Radiohead a Tel Aviv, la protesta continua sui social

Roger Waters, Brian Eno, Ken Loach e Mike Leigh hanno aderito alla petizione che chiedeva alla band di cancellare la tappa israeliana che chiude il tour mondiale della band. Michael Stipe a favore: “Sostengo la loro decisione”

I fan israeliani festeggiano l’arrivo dei Radiohead ma sui social non si placa la polemica e si moltiplicano i messaggi di protesta. Thom Yorke va avanti e si prepara a chiudere stasera a Tel Aviv il tour mondiale che celebra i vent’anni di Ok Computer senza replicare ai ripetuti inviti a boiocottare la serata. Oltre mille persone hanno firmato la petizione in cui chiedendo di cancellare la tappa israeliana in segno di critica verso il governo per la sua politica di prevaricazione nei confronti del popolo palestinese. Su tutti Roger Waters che ha invitato nuovamente la band di Oxford a ripensarci durante una recente diretta Facebook con il movimento Bds che promuove il boicottaggio, il disinvestimento e le sanzioni contro Israele, opponendosi all’occupazione palestinese, da cui è partita la petizione. “La mia risposta alla gente che dice che dovremmo andare là, sederci intorno al fuoco a cantare è no, non dobbiamo. Noi osserviamo la linea del boicottaggio. Chiunque sia tentato a non farlo, come i nostri amici Radiohead, dovrebbe ripensarci” ha ribadito l’ex Pink Floyd, chiedendo nuovamente a Yorke di aprire un dialogo con Ken Loach e Brian Eno che hanno rivolto lo stesso invito. “Tu ci hai ignorato – ha concluso Waters – non vuoi parlare con nessuno di nulla. E’ quel tipo di isolazionismo che è estremamente inutile per tutti”. Anche Mike Leigh si è aggiunto al coro di proteste aderendo alla lettera aperta degli artisti britannici per la Palestina con un suo intervento: “I Radiohead suoneranno nello stadio di Tel Aviv costruito sulle rovine del villaggio palestinese di Jarisha. È un fatto triste che i commenti di Thom Yorke siano privi di qualsiasi riferimento ai palestinesi che hanno chiesto di non esibirsi in Israele. Mentre manca la luce a Gaza e i malati di cancro palestinesi muoiono perché non sono concessi permessi di viaggio da parte di Israele, mentre un poeta palestinese in Israele vive agli arresti domiciliari per una poesia scritta su Facebook, Thom Yorke parla di ‘attraversare i confini’ e ‘libertà d’espressione’, bisogna chiedere: libertà per chi?“. Prima di lui Ken Loach era intervenuto nel dibattito su Twitter: “La scelta è semplice, i Radiohead devono decidere se sono dalla parte degli oppressi o degli oppressori“. Thom Yorke aveva replicato: “Suonare in un Paese non equivale a sostenere il suo governo. Abbiamo suonato in Israele per oltre vent’anni con diversi governi, alcuni più liberali di altri. Così come in America. Non appoggiamo Netanyahu e tantomeno Trump, ma suoniamo comunque negli Stati Uniti. La musica, l’arte e la cultura attraversano i confini e non li costruiscono, aprono le menti, condividono umanità, dialogo e libertà d’espressione. Credo che questo sia chiaro, Ken”. In precedenza Thom Yorke in un’intervista a Rolling Stone aveva dichiarato: “E’ profondamente irrispettoso supporre che siamo male informati o che non siamo in grado di prendere decisioni per noi stessi”. Nel coro di critiche, solo una voce si è alzata a favore. “Sto con i Radiohead e sostengo la loro decisione di esibirsi” ha scritto Michael Stipe tre giorni fa in un post su Instagram. “Speriamo che il dialogo continui – ha aggiunto il leader dei R.E.M. – aiutando a porre fine all’occupazione e portando a una soluzione pacifica

la Repubblica

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