Tenco ha così trascorso la sua infanzia tra Cassine, Maranzana e Ricaldone, i paesi d’origine della mamma e dei nonni. Poi, qualche anno dopo, il ragazzo e i nonni paterni hanno scoperto che Giuseppe Tenco non era il vero padre. Una notizia che ha sconvolto il giovane. A dieci anni, insieme alla mamma e al fratello Valentino, si è trasferito a Genova. Dopo le scuole medie si è iscritto al liceo Classico, ma alla fine si è diplomato da privatista allo Scientifico.

LA PASSIONE PER LA MUSICA

Proprio poco prima della fine del liceo, nel periodo delle ripetizioni private, Tenco si è avvicinato al pianoforte, scoprendo la passione per la musica e un talento innato. Da autodidatta, ha cominciato a suonare la chitarra, il clarinetto, il sassofono. Ha anche iniziato a frequentare il Bar Igea, ritrovo di molti artisti genovesi. Ha scoperto il jazz, amando negli anni artisti come Jelly Roll Morton, Chet Baker, Gerry Mulligan e Paul Desmond. Ma ai suoi parenti l’idea che diventasse un musicista non piaceva, preferivano che continuasse gli studi. Così, per assecondarli, si è iscritto all’università: prima alla facoltà di Ingegneria elettrotecnica, poi a Scienze politiche. Non si è mai laureato: dopo qualche anno ha abbandonato gli studi, per dedicarsi totalmente alla musica.

GLI ESORDI

Ha fondato il suo primo gruppo nel 1953: la Jelly Roll Boys Jazz band proponeva cover di Nat King Cole e Kid Ory, con Tenco al clarinetto e Bruno Lauzi al banjo. Come sassofonista ha fatto parte del Modern Jazz Group (con un giovane Fabrizio De André, poi diventato suo amico, alla chitarra elettrica). Nel 1957 è entrato nel Trio Garibaldi, con Ruggero Coppola alla batteria e Marcello Minerbi al pianoforte. L’anno dopo sono arrivati i Diavoli del Rock, con Roy Grassi alla batteria e Gino Paoli alla chitarra. Alla fine degli anni Cinquanta, Tenco si è trasferito a Milano e ha iniziato a frequentare il “Santa Tecla Club” e gli artisti che gli gravitavano intorno. Ha ottenuto un contatto discografico come cantante con la Dischi Ricordi e ha esordito nel 1959 con il gruppo I Cavalieri (di cui faceva parte anche Enzo Jannacci), incidendo il primo Ep con quattro canzoni (Mai/Giurami tu/Mi chiedi solo amore/Senza parole). Negli anni successivi ha preferito non usare il suo nome ma degli pseudonimi, come “Gigi Mai”, “Dick Ventuno” e “Gordon Cliff”.

I TRE ALBUM

Luigi Tenco ha ricominciato a usare il suo vero nome nel 1961 con il suo primo 45 giri, intitolato I miei giorni perduti. Il suo album d’esordio, omonimo, è del 1962: contiene dieci tracce, tra cui successi come Mi sono innamorato di teAngelaQuando, ma anche la discussa Cara maestra. Oltre all’album, dal 1959 al 1963 ha inciso per Ricordi una ventina di singoli. Dal 1964 al ’65, invece, ha lavorato con la Saar (etichetta Jolly), con la quale ha pubblicato un altro album intitolato ancora una volta con il suo nome e cognome: contiene otto inediti e quattro canzoni già pubblicate su singolo. In questo periodo ha alternato brani d’amore (come Ho capito che ti amo e Ah .. l’amore, l’amore) a testi a contenuto sociale (come Vita socialeHobbyGiornali femminiliE se ci diranno), alcuni dei quali sono stati pubblicati dopo la sua morte. Nel disco c’è anche Vedrai, vedrai, dedicato alla madre. Nel 1966 – dopo essersi trasferito a Roma – è poi approdato alla Rca, con la quale ha fatto uscire il suo terzo (e ultimo) album in studio, intitolato Tenco. Ha pubblicato anche dei singoli come Un giorno dopo l’altro, diventato la sigla dello sceneggiato televisivo Il commissario Maigret, e Lontano, lontano. Altri successi di quegli anni sono Uno di questi giorni ti sposerò e Ognuno è libero.

