Peter Jackson, il mio ritratto senza filtri dei Fab Four

Un ritratto ‘dal vero’ dei Beatles mai finora così privo di filtri: grazie a un materiale straordinario, “mi sono sentito come una mosca sul muro.

Si comprende molto di più delle loro dinamiche, anche come affrontassero i problemi.

E’ interessante e affascinante. Ti rendi conto ancora di più che erano ragazzi di Liverpool normali e perbene, ognuno molto diverso dall’altro. Ora li rispetto ancora di più”. Parola di Peter Jackson, che in un incontro con la stampa internazionale racconta come si sia immerso negli ‘ultimi fuochi’ come band dei Fab Four, creando la docuserie originale Disney+ in tre parti The Beatles: Get Back, che arriverà in esclusiva sulla piattaforma streaming il 25, 26 e 27 novembre. E’ un viaggio nelle leggendarie “Get Back Sessions” per le quali a gennaio 1969 la band, a un passo dallo scioglimento, si riunisce a Londra con l’obiettivo di finalizzare in due settimane le canzoni per un nuovo disco, prima di un’esibizione dal vivo che sarebbe dovuta essere il cuore di uno special tv (idea poi accantonata). Ne scaturiscono l’iconico ultimo live insieme sui tetti degli Apple Studios a Savile Row (qui per la prima volta mostrato interamente) e l’album ‘Let it be’, pubblicato però solo nel 1970, dopo ‘Abbey Road’ (che aveva comunque molte tracce nate nelle Get back sessions) registrato cronologicamente dopo, ma uscito a settembre 1969. Ritratti d’artisti, per Paul McCartney, John Lennon, Ringo Starr e George Harrison, tra musica, amicizia fraterna, contrasti, crisi, divertimento, picchi creativi, stalli, battute e tensione, lavoro in studio e gioia condivisa spesso con compagne, mogli (da Yoko Ono a Linda McCartney) e figli. Un affresco nato da 60 ore di filmati girati allora in 21 giorni da Michael Lindsay-Hogg e da oltre 150 ore di audio inedito, la maggior parte dei quali è stata chiusa in un caveau per oltre mezzo secolo. Jackson è l’unica persona in 50 anni ad aver avuto accesso a questo tesoro (il progetto è nato dalla Apple Corps, la compagnia che gestisce tutti gli interessi creativi e economici legati ai Beatles), riletto dal cineasta grazie a uno straordinario lavoro di restauro e ripulitura effettuato con le ultime tecnologie, che ha anche fatto riemergere conversazioni finora mai finora ascoltate tra I quattro musicisti. “E’ come se fossi diventato una mosca sul muro in quegli studi di registrazione” spiega -. E’ stato un po’ come se li spiassi, mi sembrava a volte di ascoltare delle ‘intercettazioni’ alla maniera dei servizi segreti”. Un’impresa nella quale Jackson si è lanciato prima di tutto da fan dei Beatles: “Sono nato nel 1961, c’ero quando uscirono i loro dischi, anche se non ne ho loro ricordi diretti legati agli anni ’60, i miei non li ascoltavano, avevamo invece la colonna sonora di South Pacific e di cantanti come Engelbert Humperdinck – ricorda sorridendo -. Però da adolescente i primi dischi che ho comprato con la paghetta sono stati due loro album doppi, che mi hanno reso loro fan. Ed era importante esserlo per questo progetto, perché in una mole così enorme di materiale serviva qualcuno che capisse i tanti riferimenti e spunti che emergono”. L’esame non facile da superare era quello del giudizio dei due Beatles rimasti, Paul McCartney e Ringo Starr: “Mi aspettavo mi facessero qualche rilievo, non ne sarei stato sorpreso, sarebbe stato normale, invece non ho avuto una sola critica o richiesta di correggere qualcosa. L’unica cosa che mi hanno detto scherzosamente è che vedere la docuserie è stata una delle ”esperienze più stressanti della loro vita”. C’è “una componente di coraggio da parte loro perché qui si espongono sotto ogni aspetto, si rivela ciò che è realmente accaduto in quel periodo”. Uno “dei commenti più gratificanti l’ho ricevuto da Paul, mi ha detto che il mio è un ritratto molto accurato e veritiero di come fossero allora”. Oltretutto non hanno voluto ci fosse nessun ‘abbellimento’: “La Disney voleva rimuovessimo le parolacce, ma Ringo, Paul e Olivia (Harrison, la vedova di George) gli hanno chiesto di non farlo, perché tutto contribuisce a mostrarli nella maniera più reale possibile”.

Francesca Pierleoni, ANSA

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