‘Mio fratello’ e la lotta per la vita

Alla Festa di Roma il docu-film familiare di Marco Leopardi

Immaginate un’infinita serie di filmini di famiglia a cui si uniscono quelli ancora più numerosi e digitali di uno dei suoi componenti, il tutto raccolto in un unico film da un noto regista di documentari. È quello che propone ‘Questo è mio fratello‘, film puzzle che passa oggi in anteprima alla Festa di Roma, diretto da Marco Leopardi e con protagonisti Massimo Leopardi, fratello minore del regista, da sempre afflitto da depressione, e i loro genitori. Un docu-film, prodotto da Donatella Palermo e Rai Cinema, che è uno strano miscuglio di filmati, da quelli classici di famiglia in Superotto, a quelli autoprodotti nel corso degli ultimi anni in digitale. Il tutto per raccontare la vicenda umana di Massimo, ora 55enne, uomo complicato, egocentrico, esuberante, colto, e in lotta con la depressione da 25 anni. Una lunga sofferenza, la sua, mai davvero vinta, ma combattuta con esperienze adrenaliniche ed estreme, dal parapendio al paracadutismo fino al jumping (è stato anche vicecampione mondiale master di tuffi). Massimo, tre mogli e tante esperienze, da pilota di satelliti a creative director di un sito di alimentazione vegana, ha cercato insomma la sfida contro la sua malattia praticando non solo gli sport più pericolosi, ma misurandosi anche con mestieri come l’attore, il produttore e il regista. Ma per lui nonostante dieci anni di analisi anche diversi tentativi di suicidio. Marco, suo fratello, parte da questa eclettica figura per ricostruire sia la sua storia sia quella della sua famiglia. Ma durante il montaggio dei filmati, sviluppa una tesi: il desiderio quasi maniacale di apparire del fratello, il suo narcisismo “è solo una continuata richiesta di affetto e forse anche il desiderio di lasciare una testimonianza che possa aiutare altre persone che vivono le sue stesse difficoltà. Un messaggio di speranza quello di Massimo che si oppone all’autodistruzione semplicemente con una vita dove coesistono sofferenze e momenti di assoluto divertimento”. “Nei periodi peggiori, non avevo neppure la forza di alzarmi dal letto. Dolori diffusi in tutto il corpo molto più forti di quanto gli stessi medici credano. È normale così avere voglia di aprire la finestra e buttarsi di sotto. Ti sembra in quei momenti l’unico modo per sfuggire al dolore. E le terapie farmacologiche poi fanno poco o ti fanno sentire male, ma in modo diverso”. Il perché di questo film? “Quello di dire a chi soffre di questa malattia di trovare il coraggio, di avere speranza e, soprattutto, di cercare aiuto perché – dice ancora Massimo – ci si cura proprio cercando aiuto”.

Francesco Gallo, Ansa

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