LA CENSURA

Ma la vita artistica di Tenco, contestatore ante-litteram, non è stata facile. Diverse volte ha dovuto fare i conti con la censura. Un esempio è la canzone Cara maestra, nella quale denunciava le ipocrisie e i perbenismi della società dell’epoca e cantava: “Un giorno m’insegnavi che a questo mondo noi siamo tutti uguali/Ma quando entrava in classe il direttore tu ci facevi alzare tutti in piedi/e quando entrava in classe il bidello ci permettevi di restar seduti”. Il brano non è stato ammesso alla riproduzione radiofonica dalla Commissione per la censura e gli ha causato l’allontanamento dalle trasmissioni Rai per due anni. Anche altre canzoni del suo primo album, da Io si a Una brava ragazza, sono state bloccate dalla censura. Altra canzone che a quei tempi ha fatto discutere è stata Vita Famigliare, un brano ironico contro gli anti-divorzisti.

L’AMORE

Luigi Tenco, poeta sospeso tra evasione e impegno, è stato anche un grande seduttore. Il suo debole per la bellezza femminile gli ha procurato qualche problema. L’amicizia con Gino Paoli, ad esempio, si è incrinata per una ex comune, Stefania Sandrelli. Tensioni a causa di una donna anche con un altro amico artista, Piero Ciampi. Nell’ultimo periodo della sua vita, poi, Tenco ha avuto una relazione con Dalida, conosciuta alla Rca. Secondo alcuni, i due si sarebbero dovuti sposare dopo il Sanremo del 1967. Secondo altri, lui era innamorato di un’altra donna, la misteriosa Valeria. Per anni, dopo la morte di Tenco, di Valeria non si è saputo nulla. Poi, nel 1992, sono state pubblicate una serie di lettere che l’artista ha indirizzato alla ragazza. Nell’ultima, scritta una decina di giorni prima di morire, Tenco prometteva: “Appena avrai discusso la tesi… andremo in Africa, in Kenia… avremo i giorni e le notti tutte per noi… Potremo riscoprire il senso della vita”. Il fratello di Luigi, Valentino Tenco, in un’intervista ha raccontato: “Mio fratello conobbe Valeria a Milano nel ’64. Da allora si scrissero di continuo. C’è un fitto carteggio fatto di poesie, bigliettini lasciati sul cuscino, racconti e tante lettere, che lei nascondeva fra le pagine dei libri. Oltre cento documenti, rimasti per 25 anni nascosti, volutamente ignorati da Valeria”. Una storia tenuta lontana dai riflettori. “Luigi era un bel ragazzo, le donne gli correvano dietro, ma quando aveva un rapporto vero ne era geloso al punto di non parlarne con nessuno”, ha spiegato il fratello, ammettendo che neppure lui sapeva dell’esistenza della donna.

IL FESTIVAL DI SANREMO DEL ‘67

Dalida, comunque, è stata vicina a Luigi Tenco fino all’ultimo giorno. I due si erano presentati in coppia al Festival di Sanremo del 1967, edizione numero 17, portando la canzone Ciao amore, ciao (cantandola separatamente, come si usava all’epoca). Secondo alcuni, Tenco non era entusiasta di partecipare ma quella doveva essere la sua consacrazione. Il brano, con il testo cambiato per non incorrere nella censura, parla di un contadino del Sud che lascia lavoro e affetti per trasferirsi al Nord in cerca di un futuro migliore. Il 26 gennaio, alle 22.15 (penultimo in scaletta), Tenco è salito sul palco per l’ultima volta: secondo alcuni, la sua esibizione – i cui nastri sono andati persi negli archivi Rai e di cui rimangono foto e registrazione audio – è stata condizionata dall’assunzione di alcol insieme a un tranquillante; per altri, l’artista ha proposto una versione più lenta, che appariva quasi fuori tempo, in polemica con la versione proposta da Dalida. Il risultato, comunque, è che il brano non è stato apprezzato dalle giurie, si è classificato dodicesimo e non è stato ammesso alla serata finale. Niente da fare anche col ripescaggio, dove ha avuto la meglio La rivoluzione di Gianni Pettenati. Diversi testimoni hanno raccontato di un Tenco preso dallo sconforto dopo l’eliminazione, che prima si è addormentato su un biliardo e poi è andato via contrariato.

