Vivienne Westwood, icona combattente. La regista Lorna Tucker: “È più punk oggi che allora”

In sala il 20 febbraio ‘Westwood. Punk, icona, attivista’, ritratto della stilista inglese che ha attraversato cinquant’anni di storia del costume. A cinque anni faceva scarpe, a dodici abiti, a quasi ottanta gira in bici per Londra e lotta per salvare il mondo

“La gente va in pensione per fare quello che vuole. Io faccio ciò che devo perché se facessi quello che voglio mi metterei a imparare il cinese”. Vivienne Westwood ha attraversato cinquant’anni di storia del costume inglese. È diventata un’icona della moda e un modello di riferimento di più di una generazione. A 78 anni (ad aprile) gira Londra in bici e combatte contro riscaldamento globale e inquinamento. Nel film Vivienne Westwood. Punk, icona, attivista di Lorna Tucker, nelle sale italiane dal 20 febbraio distribuito da Wanted e Feltrinelli Real Cinema, si racconta il complesso spettro della personalità di quest’artista che a cinque anni sapeva già fare un paio di scarpe e a dodici un abito.”L’ho filmata per tre anni ma la conosco da molto più tempo – racconta la regista, un’ex modella con un passato difficile, scappata di casa a 15 anni, la vita in strada e la tossicodipendenza – quello che mi ha fatto innamorare di lei è il suo essere genuina e determinata, così vera e così forte. Nonostante sia in là con gli anni, è così sexy e il fatto che sia riuscita a rompere il soffitto di cristallo diventando un’imprenditrice di successo in un mondo di uomini mi ha molto colpito”. La lavorazione del film, spiega ancora la regista, “è iniziata prima della rivoluzione Metoo ma lei ha veramente la capacità di ispirare gli altri. Volevo che la gente conoscesse la sua storia, particolarmente significativa nel momento in cui attraversiamo una crisi economica in cui si tagliano fondi per salute e educazione”.Westwood ha creato la sua moda dal niente. “Non aveva soldi, non aveva sponsor – racconta Tucker – realizzava gli abiti sul tavolo della cucina, di notte. Per anni, agli incontri con i professionisti, hanno riso di lei. Io ho fatto lo stesso percorso, dodici anni per realizzare il mio film Ama (sulle donne native americane, ndr), all’inizio nessuno voleva finanziarmi, nessuno voleva aiutarmi proprio come accaduto a lei. Volevo che le persone vedessero con quale determinazione è riuscita a realizzarsi senza un’istruzione universitaria, soltando con il lavoro duro. Era importante che gli spettatori vedessero questa donna, talvolta eccentrica ma sempre profondamente radicata ai suoi valori. Ancora oggi è una outsider, una signora del Nord un po’ insicura (è nata in un villaggio del Derbyshire, ndr) sebbene sia stata fatta Dame dalla Regina Elisabetta e sia una delle stiliste di maggior successo nel mondo”.Quando Lorna chiede a Vivienne di parlare dei Sex Pistols, della nascita del punk lei dice: “Non voglio parlare dei Sex Pistols” ma a un certo punto riflette: “Non stavamo attaccando il sistema, stavamo solo facendo marketing”. Era l’epoca delle svastiche, delle magliette dalle maniche extralunghe che ricordavano le camicie di forza, del sodalizio con Malcolm McLaren, manager dei Sex Pistols. Eppure, secondo la regista, non è il suo modo per rinnegare quell’epoca. “Credo che negli anni si sia un po’ stufata di parlarne, anche perché all’epoca lei era una sarta. Era Malcolm che combatteva contro il sistema e lei gli andava dietro. Si divertivano insieme ma quando si sono separati e lei si è resa conto che doveva trovarsi da vivere si è messa a fare quello che sapeva fare bene: abiti. Ne è venuto fuori il look ‘new romantic’. Non credo che rinneghi quel periodo, ma di certo Vivienne è molto più punk ora di quanto lo fosse negli anni Settanta”.Colpisce che alcuni anni fa Joe Corré, il figlio che Westwood ha avuto con McLaren (ne ha anche un altro, John Westwood) abbia deciso di bruciare 5 milioni di sterline di memorabilia dei Sex Pistols durante una manifestazione sul Tamigi: in quell’occasione c’era anche Westwood che tenne un comizio da un bus, sui problemi del clima e dell’ambiente. “Con i suoi interventi in giro per il mondo è stata capace di sensibilizzare profondamente sui temi ambientalisti. La passione e l’impegno con cui applica alla propria azienda il senso della sostenibilità, ecco, per me è più forte di tante marce – osserva Tucker – Il suo attivismo non sono parole, si traduce in un’azione che mette in in discussione la sua stessa azienda, che sia per questioni ambientali o perché non le piace la sua collezione. Nel momento in cui la maggior parte delle persone si ritirerebbero o venderebbero l’azienda, lei va avanti. Abbiamo trascorso del tempo insieme al Circolo Polare Artico, durante la missione di Greenpeace sui mutamenti climatici. Negli stessi mesi ci siamo immersi in rotoli di tessuto osservando come una collezione prenda forma. L’abbiamo seguita mentre girava la campagna contro il fracking e assistito all’apertura dei nuovi flagship store a Parigi e New York. Vivienne è sempre pronta a combattere per quello in cui crede e ad andare controcorrente. E questo si riflette perfettamente nel suo attivismo e nella sua moda”.Tra i momenti più emozionanti del film, c’è un discorso che Vivienne fa alle sue modelle prima che escano in passerella. “Dovete pensare – dice – ho pochi secondi e sarò bellissima, sarò una ragazza grande perché avrò degli abiti da grande, ma se volete potete pensare anche di essere delle bambine cattive”. Nel film ci sono anche i ricordi di Kate Moss (“le sue sfilate erano oltraggiose”) e Naomi Campbell (“era la nostra regina”). “Quando è con loro Vivienne torna bambina, è bellissimo avere la sua età e mantenere quest’innocenza – dice la regista – in quei momenti capisci quando ami profondamente il suo lavoro. Come artista ogni giorno mi sveglio chiedendomi se il lavoro che sto facendo è buono o è uno schifo. Mostrare che un’artista come lei, celebre e realizzata, abbia gli stessi dubbi e si senta insicura è confortante. Poi, però, la vedi il giorno della sfilata così piena di gioia e vita e capisci che quello con le modelle è un vero rapporto di amicizia. Mentre facevo il film ho avuto due figli, mi sentivo spossata. Ma guardando lei, standole attorno, ho trovato nuova energia”.

Chiara Ugolini, La Repubblica

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