Emily in Paris, cosa aspettarsi dalla seconda stagione

Emily in Paris, cosa aspettarsi dalla seconda stagione

Parigi, vista attraverso gli occhi di un americano, la cultura francese riletta con leggerezza. Superficialità, ha sostenuto qualcuno, dopo aver visto, nell’ottobre del 2020, la prima stagione di Emily in Paris. La serie Netflix, storia di una Lily Collins costretta a lasciare gli Stati Uniti per ragioni professionali, non è stata accolta all’unanimità. I più l’hanno trovata godibile, affascinante a tratti. Altri, però, l’hanno giudicata banale, così ricca di stereotipi e luoghi comuni. Emily, quella Emily elegante, il cui cellulare, come un terzo braccio, si è rivelato pronto a scattare selfie improbabili accanto a croissant e calici di rosso, si sarebbe fatta gioco della cultura europea. Cosa, questa, che nella seconda stagione dello show non dovrebbe ripetersi.

Emily in Paris, i cui nuovi episodi saranno rilasciati online il 22 dicembre, dovrebbe lasciare Parigi, e con questa il rischio di cadere, una volta di più, in cliché triti e ritriti. Lily Collins, che nella prima stagione è stata vertice di un triangolo amoroso, barcamenandosi alla bell’e meglio tra doveri e piaceri, partirà per Saint Tropez. Una vacanza insieme a qualche amica: giorni spensierati che, all’americana, saranno destinati a portare, però, nuovi «interessi». Determinata a convincere i capi della filiale francese nella quale è stata trasferita, gli stessi che hanno imputato alla «bonne chance» i suoi risultati professionali, Emily deciderà di iscriversi ad un corso di francese. 

Ed è lì, su banchi che dovrebbero essere forieri solo di nuove e accademiche conoscenze, che la ragazza si imbatterà in Alfie, un inglese tanto fastidioso quanto intrigante. Preda, dunque, di quell’ossimoro che all’antipatia lascia corrispondere un’attrazione irresistibile, Emily si troverà invischiata in una relazione inedita. E gli stereotipi, allora, con tutti i condizionali del caso, non toccheranno più la Francia, ma quel mondo ben più esteso che va sotto il nome di «amore». 

VanityFair.it

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