LA MORTE

Tenco è tornato quindi in albergo, nella stanza 219 dell’Hotel Savoy di Sanremo. Lì, nella notte, un colpo di pistola alla testa ha messo fine alla sua vita. Sembra che nessuno abbia sentito lo sparo della Walther PPK, semiautomatica calibro 7,65, denunciata due mesi prima dall’artista ai carabinieri di Recco. Tra i primi a trovare il cadavere, intorno alle 2, Dalida e Lucio Dalla. Si è subito pensato al suicidio, anche se per anni – e ancora oggi – in molti hanno sollevato dubbi su quanto successo e parlato di omicidio. Nella stanza è stato trovato anche un biglietto. “Io ho voluto bene al pubblico italiano e gli ho dedicato inutilmente cinque anni della mia vita. Faccio questo non perché sono stanco della vita (tutt’altro) ma come atto di protesta contro un pubblico che manda Io tu e le rose in finale e a una commissione che seleziona La rivoluzione. Spero che serva a chiarire le idee a qualcuno. Ciao. Luigi”, si leggeva. I familiari hanno sostenuto che non fosse la sua grafia, ma diverse perizie hanno confermato il contrario. Prima del colpo di pistola, secondo alcune ricostruzioni, Tenco avrebbe telefonato a Valeria per confidarle che il giorno dopo avrebbe denunciato la combine delle scommesse clandestine intorno al Festival. Per anni sono quindi circolate versione alternative, che gettavano ombre e screditavano quella ufficiale. Dopo decenni di pressioni, con l’inchiesta riaperta più volte, nel 2005 la procura di Sanremo ha deciso di riesumare il corpo dal cimitero di Ricaldone per effettuare nuovi esami. Esami che hanno riconfermato la tesi del suicidio.

COSA CI RESTA

Di Luigi Tenco, morto a 28 anni, ci restano un centinaio di brani, alcuni dei quali pubblicati postumi. Canzoni senza tempo, che hanno lasciato un segno nel mondo della musica d’autore italiana e influenzato generazioni di artisti. Tenco cantava la vita, l’esistenza, l’attualità. I suoi testi andavano oltre la tristezza a cui spesso è associato. Erano anche ironici, di protesta, di denuncia. “Perché scrivi solo cose tristi?”, gli è stato chiesto in un’intervista. “Perché quando sono felice, esco”, ha risposto. E parlando con Sandro Ciotti, nel 1962, ha aggiunto: “La mia più grande ambizione è quella di fare in modo che la gente possa capire chi sono io attraverso le mie canzoni, cosa che non è ancora successa”. In un’altra intervista, poi, ha spiegato cosa voleva dire per lui cantare: “Canterò finché avrò qualcosa da dire. E quando nessuno vorrà più ascoltarmi canterò soltanto in bagno facendomi la barba, ma potrò continuare a guardarmi nello specchio senza avvertire disprezzo per quello che vedo”. Il suo messaggio è stato raccolto ed è ancora oggi portato avanti dal Club Tenco, fondato a Sanremo nel 1972 con lo scopo di sostenere la canzone d’autore: hanno partecipato i più grandi cantautori degli ultimi decenni, da Paolo Conte a Francesco Guccini, da Bruno Lauzi a Sergio Endrigo, da Giorgio Gaber a Francesco De Gregori, fino a Fabrizio De Andrè. De Andrè che, per l’amico scomparso, ha scritto il brano Preghiera in gennaio: “Signori benpensanti spero non vi dispiaccia se in cielo, in mezzo ai Santi, Dio, fra le sue braccia, soffocherà il singhiozzo di quelle labbra smorte, che all’odio e all’ignoranza preferirono la morte”.

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