TOM HANKS: “NELL’AMERICA DI TRUMP L’EROISMO È LA NORMALITÀ”

È la star di “Sully” di Clint Eastwood. L’anteprima al Torino Film Festival

tom-hanks-clint-eastwoodÈ TOCCATO a Tom Hanks consolare quella parte d’America sconvolta dalla vittoria di Trump. Due giorni fa dal palco newyorkese del MoMa (Museum of modern art) che gli ha tributato un premio, l’attore, sostenitore storico del partito democratico – Hanks è uno dei 21 personaggi cui Obama ha assegnato ieri la medaglia della Libertà – ha ricordato: “Il nostro paese ha fronteggiato momenti peggiori, abbiamo una meravigliosa Costituzione a garantirci”. Più di nessun altro a Hollywood Hanks ha saputo rappresentare l’eroismo dell’uomo comune. Lo fa anche in Sully di Clint Eastwood la storia vera di Chesley “Sully” Sullenberger, che il 15 gennaio del 2009 salvò la vita di 155 passeggeri con un ammaraggio d’emergenza sul fiume Hudson, ma che poi fu indagato dalle compagnie di assicurazione che vollero capire se avesse ecceduto in prodezza.
Sully, in sala il primo dicembre, è uno dei film più attesi del Torino Film Festival (che parte oggi e che nei prossimi giorni ospiterà il vero Sullenberger) e in corsa per gli Oscar, dove Hanks potrebbe agguantare la terza statuetta. Incontro dopo incontro, l’attore resta lo stesso, gentile e capace di godersi il momento, in questo caso due uova in padella e un espresso italiano.
Com’è stato l’incontro con Eastwood?
“Non ci conoscevamo. La chiamata è arrivata sul set di Inferno. Il primo colloquio con Clint è stato pratico. “Gireremo quel numero di giorni, in quel mese, puoi?”. Ho chiesto solo di poter incontrare il vero Sully: “Ok, ma non sei obbligato. Potrebbe essere fonte di problemi, ma tu sei un tipo intelligente” “.
E com’è andata?
“Sully è un pilota, con la stessa maniacalità con cui controlla l’aereo prima del decollo ha ispezionato la sceneggiatura e fatto correzioni. Alcune erano giuste: i due piloti non possono parlare in fase di decollo, sarebbero licenziati. A un certo punto però ho dovuto staccarmi dalla realtà per seguire la sceneggiatura. Gli ho ripetuto quel che avevo detto al Capitano Philips e a Charlie Wilson per gli altri film: io cercherò di essere più realistico possibile, ma dirò cose che non hai detto e farò cose che non hai fatto. Un film è un film”.
Sul set con Clint?
“Come vuole la leggenda: un ciak, massimo due. Niente prove. Sul set Clint lavora sempre con le stesse persone, tutti sanno quel che devono fare. Non ama parlare, ama fare. Così ci siamo riuniti con gli attori per una prova di lettura e sul set abbiamo girato in un giorno ciò che era previsto per due. Era contento, Clint”.
Non avete parlato di politica? Avete posizioni piuttosto diverse…
“Io ho sostenuto Hillary Clinton, lui è il repubblicano che fece il discorso alla sedie vuota di Obama. Ma Clint è un americano, gli piace essere americano e ha fatto anche il sindaco. Sul suo set non si discute di politica perché non gli importa di quello che pensi tu sulla politica. Ma è un regista capace d’interpretare la società americana. Ha capito che quella di Sully era una storia opposta all’11 settembre. C’è un aereo in picchiata tra i grattacieli, il pensiero va al terrorismo “mio dio, accade di nuovo”, e invece è un pilota che ripaga la fiducia dei passeggeri che gli hanno affidato le loro vite facendoli tornare a casa sani e salvi”.
Come si può conservare l’entusiasmo a Hollywood?
“Mettiamola così: c’è chi fa film per avere potere e magari fare il prepotente, chi lo fa per soldi e lotta per ogni clausola del contratto. Io lo faccio perché mi diverto come quando, ragazzino, andai la prima volta al cinema da solo e capii che c’era davvero un mestiere come questo. Scelgo solo storie in cui credo e credo solo in storie che rispecchino l’umanità di chi le guarda, in cui ci si possa identificare. Mi hanno proposto decine di “storie vere” fasulle, le fiuto lontano un miglio”.
Può scegliere…
“Ho sessant’anni e faccio questo mestiere da quaranta. Sono felice che il telefono continui a squillare. Ma vengo anche da una generazione fortunata rispetto ai ragazzi di oggi, che si muovono in condizioni difficilissime. A vent’anni mi trasferii con moglie e figli a New York; riuscivo a pagare l’affitto di un appartamentino sulla 45esima. Con i prezzi attuali sarebbe impossibile “.
Due film a cui è particolarmente affezionato?
Cast away fu un’avventura indimenticabile. Ma anche Cloud Atlas dei fratelli Wachowski. In genere non vedo i miei film, questo l’ho rivisto cinque volte. La sceneggiatura è bella, filosofica. C’è uno scambio di battute, purtroppo non le mie: “Tu sei solo una goccia nell’oceano”, “Cos’è un oceano se non una moltitudine di gocce?”. Credo che il tempo porterà giustizia e che questo film troverà il suo posto”.

Arianna Finos, la Repubblica

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