‘Bad Times at the El Royale’, sette sconosciuti in un hotel: “In questa storia nulla è come appare”

John Hamm e Dakota Johnson nel film d’apertura, ambientato negli anni 60 in un albergo sul confine tra California e Nevada. Il regista Drew Goddard: “Il male che vediamo, cioè maschilismo, sessismo, razzismo, è qualcosa con cui lottiamo da secoli”

La Festa di Roma parte con un noir corale che mescola elementi di commedia e di thriller, lo firma Drew Goddard (produttore di spicco in tv Lost e Daredevil) che torna alla regia dopo il debutto horror Quella casa nel bosco. Con 7 sconosciuti a El Royale, nelle sale il 25 ottobre distribuito da Fox, mette insieme un cast all star che spazia da John Hamm di Mad Man a Dakota Johnson delle 50 sfumature e dei film di Guadagnino, dalla star Marvel Chris Hemsworth al premio Oscar Jeff Bridges. Accanto a loro altri attori meno noti ma non per questo meno talentuosi tra cui la bravissima Cynthia Erivo, star dei musical di Broadway e Londra, nel ruolo di una cantante afroamericana la cui carriera è stata rovinata dall’incontro con un produttore prepotente (un cameo divertente di Xavier Dolan).Nell’America degli anni Sessanta appena uscita dalla guerra in Vietnam, dalla morte di Kennedy e dall’American Dream, dove il tema dell’odio razziale e della violenza sulle donne è all’ordine del giorno, incontriamo sette personaggi ognuno con un passato turbolento alle spalle, accomunati soltanto da questo albergo ormai sul viale del tramonto costruito sul confine tra California e Nevada. “Quello che mi piace del cinema è il suo potere di creare mondi – spiega il regista – Mettere in unico posto sette personaggi in una notte sola notte è stata una sfida anche perché abbiamo scelto di girarlo in ordine cronologico per aiutare gli attori nell’evoluzione sottile dei loro personaggi e per fare in modo che tutto quello che accadeva rimanesse sul set. Il film gioca sui contrasti e sul fatto che nulla è come appare, anche l’albergo è così: diviso tra due Stati dove la dualità si ritrova in tutti gli aspetti del design”. In passato El Royale ha avuto ospiti di riguardo, nelle foto appese alle pareti si vedono immagini delle star anni Sessanta prima fra tutti Marilyn Monroe e, senza nominarli mai, si parla di politici da prima pagina, compreso uno che ormai è morto ma la cui memoria va preservata. Oggi invece è rimasto solo Miles un giovane concierge che lotta con i suoi demoni e le camere costano appena otto dollari in Nevada e nove in California (“alcuni clienti pensano che la California valga quel dollaro in più” spiega Miles). Per questa ragione ci finisce Darlene (Erivo), che si ferma per la notte, in attesa di cantare il giorno dopo a Reno, ma perché sono qui gli altri, l’apparente commesso viaggiatore Laramie Seymour Sullivan (Hamm), la seducente e misteriosa Emily (Johnson) e soprattutto Padre Flynn, prete con improvvisi vuoti di memoria? È chiaro che nessuno è chi dice di essere. A chi gli chiede l’importanza del suo film nell’era di #MeToo, il regista, che dichiara il suo amore per il cinema di Tarantino e i Coen e ha fatto vedere Barton Fink a tutta la troupe prima di iniziare le riprese, risponde: “Quando ho iniziato a scrivere il film, cinque anni fa, non pensavo fosse un commento alla realtà che stavamo vivendo. Ma d’altronde il male che vediamo in questa storia, cioè il maschilismo tossico, il sessismo, il razzismo è qualcosa con cui lottiamo da secoli. Certo negli anni può esserci stato un po’ di cambiamento ma non purtroppo non così tanto e questo rende il nostro film rilevante oggi”. Qui a Roma, oltre al regista, c’è la giovane Cailee Spaeny che nel film interpreta la sorella di Dakota Johnson, la fragile Rosie, vittima prima di un padre violento e poi di un santone che ricorda Charlie Manson, interpretato da Hemsworth perché dice il regista “volevo mostrarne il lato dark”. “Non mi sono ispirata a qualcosa o a qualcuno in particolare ma ho cercato di entrare nella testa di una persona che prende decisioni  estreme come quelle di Rosie – dice Cailee – Ho visto tanti documentari perché accade anche oggi che ragazze o ragazzi entrino in certe comunità convinte di farlo per amore ma l’amore e l’ossessione possono essere molto vicine”.

Chiara Ugolini, repubblica.it

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