IL GIOVANE PAPA JUDE LAW: “NON GIUDICATE SOLO DALLE APPARENZE”

Parla l’attore britannico, protagonista della serie tv diretta da Paolo Sorrentino in onda dal 21 ottobre. “La fede mi affascina, questo ruolo mi ha reso più consapevole”

the-yung-popeBello come pochi, anche con i calzini rosa che sbucano dai pantaloni di tweed. Sorriso da mascalzone, modi da gentleman, a 43 anni Jude Law è un’apparizione in The young Pope di Paolo Sorrentino, da domani su Sky Atlantic Hd e Sky Cinema 1. È un’apparizione anche di persona, seduto in terrazza, mentre spiega come ha interpretato Lenny Belardo, Pio XIII, primo papa americano della storia che beve cherry diet Coke, indossa candide infradito e fuma come Paul Newman in La stangata.
Il suo Papa è un narciso che però si sottrae alla folla. Come si è preparato al ruolo?
«Ho avuto l’istinto di studiare la storia del Vaticano e del papato per comprenderne gli effetti sulla fede cattolica, avevo tanto di quel materiale che mi è venuto il panico. Poi mi sono fatto guidare da Paolo per tratteggiare un personaggio credibile che a 47 anni arriva al papato, guardando sempre al suo passato da orfano e stabilendo le sue regole di comportamento, il suo essere pronto a accogliere o a escludere, lasciando tutti a interrogarsi su quello che gli passa per la testa».
È cambiato il suo rapporto con la fede?
«Non ho avuto un’educazione cattolica, la mia conoscenza è limitata ma ho imparato molto. La fede mi affascina, questo ruolo mi ha reso più consapevole».
Arrogante, solitario, innamorato del potere: il suo Papa è l’opposto di papa Francesco.
«Lenny si chiede: come faccio a trovare Dio se non trovo mio padre e mia madre? Come non bisogna giudicare un libro dalla copertina, così non va giudicato Lenny dalle apparenze: ha molto da rivelare. È cresciuto senza genitori, la crisi da rifiuto è il cuore stesso dell’identità di quest’uomo. I miei genitori erano orfani, hanno avuto infanzie tragiche e sono diventati due adulti completi. L’infanzia di Belardo è simile a quella vissuta da mio padre».
È vero che si è ispirato a Pio XII per la gestualità?
«Con Paolo ci siamo divertiti a costruirla. Ogni volta che guardavo un Papa in tv teneva sempre le mani davanti, sulla pancia, o dietro la schiena, indossando l’abito non sa dove metterle. Nella serie Pio XIII allarga le braccia e alza la testa quando saluta la folla, un gesto suggeritomi da Paolo, ispirato in parte a Pio XII ma anche al calciatore Wayne Rooney che fa così quando segna».
Che rapporto ha col potere?
«Per me il potere risiede nella testa e nel cuore, un re debole o un Papa vulnerabile sono più interessanti. La gioia come attore sta nel trovare un equilibrio completo. Mi piace trovare del buono in un cattivo e viceversa».
Nella sua vita ha sperimentato il potere della bellezza…
«È un rapporto scomodo perché parlarne è come confermare che io sia bello, la bellezza è negli occhi di chi osserva».
Ma lei ne è consapevole, su.
«Mi sono impegnato al massimo per non definirmi, ma mi rendo conto che se ne parla. Da giovane pensavo che potesse intralciare la carriera, ora che sono passati gli anni lo so, è stata un aiuto e oggi una sfida. Prima facevo eroi romantici, poi ruoli da caratterista, più interessanti. Sono quelli che mi piacciono di più».

Silvia Fumarola, La Repubblica

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