Gerry Scotti: “Pur di restare a Mediaset ho rinunciato a parte dello stipendio. E sul vitalizio vi dico che…”

Con Mediaset è felicemente sposato da oltre trentanni,
ma anche nei migliori matrimoni capitano piccole baruffe.
Mike Bongiorno lo ha nominato suo unico erede,
lui negli anni ha sostituito degnamente
Corrado alla Corrida e Vianello al Gioco dei 9

Virginio Scotti, nato a Miradolo Terme da padre operaio e mamma casalinga, si è sempre misurato con i grandi. Diventando di diritto uno di loro: Gerry Scotti, l’unico e inimitabile, uno dei volti più amati della tv. Uno di casa.
Ogni giovedì, instancabile, è in prima serata su Canale 5, con The Winner is, gara canora con Mara Maionchi e Alfonso Signorini. Su Wikipedia si legge: «Gerry Scotti: 570 prime serate, 6000 puntate in day time».
Ha mai contato quanti programmi ha fatto?
«No, lo scopro da lei. Sono il lavoro di più di 30 anni. È come la lotta con la bilancia: senti il peso solo se continui a salirci. Sono numeri che fanno piacere».
Il record da guinness è che sono tutti programmi Mediaset. Una fedeltà incomparabile.
«Ne sono lieto. Qui sono cresciuto, sono molto riconoscente. I dirigenti di oggi sono i giovani che conobbi all’inizio della mia carriera. Ci sono state discussioni, ci siamo mandati a quel paese, ma abbiamo costruito un rapporto unico. Anche se ogni tanto dico loro: siete più “coccolosi” con altri, con l’amante e non con la moglie che resta sempre, che sarei io».
Chi sono le amanti?
«Quelli che vanno e vengono. Che hanno bisogno di essere blanditi: lo capisco, è umano».
Paolo Bonolis?
«No, anche lui è diventato stanziale. Nessuno in particolare. Da parte mia sono contento di non avere mai avuto nessuno che mi rappresentasse, un manager. Magari sarei diventato ricco il doppio ma non importa: mica voglio essere il più ricco del cimitero».
Ma c’è stata una volta in cui, concretamente, ha rischiato di andare in Rai?
«Non c’è mai stata una proposta seria, bella, strutturata. Tanti abboccamenti, magari qualche relazione pubblica, cena, sono nel settore da tanti anni e qualche dirigente Rai l’ho visto. “Vieni a fare quella cosa lì”, mi hanno detto. Ma sa, qui a Mediaset ho contratti di due-tre anni, direzioni artistiche, progetti solidi, non mi vado a vendere al chilo».
Diciamolo: con il pericolo di un tetto agli stipendi, meglio stare a Cologno. O no?
«Un’idea già rientrata, si è optato per una diminizione del 10%. I “tetti” non avevano senso. Siamo tutti uguali? Facciamo tutti la stessa cosa? No. Alcuni nomi hanno fatto la storia della Rai, sono rappresentativi dell’azienda. Comunque da noi i panni sporchi si lavano in casa».
In che senso?
«Mediaset, in un momento delicato e di raccolta pubblicitaria difficoltosa, ci ha chiesto un sacrificio che io ho fatto volentieri. Mi sono tagliato lo stipendio del 30%. È un’azienda privata e la cosa non ha fatto scalpore, ma è successo. Adesso la situazione è migliorata».
Comunque la conduzione di Sanremo per ora è vacante. Un pensierino?
«Non penso che lo farò io. Dire che non ci tengo sarebbe brutto. Sono fatalista, se non l’ho mai condotto ci sarà una ragione. Pier Silvio Berlusconi il permesso me lo darebbe. Ma la parola Sanremo non l’abbiamo nominata».
Un passo indietro, quando iniziò con la radio. I suoi genitori come presero il fatto che voleva fare spettacolo e non l’avvocato?
«Finché era un hobby, non dissero nulla. Mi faceva comprare i libri e la cosa faceva piacere a mio padre, operaio del Corriere della sera. Dopo il servizio militare ho iniziato a fare il pubblicitario, ma intanto continuavo in radio. Bene, un giorno dico loro: smetto di fare il pubblicitario, l’avvocato non lo farò mai, lancio con Cecchetto Radio Deejay».
Come reagirono?
«Non ci parlammo più o meno due anni. Feci tutto il contrario di quello che all’epoca era importante: la rinuncia al posto fisso, al pezzo di carta, io che ero figlio unico. Temi ancora attuali, come dimostra il film di Zalone».
Si è fatto perdonare?
«Continuavo a stare a casa dai miei, ma non parlavamo più di questi argomenti spinosi. Quando si diffuse la voce del mio lavoro, in paese ricevevano complimenti e iniziò a sviupparsi una forma di orgoglio genitoriale. Ho comprato la casa a mio padre, una bella macchina, arrivò il benessere economico. Peccato perché si sono goduti poco la vita: mia madre è mancata a 68 anni, mio padre a 70. Ma hanno fatto in tempo ad accorgersi della mia affermazione».
