Da Mahmood ai finalisti di ‘Amici’, le recensioni delle ultime uscite

Samuel scrive un bellissimo pezzo con Colapesce e lo canta con la Michielin. J-AX canta il calvario del Covid mentre Iosonouncane propone un vero capolavoro. I ragazzi di Maria De Filippi non azzeccano nemmeno un brano

Settimana particolarmente impegnativa per chi fa musica e per chi la vuole ascoltare. Mahmood, in attesa del nuovo disco, in arrivo il prossimo 11 giugno, sgancia un’altra ottima anticipazione. Samuel scrive un bellissimo pezzo con Colapesce e lo canta con la Michielin. J-AX canta il calvario del Covid mentre Iosonouncane propone un disco magnifico, enorme, un vero capolavoro. Torna pure Liberato, ma sottovoce, l’assenza non fa bene all’anonimato; Margherita Vicario fa uscire l’album che probabilmente la consacrerà, Diodato mortifica Baggio con la canzone scritta ad hoc per la serie che uscirà a breve sul mito del nostro calcio. Malissimo i finalisti di “Amici di Maria De Filippi”, non azzeccano nemmeno un brano, nessuno di loro. Molto meglio i Ministri, Yuman, Cmqmartina e i Legno, chicca della settimana.

Mahmood – “Klan”: La premiata ditta Mahmood/Dardust si tuffa a piè pari nelle sonorità urban dimostrando non solo la dignità artistica della disciplina in sé, ma anche che quando si è bravi musicisti, bravi autori, le cose vengono esponenzialmente meglio. La scena italiana è stracolma di ragazzini che non sanno mettere due note in fila, sul pentagramma e anche in gola, poi quando la materia passa per le mani di artisti veri la differenza è enorme. “Klan” racconta dinamiche umane complesse, di ambienti difficili direbbe qualcuno, ma senza mai mortificarne la sensatezza con una sceneggiatura ambientata in un ghetto della New York dei gangster movie. “Chettelodicoaffare”.

Samuel feat. Francesca Michielin – “Cinema”: Samuel e Colapesce si sono evidentemente molto piaciuti, i loro incroci musicali fanno scintille e, dopo “Cocoricò”, ecco che ci propongono questa piccola divertente perla danzereccia e impegnata, un pianeta che Colapesce in questo momento smanaccia con discreta disinvoltura, vedi alla pagina “Musica leggerissima”. Attraverso un immaginario fatto di cult cinematografici, insieme alla sempre irreprensibile Michielin, Samuel ci racconta un comodo disagio sociale comune a molti, specie nell’ultimo periodo, quella sorta di dipendenza da divano e video che ci fa sentire soddisfatti e in colpa come dopo le reunion con noi stessi da adolescenti. Speriamo di sentirla tanto questa estate, perché è una canzone divertente e sensata; e forse per questo non la sentiremo tanto questa estate.

J-AX – “Voglio la mamma”: Non è la prima volta che J-AX mette da parte i giochi di parole, sempre raffinati e divertenti, ci teniamo a specificarlo, per puntare dritto per dritto alla narrazione di una storia. Questa è la sua, ed è sincera, ed è straziante; solo immaginarci quante persone potrebbero identificarsi in questo dolore, che Aleotti rappa con la grazia e la rabbia di un ragazzino, ci pietrifica dall’angoscia. A quanto pare la canzone non verrà distribuita in radio, quindi evidentemente farà meno rumore delle hit alle quali J-AX presta il proprio talento, questo ci dispiace, perché invece questa è una storia da ascoltare con attenzione, da sbattere in faccia a quelle teste vuote che per dar senso alla propria esistenza negano l’innegabile.

