L’editore del “Giornale di Sicilia” vuole bloccare la messa in onda della fiction su Mario Francese: “Lede la nostra immagine”

Claudio Gioè interpreta Mario Francese nella fiction in onda stasera su Canale 5

All’editore-direttore del Giornale di Sicilia non è piaciuto affatto il primo film su Mario Francese, il suo coraggioso cronista di giudiziaria ucciso dalla mafia il 26 gennaio 1979. Antonio Ardizzone vuole addirittura bloccare la messa in onda della fiction, prevista per stasera alle 21, su Canale 5. In una lettera di fuoco inviata alla società produttrice (la Taodue di Pietro Valsecchi) e a Mediaset, scrive che il film «contiene frasi, immagini, commenti e affermazioni gravemente lesive dell’onore e della reputazione della nostra società e della testata giornalistica da essa edita».

Evidentemente, Ardizzone non avrà gradito la scena in cui Mario Francese viene redarguito dall’editore, che non lo blocca, ma lo mette in guardia («Alla prima smentita…»). In quegli anni, era il padre di Antonio Ardizzone, Federico, l’editore del Giornale di Sicilia. Ardizzone non avrà gradito neanche i passaggi del film in cui il figlio di Francese, Giuseppe, scopre scomode verità sul giornale in cui lavorava il padre. In redazione, era conservata una foto strappata: nel pezzo rimasto in archivio era ritratto un boss. Nell’altro chi c’era?
Dice Claudio Fava, lo sceneggiatore del film: «Nel nostro lavoro, la vicenda pubblica di Mario Francese ripercorre con precisione quanto emerso nelle sentenze di condanna per i suoi assassini. Fu pesante la solitudine di Francese. E oggi, per la prima volta, arriva in televisione il racconto della zona d’ombra che ha segnato questa storia». Pietro Valsecchi ribadisce: «Il film racconta la verità emersa dai processi, non mi aspettavo davvero un’aggressione di questo tipo. È un film sulla libertà di stampa per cui Francese si è battuto».
Vale la pena riprendere le sentenze di cui parla Fava, sono ormai definitive. Sono un pezzo di storia di Palermo, troppo spesso dimenticato. La corte d’assise d’appello presieduta da Giuseppe Oliveri, che ha condannato Riina e i boss della Cupola (tra cui Michele Greco) come mandanti del delitto Francese, ha scritto dei «rapporti provati che legavano gli Ardizzone, proprietari ed editori del Giornale di Sicilia, a parecchi esponenti mafiosi, tra cui Michele Greco e Tommaso Spadaro» (pagina 414). Al processo, è emersa la storia di quella fotografia che ritraeva il vecchio Ardizzone e Michele Greco, al Tiro a volo.

I giudici hanno esplorato non solo le stanze dell’editore, ma anche i misteri di quella redazione negli anni Settanta, e si sono soffermati sulla «fuga di notizie che avveniva dall’interno del Giornale di Sicilia in favore di alcuni esponenti di Cosa nostra» (pagina 416 della sentenza di appello). È il punto centrale della storia di Francese: qualcuno fece filtrare all’esterno il suo grande dossier-inchiesta sulla nuova mafia dei Corleonesi?

Francese l’aveva consegnato a maggio, fu pubblicato solo otto mesi più tardi, quando il giornalista era ormai morto. Davvero curioso: un cronista ucciso per uno scoop mai fatto. C’è una sola spiegazione. Qualcuno aveva fatto sapere ai boss dell’esistenza del dossier: Francese, in quei mesi in convalescenza, tornava di tanto in tanto in redazione, per sollecitare la pubblicazione dell’inchiesta. Come facevano i mafiosi a sapere che il dossier andava fermato a tutti i costi? Sono le domande che tormentavano Giuseppe, il figlio di Mario, che con la sua battaglia riuscì a fare riaprire l’inchiesta, è morto suicida. Sono le domande che ha ripetuto in aula il pm Laura Vaccaro, che si èsempre opposta alla costituzione di parte civile del Giornale di Sicilia (ammessa dai giudici).

C’è ancora molto da scoprire nella drammatica vicenda di Francese. Durante il processo, era emerso che il cronista di nera del giornale, Giuseppe Montaperto, amico dei boss Bontate e Teresi, aveva cercato di addomesticare il suo coraggioso collega. L’inchiesta su Montaperto è stata comunque archiviata. Chi tradì davvero Mario Francese?
Salvo Palazzolo, Repubblica.it
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