Al Bano, gli ottant’anni di un mito

(di Tiziano Rapanà) Ora è il tempo del festeggiamento ma non porterò un virtuale fascio di parole vestite a festa (“auguri e cento di questi giorni”, “ottant’anni ma non li dimostra”), qui, nel piccolo palco cui mi è concesso dire qualcosa. Al Bano è come la Mona Lisa di Carl Mann: nulla quaestio sull’originale, vincitore di un premio oscar come miglior brano che vive della bella esecuzione di Charlie Spivak e Tommy Lynn, ma è il rockabilly a fare la differenza (altrimenti accontentiamoci della pur notevole interpretazione di Nat King Cole). Al Bano è l’evoluzione rockabilly del bel cantato italiano. Rockabilly nell’impostazione ad evolvere la tradizione, ovvio. Musicalmente è un’anima blues. Molto Sam & Dave e inconsapevolmente anche Chas & Dave (quando il nostro si dedica al folk più vivace). Musica musica musica, dunque, e il gossip lasciamolo al fastidio ad intermittenza (come quando ci si approccia all’ascolto dell’album Elvis Country e ti tocca sopportare, tra un brano e l’altro, spezzoni casuali di I was born ten thousand years ago). Si avvia il primordio, sarà tempo poi del sole del successo e della rinascita con la Baby Records. Arriveranno i drammi pubblici e privati e poi rinascite su rinascite: e l’Araba Fenice si rialza sempre. Grandi brani da grandi autori (Vito Pallavicini prima e Fabrizio Berlincioni poi) e l’impegno sociale sempre teso a salvaguardare il bene e il bello della sua terra pugliese (Cerano, il virus della Xylella). In ogni occasione, il cantautore vuole rimarcare una visione del mondo tesa al bene comune, lontana dalle privatizzazioni selvagge e dal globale a tutti i costi. Così dona la sua immagine al caratteristico che può dare la propria provincia (Brindisi, nel Salento) prodigandosi per valorizzare le peculiarità culturali della zona. Ho conosciuto Al Bano, tempo addietro, nella sua tenuta in quel di Cellino San Marco e nel bel mezzo della registrazione di un programma con Edoardo Raspelli. Al Bano, animo nobile di quel Mezzogiorno dolente rappresentato dagli scritti di Vittorio Bodini, è stato un eccellente padrone di casa. La sua tenuta ha i colori dell’innocenza sentimentale rappresentata in quella bella canzone degli Alunni del SoleI ritornelli infantili. E qui, sì, che il mito della bella infanzia – ossia del bambino che vive sempre dentro di noi – prospera. Le adulterazioni del quotidiano infarcito di paturnie metropolitane non toccano la distinta quiete della tenuta agricola di Al Bano, quel suo piccolo borgo immerso nella natura più autentica: lì, ti sembra sempre il tempo del ritorno della malinconica carovana, tanto cara ai Nuovi Angeli.

tiziano.rp@gmail.com

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