Iosonouncane – “Ira”: Iosonouncane è uno dei più illuminati musicisti della nostra epoca, e decidiamo di utilizzare “della nostra epoca” perché in tutta onestà di andare a fare una personalissima classifica dei musicisti più illuminati della storia della musica italiana non ci va nemmeno un po’ ma, se proprio vogliamo mettere i punti sulle i, diciamo che difficilmente ci ricordiamo di un progetto così intellettuale, eppure così accessibile, così alto, eppure così pop, così centrato, eppure così etereo. “Ira” è un grattacielo di suoni che spunta dalla terra e si moltiplica in altezza nota dopo nota, è un disco maestoso, imponente, romantico, perfetto. Certo, va detto, Iosonouncane impone le regole, se vuoi giocare devi seguirle, ti ci devi buttare senza paura, con impegno, con attenzione, riporta la melodia al suono, la voce allo strumento, vuoto, silenzioso se non pizzicato, i generi musicali all’idea, al gusto, niente di più che un orientamento musicale dalla potenza quasi erotica, inarrestabile. Ti fa sentire piccolo piccolo questo “Ira”, come dinanzi ad un qualcosa che non hai mai visto prima, che intimorisce, lì, su quello schermo di Spotify, quando scorri le durate dei brani, e leggi 6, 7, 6, 6, 6 e poi 9 e poi ancora 11…chi incide al giorno d’oggi brani di 11 minuti nella discografia italiana? Iosonouncane. E menomale. Vorremmo farvi una segnalazione in particolare ma l’album, durata totale quasi due ore, va ascoltato tutto, dall’inizio alla fine, come si seguono le tappe di un pellegrinaggio spirituale; pistola alla testa però possiamo svelarvi che “nuit” ci ha letteralmente disintegrati.

Liberato – “E te veng’ a piglià”: Torna Liberato, il cantautore dall’anonimato fine a se stesso, nel senso che in tutta onestà, in un mare così affollato di progetti musicali, buoni o meritevoli di condanna penale, l’identità alla fine conta tanto quanto. Per farla breve, Liberato se avesse un nome, un cognome e un volto, avrebbe solo meno follower e qualche intervista in più da rilasciare; sarebbe cosa buona e giusta magari parlare di musica. Perchè la musica Liberato la fa proprio bene, e lo stiamo scrivendo recensendo forze il pezzo più brutto della pur breve carriera dell’artista. È lui, la sua firma è ovunque nel brano, ma è come se un certo romanticismo epico fosse svanito nel nulla, e non dipende solo dal fatto che il videoclip, che si sa fare parte in maniera organica del messaggio di Liberato, non sia stato diretto dal bravissimo Francesco Lettieri, partner in crime del diabolico progetto, e non sia girato a Napoli ma nella grigia Lombardia, che appiattisce ogni esposizione schiettamente naif, e da a qualsiasi cosa l’aspetto e il senso del prodotto industriale; perfetto, ma che resta lì. Ecco, “E te veng’ a piglià”, a differenza, possiamo dire senza problemi, della totalità della produzione di Liberato, resta ferma lì dov’è, non riesce a far sbrilluccicare la narrazione, che c’è, ma non si sente, come in un qualsiasi brano pop.

Gaia feat. Sean Paul – “Boca”: Premettendo che Gaia ci piace molto, che quando canta in portoghese ci strapiace, e che a sentirla così, accanto ad uno come Sean Paul, ci dimentichiamo di quel giro delle chiese dei talent che si è fatta e constatiamo che non ha niente, ma proprio niente, da invidiare a quelle rapper che orbitano ai piani alti della classifica globale di Spotify. Detto ciò, è una canzone discretamente cafona, il che non è per forza un difetto; ha certamente carattere e Gaia la canta proprio bene.

Diodato – “L’uomo dietro il campione”: Esiste solo una cosa al mondo peggiore del momento in cui Roberto Baggio ha sbagliato il rigore a USA ’94, ed è sentire quel momento cantato e svilito dal rigurgito pop mortificante di Diodato in questa canzone. La sensazione alla lettura del testo è che sia stato scritto da una di quelle mamme che si piazzano davanti alla tv durante una partita e ti chiedono “noi chi siamo?”.

