Forlì, John Malkovich strega il teatro Fabbri

Applausi per la star americana con il suo ‘Report on the Blind’, adattamento di un brano del romanzo ‘Sopra eroi e tombe’

I mille volti di Malkovich. Nella sua due giorni forlivese, la star cinematografica è stata descritta da fan e addetti ai lavori come un uomo sempre disponibile, sorridente, persino timido. Ha sorseggiato caffé e cappuccino al bar come un qualunque turista americano, intrattenendosi con i passanti e concedendosi agli obiettivi avidi degli smartphone. Ma sul palco, con il suo ‘Report on the Blind’, adattamento di un brano del romanzo ‘Sopra eroi e tombe’ di Ernesto Sabato, John Malkovich è tornato ad essere il solito gigante della scena: magnetico, seducente, ipnotico. Così come «ipnotico, nella sua ripetitività» – lo ha dichiarato lui stesso in conferenza stampa – era il «tappeto sonoro» del compositore russo Alfred Schnittke, il cui ‘Concerto per pianoforte e archi’ ha accompagnato la voce dell’attore nella prima italiana che Forlì ha avuto l’onore di ospitare ieri sera al teatro Diego Fabbri (l’evento era inserito nel cartellone estivo di Emilia Romagna Festival). L’esecuzione musicale dell’orchestra de ‘I Solisti Aquilani’ è di altissimo impatto emotivo, così come intense ed eleganti appaiono la violinista Lana Trotovsek, nella prima parte, e la pianista Anastasya Terenkova al fianco dell’attore nella seconda. Le note, studiate una ad una per rendere la carica umana dello scrittore argentino – di cui Malkovich ha estrapolato solo una digressione poetica dotata di forte autonomia espressiva, un «distillato» di quattro pagine su 250 –, si intrecciano alla perfezione con la voce profonda, potente, a tratti rabbiosa, dell’io narrante (Fernando Vidal Olmos) in un viaggio onirico, allucinato e paranoico. Le parole sono scandite in modo ossessivo, prendono forza e con forza descrivono i deliri di un’anima straziata e inquieta che teme la morte. Il sipario si alza su una introduzione tutta musicale in cui l’orchestra, diretta dal maestro Alvise Casellati, spazia da Bach a Sostakovic, compositore la cui produzione ha influenzato il giovane Schnittke. E sono proprio le note del pianista russo – nella mirabile esecuzione della Terenkova – a fare da specchio e da contraltare, nella seconda parte dello spettacolo, alle parole di Malkovich, che entra in scena e usa la voce quasi fosse anch’essa uno strumento musicale dotato, però, di anima e corpo. A volte fluida, a tratti agitata come un mare in tempesta e poi pesante come un macigno sugli accenti – ‘Violate the secret’, ‘Believe me’ –, ma sempre e comunque intensa, la sua voce arriva alle viscere dello spettatore e strappa applausi convinti e scroscianti al termine di un’interpretazione impeccabile. Quando cala il sipario, il pubblico saluta con orgoglio – e forse già con un pizzico di nostalgia – una leggenda di Hollywood che, grazie ad Emilia Romagna Festival, ha regalato alla città e al suo teatro una serata di altissimo profilo culturale e di forte impatto emotivo da iscrivere nell’album dei ricordi.

Serena d’Urbano, il Resto del Carlino

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