Torna The Rain, “il vero tema è la terribile eredità che è stata lasciata alle nuove generazioni”

Dal 17 maggio su Netflix arriva la seconda stagione della prima serie danese della piattaforma. Intervista a Lucas Lynggaard Tønnesen, ospite di Series Con

Dal 17 maggio, su Netflix, è disponibile la seconda stagione di “The Rain”, la prima produzione danese della piattaforma streaming. La storia è ambientata in un futuro prossimo, molto vicino al nostro, in cui una pioggia venefica, carica di un virus sconosciuto, ha decimato la popolazione.I protagonisti sono ragazzi. Nel corso delle prime puntate li abbiamo visti adattarsi al nuovo mondo. In questa stagione, invece, dovranno prendere le redini del loro destino e provare, da soli, a salvare l’umanità.«Durante le riprese della prima stagione non eravamo pienamente consapevoli di quello che stava succedendo. Ogni giorno c’era qualcosa di nuovo da imparare. Con la seconda stagione è stato diverso. Eravamo pronti», racconta Lucas Lynggaard Tønnesen, classe 2000, che in “The Rain” interpreta Rasmus. La scorsa settimana è stato ospite della prima edizione di Series Con, l’evento dedicato alle serie tv organizzato da QMI e da Stardust.it. «Conoscevamo il nostro pubblico di riferimento, chi erano i nostri fan, e potevamo dare un taglio più preciso alla storia».

Qual è il vostro target?
«Un pubblico giovane, fatto di adolescenti. Sapevamo che era a loro che ci stavamo rivolgendo. Essere insieme al resto del cast, poi, è stato come tornare a casa, dalla propria famiglia. È importante sapere che per qualsiasi cosa c’è qualcuno su cui puoi contare».

Voi attori avete fatto amicizia sul set?
«Io e Alba August (interpreta Simone, sorella di Rasmus, ndr) siamo molto amici. Dopo la prima stagione ci siamo trovati così bene che, in un certo senso, siamo diventati davvero un po’ fratello e sorella. Ci siamo incontrati tante volte, prima dell’inizio delle riprese della seconda stagione».

Si ricorda la prima volta che le è stato proposto questo progetto?
«Ero ancora al liceo. Un anno prima, avevo deciso di andare a vivere con mio padre. È stato in quel momento che ho ricevuto una telefonata dal direttore del casting di “The Rain”. La verità?».

Certo.
«Ero felice. Perché per la prima volta, anche in Danimarca, avremmo girato una serie post-apocalittica, diversa dalle altre cose che erano già state fatte. Quando ho saputo che dietro al progetto c’era Netflix, ho pensato che non ce l’avrei mai fatta a superare il provino, che era tutto troppo grande per me».

E invece.
«Questo è stato il mio primo ruolo da protagonista. Quando è iniziato il processo di casting, mi sono immediatamente innamorato di questa serie. Sapevo di dover dare il massimo; e sapevo che se non ci fossi riuscito non me la sarei mai, mai, perdonato».

Le sue esperienze passate, al teatro e in altre produzioni, l’hanno aiutata ad affrontare questo ruolo?
«Credo che aver preso parte a tante cose, molto spesso piccole, sia stato fondamentale. Perché mi ha permesso di sbagliare e di imparare dai miei errori, preparandomi – magari non direttamente – a questo ruolo, a “The Rain”. Mi ha reso consapevole delle mie potenzialità e dei miei limiti. È stato come una scuola. Una scuola fatta di pratica».

Crede che “The Rain” abbia cambiato la televisione danese?
«Assolutamente. Perché è stata la prima serie di Netflix e perché ha portato un nuovo genere nel nostro mercato. Ha rappresentato un punto di svolta, in tutti i sensi. All’inizio le persone erano molto scettiche, non credevano che un progetto del genere avrebbe funzionato. “The Rain” è un esempio di quello che possiamo fare, del fatto che anche la Danimarca, se vuole, può ottenere risultati al livello di Hollywood».

Qual è la differenza più importante tra la prima e la seconda stagione?
«Lo sviluppo dei personaggi. Nella prima stagione dovevamo poggiare le basi della storia e dell’ambientazione. Adesso abbiamo molto più spazio per approfondire i singoli ruoli. È quello che piace alle persone, l’elemento in cui più e meglio riescono ad immedesimarsi. Ed è proprio per questo motivo che “The Rain” ha avuto così tanto successo. È una serie che parla di crescita, che parla di maturazione».

E anche del peso che le nuove generazioni, rispetto alle vecchie, devono portare sulle proprie spalle. Un tema attualissimo.
«È questo il vero problema. Le persone e quello che hanno fatto, e l’eredità che viene lasciata ai più giovani, che ora devono rimboccarsi le maniche per cercare di cambiare il corso della storia. È anche la dimostrazione che i veri mostri, i veri cattivi, siamo proprio noi, con le nostre scelte e con i nostri errori».

Gianmaria Tammaro, lastampa.it

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