Alain Delon, vittima di una cultura del linciaggio

La damnatio dell’attore decretata da un manipolo fanatico non è comica, non è la parodia grottesca di cose molto serie come il «sessismo» e il «razzismo». E’ vera

Siamo a Cannes e sembra una parodia comica di un film catalogato come «serio», come la trasposizione da Parigi a Zagarolo che Franchi e Ingrassia proposero del famoso tango di Bertolucci. Ma la damnatio di Alain Delon decretata da un manipolo fanatico non è comica, non è la parodia grottesca di cose molto serie come il «sessismo» e il «razzismo». No, è tragicamente vera. È vero che il premio alla carriera che Cannes assegnerà a un’icona storica del cinema viene contestato. È vero che il nome di Alain Delon viene ostracizzato. È vero che di Alain Delon si chiede la messa al bando non per quello che ha fatto, ma per quello che ha detto, ritenuto sconveniente dalle vestali del pensiero censurato.Fosse una manifestazione di solitaria intolleranza, la bizzarria di menti eccitate, davvero non varrebbe nemmeno la pena di parlarne. Ma invece l’ostracismo contro Alain Delon è solo l’ultimo anello di una catena di intolleranze, di intimidazioni, di linciaggi di immagine che sta sconvolgendo da anni il mondo della cultura, dell’arte, dello spettacolo. Chiudono mostre d’arte, bandiscono i classici della letteratura dalle università, impediscono l’uscita del film di Woody Allen. Ora si gettano su Delon, senza timore del ridicolo perché sanno che ormai il messaggio intimidatorio è arrivato: chiunque può essere messo al rogo (simbolico, ancora, e per fortuna), la caccia alle streghe può partire in ogni momento, anche approfittando di un festival internazionale. Ma bisogna insistere, pensare che premiare Delon per la sua carriera è cosa giusta e sacrosanta e che nessuno strepito potrà occultare questa semplice verità. Bisogna avere anche un po’ pena per le menti sovreccitate dei nuovi paladini della censura e del silenzio intimorito. E neanche questa è una parodia.

Pierluigi Battista, ilcorriere.it

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