Javier Bardem: «Da operaio divento padrone, sfida da Oscar con Penélope»

«Io e Fernando León De Aranoa candidati spagnoli all’Oscar e Madres paralelas no? Anime divise in due — ride di cuore Javier Bardem, raggiunto dal Corriere in un raro intervallo del suo pendolarismo tra Madrid e Hollywood —. Ho lavorato con Pedro in Carne tremula dove Penélope partoriva un bambino aiutata da mia madre (la grande attrice Pilar Bardem, scomparsa in luglio, ndr). Con Fernando, io e lei abbiamo girato Loving Pedro. Siamo pieni di gratitudine all’idea che i nostri film possano rappresentare il cinema spagnolo, quando è arrivata la notizia eravamo divisi a metà, ma in ogni caso felici per l’altro. Credo che lei abbia buona possibilità, dopo la Coppa Volpi a Venezia, di essere nominata tra le attrici per il ruolo meraviglioso di Janis». Per quello di Julio Blanco, El buen patrón di Fernando León de Aranoa, Bardem ha ricevuto una delle venti candidature ai Goya, mai così tante nella storia degli Oscar spagnoli. E, appunto, la commedia (in uscita il 23 dicembre per Bim con il titolo Il capo perfetto) è stata scelta dall’Academia española de Cine per rappresentare la Spagna nella gara del miglior film internazionale.

Vent’anni fa proprio con de Aranoa raccontò la vita agra dei disoccupato di Vigo. Ora è un padrone, con pochi scrupoli e molto carisma.
«Ne I lunedì al sole in primo piano c’erano gli operai senza lavoro, qui la controparte, l’imprenditore, il potere. Il tono è da alta commedia ma come sempre con Fernando è un film di critica sociale. La differenza è che allora c’era un senso di solidarietà, di appartenenza di classe che sta scomparendo, siamo più individualisti, egoisti, soprattutto con la pandemia. La partecipazione a un movimento collettivo, a battaglie comuni, è più difficile anche perché pensiamo di poterlo fare con Twitter. Ma le rivoluzioni si fanno con la presenza fisica».

Cos’ha di buono «el buen patron» Julio Blanco?
«Il suo talento è manipolare gli altri, sedurle, si sente in diritto di usare le persone. Ma nella settimana in cui si svolge il film vediamo che quello che sembrava generosità è egoismo, la sua empatia è prepotenza. Ne conosciamo di capi così, gente che oggi si inizia a denunciare. Riconoscibili in tutto il mondo, l’ho paragonato a un Weinstein. Infatti alle proiezioni americane il pubblico reagisce come quello spagnolo».

Ci ha regalato una bella carrellata di cattivi. Cosa la attrae e ce n’è qualcuno che non farebbe mai?
«Nei film Marvel o in 007 accettiamo che il male sia male e basta. Ma in quelli più realistici ci si interroga dove stia la frattura, ci deve essere qualcosa che lo ha reso così. Un dolore, un trauma, una ferita. Come attore mi attrae molto. Anche di un tipo simpatico come Blanco mi intriga per il lato oscuro. Neanche il papa è un santo. Detto questo, so con certezza che non interpreterei mai un pedofilo, non sarei in grado di dare una spiegazione su qualcuno che molesta i bambini. Ci sarà ma non mi interessa».

In compenso Hollywood la fa ballare e cantare: «Being the Ricardos», «The Little mermaid» di Rob Marshall dove è Tritone, «Lyle, Lyle Crocodile».
«Non ho mai lavorato così tanto nella mia vita. Non potevo dire di no, è una fortuna in un anno di pandemia. Mi diverte fare cose brillanti ma negli ultimi due casi hanno deciso i nostri figli, Leonardo e Lola: non si discute, se fai ridere meglio».

Nuovi film all’orizzonte con Penélope?
«Mi piacerebbe è sempre più brava ma dopo Loving Pablo Tutti lo sanno di Farhadi abbiamo pensato di prendere una pausa. Mescolare piano personale e professionale è impegnativo, siamo attenti alle esigenze della famiglia».

Ha lavorato con alcuni dei più grandi registi del mondo, non vorrebbe dirigere lei?
«Non so se ne sarei capace. Mi piacerebbe scrivere ma non credo di saperlo fare. Mi sembra sia venuto tutto con facilità da quando ho iniziato a recitare, tante opportunità con gente straordinaria. Ho avuto fortuna, conosco attori di talento che non ne hanno avuta altrettanta. E penso sempre che devo meritarmela questa fortuna, preparandomi bene. Devo avere il paracadute a posto e poi mi lancio».

Stefania Ulivi, corriere.it

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