Dopo la radio, arriva la tv. Quella frase di Silvio Berlusconi a Cecchetto in cui la definiva una sorta di “ragioniere brianzolo” la offese?
«Fu detta spiritosamente, in stile Cavaliere. Eravamo nella fase apicale degli anni a Radio Deejay e volevano farmi fare Deejay Tv. Non ero tanto d’accordo. Nei corridoi di Milano 2 Berlusconi disse a Cecchetto: “Ma con tutti quelli che ci sono, mi manda quello che sembra un ragioniere? In Brianza ne trovavo 100 così”. Risero tutti, io meno. Forse aveva ragione. Ma il punto era che è stata proprio la normalità la chiave del successo. Parlo, mi muovo normalmente. Ho rivisto Berlusconi al funerale di Vianello e mi ha detto: “Quando accendo la tv e ti vedo, mi sento a casa, a Canale 5”. Il complimento più bello».
Lei però non si è mai schierato.
«Vero. E per questo ringrazio la famiglia Berlusconi. Non mi hanno mai chiesto nulla, non mi hanno mai mandato le famose veline, o chiesto di parlare di questo o quello. Mi hanno sempre rispettato. Pier Silvio l’ho visto crescere. Ci parliamo due o tre volte l’anno. Ci vogliamo bene».
Di politica non ama parlare, vero?
«Perché sono un italiano medio. E come tutti gli italiani medi, ormai, non sono interessato. Come si fa a interessarsi quando ci hanno messo 3 mesi per fare una legge elettorale, poi si sono chiusi in aula e fatto una gaffe peggio degli Oscar? Non vedevano l’ora che quella stessa legge non passasse. Eravamo in attesa di una buona legge elettorale invece ci fanno disinnamorare della politica. Lo dico a ragion veduta. Porto ancora le ferite».
Parla della sua esperienza in Parlamento dal 1987 al 1992 tra i socialisti?
«Sì. È stata una brutta pagina perché non sono riuscito a dare nulla. Non avevo ruoli, sono stato relagato a peones a schiacciare un bottone. In quattro anni mi hanno fatto venire la nausea. Non ce l’ho con la destra o la sinistra, ma con un meccanismo che ti riduce a polpa. Un tempo avrei detto che ero frullato, oggi uso la metafora dell’oggetto tanto di moda in cucina: l’estrattore. Mi hanno estratto».
Meno male che non le andava di parlare di politica.
«Vedo i giovani di 32-33 anni e penso: speriamo che loro ce la facciano. Quando smisi di fare il deputato avevo 30 anni. Oggi ne ho sessanta e non è cambiato niente. Ci vogliono regole nuove e qualcuno che le metta in atto».
Per questo, nel 2014, scrisse a Matteo Renzi per chiedergli di trovare il modo di non darle il vitalizio?
«Gli chiesi un emendamento, un provvedimento, un codicillo per non farmi godere del vitalizio a cui voglio rinunciare. Evidentemente la politica ha altro da fare, perché non è successo nulla e le dirò anche che nessun altro ex deputato tra coloro che ne godono mi ha scritto. I privilegi non vanno rinfacciati, vanno tolti. Andrà a finire che a 67 anni riceverò il vitalizio e lo devolverò in beneficenza, depurandolo prima delle tasse. Peccato».
Nonostante spesso venga invocato come candidato di Forza Italia, abbiamo capito che non si candiderà mai più. Ha un altro sogno?
«Mi piacerebbe molto la divulgazione. Non faccio l’esempio di Piero Angela, perché ha un figlio suo erede, Alberto. Mi piacerebbe una cosa all’inglese, alla Bbc, per potermi occupare della mia passione – i viaggi, curiosare – ma in modo nazionalpopolare, scienza e natura come se fossero raccontate dallo zio. Vede, il numero dei programmi che lei ha citato all’inizio, li ho fatti tutti al chiuso, in uno studio tv. Per ora resto al preserale, ma nel futuro sarà ineluttabile. Se dovessi farmi un regalo, uscirei all’aperto, nei boschi, nei parchi».
Adesso che produce anche vini con il suo nome e la sua faccia, ci sta.
«Un vecchio hobby. Perché aspettare? Ho scelto l’azienda, nell’Oltrepò Pavese: faccio rosso, bianco e rosè. Il prezzo non supera i dieci euro: il vino deve essere per tutti».
Gerry, che bilancio fa della sua carriera?
«Alcuni giorni fa ero da Linus e Nicola Savino. Ogni volta che entro nei corridoi di Radio Deejay penso: potrebbe essere ancora la mia vita. Forse senza tv avrei meno popolarità, ma mi sentirei comunque realizzato. Chi non è realizzato non è in pace. Ho avuto molto dalla vita e ringrazio sempre il Signore. L’unico modo per dare serenità è essere sereno, figuriamoci se dall’altra parte della tv ci sono tre milioni di persone…».
di Alessandra Menzani, Libero Quotidiano

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