Margherita Vicario – “Bingo”: Divertente, solare, schietto, questo disco porterà Margherita Vicario un passo più in alto e lei se lo merita. Ci ha messo un po’ a trovare la propria cifra, probabilmente “Bingo” è la parola utilizzata una volta cominciato il lavoro con Dade, che ha curato la produzione di tutti i brani e che ha dato finalmente un indirizzo preciso al progetto musicale della Vicario. In “Bingo” non c’è un solo brano sbagliato, non c’è un brano noioso, non c’è un brano che non ti vien voglia di divorare. Certo, c’è da smussare qualche angolo, da crescere, ma la Vicario propone una voce femminile nuova e inedita nel panorama musicale italiano, lo fa con stile e coinvolgimento, senza perdere tempo a raccontarsi a tutti i costi, senza piagnucolare gli argomenti, distorcendoli in capriole vocali fini a se stesse. No, tutto quello che aveva da dire, lo dice, senza prenderla larga. Bravissima.

Tancredi – “Iride”: Un disco di brani maschera, dietro i quali potrebbe nascondersi qualsiasi ragazzino di bell’aspetto. Non c’è una sola idea che faccia intuire una qualche necessità artistica, pura televisione musicata, impacchettata e venduta a favore di share.

Aka7even – “Loca”: La musica deve essere davvero forte per resistere a questi violenti attentati.

Deddy – “Il cielo contromano”: Sette brani, nemmeno venti minuti in totale, sono sembrati un’eternità.

Sangiovanni – “sangiovanni”: Semplicemente elementare, ennesimo prodotto impacchettato dalla gang di “Amici”, l’industria che ingolfa il mercato masticando e sputando ragazzini dal talento sdentato. Non c’è niente, ma proprio niente, di nemmeno vagamente interessante, solo questo affannoso e mortificante inseguimento del sound che va.

Side Baby – “Fontanelle e sampietrini”: Che noia, l’ex Dark Polo Gang prova a rifilarci la solita sequela di trap egocentrismo: soldi, “bitch”, sceneggiature di action movie raccontate da chi viene dal quartiere Monti di Roma, che non è esattamente una favela…Il tutto in 1:58 di brano, abbiamo ricevuto note vocali più lunghe e anche discograficamente più sensate. Dai, su, nemmeno due minuti di cose da dire, stiamo veramente inseguendo l’inesistenza.

Ministri – “Cronaca nera e musica leggera”: Puro cantautorato rock, i Ministri tornano con un EP che ci riporta alle sonorità che ci hanno fatto innamorare dell’indie. Quattro brani, tutti eccellenti, tutti in qualche modo politici nella loro audacia, nella loro sfrontatezza, nel loro squilibrio. Un mondo in cui i Ministri sono primi in classifica sarebbe un gran bel mondo da vivere.

Roshelle feat. Shablo, Gue Pequeno e Mecna – “Ti amo, ti odio”: Roshelle ci piace moltissimo, ma questa sceneggiata teen, supportata dalle rime insipide di Gue Pequeno e Mecna, nemmeno nella posta del cuore di Cioè, davvero pochissima roba.

Dodi Battaglia – “Inno alla musica”: Tanta pulizia, tanta educazione, tanto mestiere, tantissimo rispetto, ma tutto comprensibilmente vecchiarello.

Sergio Cammariere – “Piano nudo”: Cammariere senza voce, solo le sue mani e il suo pianoforte, che fa suonare come pochi in questo paese in cui, nella fretta di avere tutto e subito, ci dimentichiamo di sederci per rilassarci un attimo con un po’ di buona musica. Pubblicare un album strumentale è un atto quasi eroico in quest’era di musica di flusso, arruffona e cafona, e Cammeriere infatti è un eroe.

Roberto Angelini – “L’era glaciale”: Un pezzo che risuona un po’ vintage, sicuramente divertente. Una serenata dolce e spensierata che va giù come un buon drink quando ne hai proprio voglia.

Alfa – “Nord”: Niente che possa interessare a persone che abbiano superato i 15 anni. E comunque, qualora avessimo un figlio di 15 anni e lo sorprendessimo ad ascoltare questo disco, gli chiederemmo spiegazioni…e speriamo per lui che siano valide!

