Grandi ritorni nella musica italiana. Alberto Fortis racconta il suo nuovo album

Alberto Fortys. Il gioco di parole è piaciuto al cantautore, quando ha dovuto scegliere come celebrare il quarantesimo anniversario del disco d’esordio e che porta il suo nome. Uno dei debutti più folgoranti della storia della musica italiana, basterebbe leggere la tracklist, con Il Duomo di notteLa sedia di lillà (una canzone sulla disabilità a fine anni Settanta, da non crederci) e le scandalose Milano e Vincenzo e soprattutto A voi romani, restategli appiccicate addosso come carta moschicida ben oltre il dovuto: “Non sa quanti equivoci e strumentalizzazioni politiche ha avuto quella canzone”, spiega Alberto Fortis, “adesso quando sono in concerto a Roma è il pubblico stesso che me la chiede. Con tutto quel che è successo dopo, dallo scandalo Roma capitale alla politica che pensa solo a se stessa, credo che sia ben chiaro che era a quel sottobosco di potere che mi riferivo, non certo alla città di Roma in sé, che adoro e dove ai tempi ero andato a vivere catturato dalla sua bellezza”. 4Fortys sarà presentato ufficialmente allo Spirit de Milan il 4 luglio.

Parliamo dal disco. Sarebbe stato facile per l’anniversario ripubblicarlo e tanti saluti. Lei invece ha scelto qualcosa di particolare.

“L’ho trasformato in un doppio. Il primo cd ha le canzoni nell’esatto ordine di allora, però risuonate tutte pianoforte e voce dal vivo, col pubblico in sala incisione, e inframmezzate da spiegazioni e aneddoti. Il secondo è particolare: tre inediti, Venezia, Maphya e Caro Giuseppe, tre canzoni live, e tre classici riarrangiati. Milano e Vincenzo ad esempio diventa una canzone elettronica, con un intermezzo di rap. Un modo per attualizzarla almeno musicalmente visto che il testo mi sembra ancora molto valido”.

Parliamone, allora. Milano negli ultimi anni sta conoscendo una rinascita continua, tra Expo ed eventi culturali. Ai tempi della sua canzone viveva anni grigi, tra criminalità e terrorismo. Eppure lei ci credeva.
“Non mi attribuisco meriti che non ho, però mi piace l’idea di aver fatto quello che dovrebbero fare gli artisti: tenere drizzate le antenne, intercettare onde, segnali, fermenti, prima degli altri. E dopo Milano e Vincenzo, com’è come non è, arrivò la Milano da bere, che aveva lati negativi, ma anche positivi, e tanti. Poi la città l’ho vista di nuovo decadere, negli anni Novanta, era tornata la nebbia, in senso metaforico, non meteorologico. Adesso di nuovo, tra l’Expo, il Salone del Mobile, la Moda, la Triennale, i grattacieli nuovi, è viva e bella. La paragono tranquillamente alle mie due città preferite degli States, Los Angeles e New York”.

Che ricordi ha di quel disco?
“Beh che lo incisi al Castello di Carimate, in Brianza, assieme alla PFM, qualità pazzesca. E che ci volle un discografico francese per farmelo fare, perché quelli italiani non volevano. E poi un successo travolgente, quasi spiazzante, non facile da gestire per un 23enne”.

E perché ha deciso di rifarlo? Cioè, perché un disco? Ha ancora senso come formato?
“Certo che sì, il disco è come la spada Excalibur, se vai a combattere devi sguainarla. Serve la sostanza per iniziare a catturare il pubblico. Detto ciò, io amo ascoltare la musica via web, scoprire mille novità, e ovviamente essere scoperto da un pubblico che non sa neppure chi sono. E mi diverte anche l’idea che su Spotify si possano ascoltare le canzoni di un disco come 4Fortys in ordine casuale, prima una poi un’altra, anche se l’ordine non è quello che gli ho dato io. Certo, la sequenza che ho scelto ha una logica, prima voglio dire una cosa, poi un’altra, ma credo di essere un artista che sa raccontare sempre qualcosa di diverso, e questo viene fuori da ogni mia singola canzone”.

Parlava di quell’Alberto Fortis di 23 anni. Cosa gli direbbe adesso che ne ha 63?
“Di avere meno timidezza nel proporsi come persona, ciò che spesso mi ha un po’ fregato perché è stata scambiata per supponenza”.

E gli direbbe anche di fare un talent show?
“Sarebbe inevitabile, adesso: il talent è un fosso da saltare per un giovane artista di oggi. Però i discografici e gli artisti dovrebbero credere alla possibilità di una carriera. Questo disco allora venne dopo due-tre anni di gavetta, di sbagli, di tentativi. Adesso ti danno 2, 3 mesi di prova se ti va bene. Ciò detto, non so se uno col mio carattere e la mia indipendenza avrebbe vita facile in un talent. Sarei curioso di scoprirlo se mai mi chiamassero come giudice. Di sicuro tenterei di proporre la qualità: ci stanno facendo credere che il grande pubblico non la capisce, invece è così solo perché non gli viene proposta”.

I cantautori prima del suo arrivo erano un po’ diversi, musicalmente. Lei ci mise il pop rock, fu un cantautore particolare. Quindi può dire se i rapper siano i cantautori di adesso, come dicono molti.
“Il rap non mi dispiace, fui tra i primi a farlo negli anni ’80 con Plastic Mexico. Certo, in America hanno 50 Cent e avanzi di galera, qui i figli dei pubblicitari. I cantautori di oggi? Beh raccontano il tempo, ma mi sembrano tutti uguali, cioè i il genere di moda e di moda sono i testi, tutti roba ‘passami la bamba perché la prof è una puttana’. Insomma, temo che sia un genere sterile, fine a se stesso”.

In questi 40 anni di carriera ha mai commesso errori? Uno che le imputano in molti fu partecipare al reality Music Farm nel 2006.
“Non sa in quanti me l’hanno detto, ma io non lo considero un errore e le spiego perché. Stavo realizzando un disco con Fio Zanotti, che era anche nella produzione dello show, e questo mi aiutò nella lavorazione. E poi mi ero reso conto che il pubblico non mi percepiva più. Così mi sono dato una rinfrescata: è stata un’emozione uscire e sentire ragazzini che urlavano il mio nome. Poi parlavamo di qualità: ebbene, in una puntata portai una canzone di De André, in un’altra una di Tenco. Infine, ma non ultimo, sono diventato amico di Franco Califano, un gigante vero. E già solo questo basta per dire che avevo ragione”.

Luigi Bolognini, Repubblica.it

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