Leo Pari – “Champagne (male male)”: Un titolo, una recensione: male, male.

Cmqmartina – “Pensieri sbagliati”: Sapevamo che Cmqmartina era ben più di una concorrente da talent show musicale, e avevamo ragione. Da quando è fuori non ha sbagliato un solo pezzo, quest’ultimo forse è addirittura il migliore. In “Pensieri sbagliati” si balla e si pensa, senza sosta. Bravissima.

Shiva – “La mia storia”: Quando eravamo ragazzini, adolescenti, ed eravamo assaliti dall’idea di diventare scrittori maledetti, quarto d’ora di passaggio fondamentale per chiunque si sia entusiasmato all’idea di aver finito un libro intorno ai 14/15 anni, essendo fondamentalmente vuoti di contenuti, l’unica cosa che restava da scrivere era una biografia. Chiaro, ancora non avevamo visto una virgola di mondo, le nostre passioni ci infiammavano e quel calore ci illudeva che la nostra storia fosse particolarmente unica ma, soprattutto, particolarmente meritevole di essere raccontata. Ecco, il quarto d’ora di Shiva, rapper classe 1999, ancora non è evidentemente finito, perché ci racconta la sua storia e non ci troviamo niente di anche lontanamente originale o appassionante, anzi, per dirla tutta, non ce ne potrebbe fregare di meno.

Gaudiano – “Rimani”: Forse la scelta di portare “Polvere da sparo” a Sanremo Giovani 2020 è stata più corretta, anzi, visto che ha vinto, lo è stata sicuramente; ma questa “Rimani” è un brano decisamente più stiloso, più coinvolgente, più interessante. Gaudiano ha una buona penna, una buona voce, deve crescere sotto qualche punto di vista, questo è certo, ma tutto ciò che di buono arriverà sarà meritato. Questa sua preghiera d’amore è onesta, e l’onestà, specie quando si scrive una canzone d’amore, fa tutta la differenza di questo mondo.

Giordana Angi – “Mi muovo”: Il disco dell’ex “Amici di Maria De Filippi” non è la cosa più brutta mai accaduta nella discografia italiana, al limite la più inutile; non ci sono guizzi, non ci sono strappi, non ci sono esplosioni, fondamentalmente ci sono brani strutturati decentemente, impostati con una certa logica, messi su disco senza alcun rischio, senza esagerare mai, stanno lì e probabilmente lì resteranno.

Legno – “Spaccotutto”: Una canzone geniale, perché parla di un amore finito male, si intitola “Spaccotutto”, è anche discretamente rabbiosa nell’intento, ma totalmente calma, riflessiva, quasi giocosa nella realizzazione in musica. Una distopia strana che quasi fa venir da ridere. Mentre si spacca tutto, è chiaro. Bravissimi.

Yuman – “I Am”: Yuman è romano, ha una voce incredibile, di quelle che negli Stati Uniti finirebbero prima o poi in un museo, una di quelle che meriterebbe uno stadio. Sentirlo cantare fa stare bene e questa “I Am” è una perla imperdibile, una di quelle cose che danno respiro, la voce di questo ragazzo fa vibrare il plesso solare.

Tropico – “Carlito’s Way”: Tropico è in realtà Davide Petrella, Davide Petrella è in realtà uno dei migliori autori del new pop italiano, ma le cose migliori, a nostro immodesto parere, se le mette da parte per sé. Questa “Carlito’s Way”, come tutta la sua produzione, arriva, parola per parola, che non è un dono di tutti. L’impressione è che presto uscirà fuori dalle quinte e non ci tornerà mai più.

VV – “Verso”: In un mondo, quello della discografia italiana, in cui mancano le voci femminili, VV è una manna dal cielo. “Verso” è il suo primo disco, finora solo singoli, ma lo stile è già unico, la sua voce è già riconoscibile tra mille, la ragazza straborda di talento.

agi.it

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