“Forever” la nuova serie comedy con Maya Rudolph e Fred Armisen

A parte la trama amorosa, e l’evidentissimo sotto testo da commedia, riflette su situazioni particolari, a volte terribili e altre, invece, straordinarie. Disponibile su Amazon Prime Video

Il miglior consiglio che vi possiamo dare, prima di parlarvi di Forever, la nuova serie disponibile su Amazon Prime Video, è quello di evitare qualunque pizzino di trama, qualunque sinossi e qualunque clip rivelatrice. Perché la cosa più bella di questa comedy è come, dopo i primi episodi, riesca a stravolgere e sconvolgere completamente la trama. La storia che racconta – e dirvi questo, promesso, non vi rovinerà in alcun modo la sorpresa – è una storia d’amore.

Anche i gesti più piccoli, in “Forever”, sono intrisi di una cura e di un’attenzione straordinari. E quindi anche una cena, con lui che si finge cuoco e cameriere e lei che sta al gioco, o una chiacchierata in macchina su “cosa fare con mezz’ora libera”, diventa appassionante. Alla base di tutto c’è la scrittura. Uno dei creatori di “Forever” è Alan Yang, che tra le altre cose ha già lavorato a serie come “Master of None”.

La parola d’ordine è: normalità. Una normalità, si scopre andando avanti, estremizzata, a volte eccessiva, sicuramente e volutamente piatta. Ma una normalità che riesce a dare, di contro, uno spessore e una veracità insospettabili. Se da una parte c’è la scrittura, dall’altra ci sono i due attori. E se Armisen, che interpreta un dottore che si accontenta di piccole cose, come andare a pesca o passare il weekend insieme a sua moglie, riesce con pochissimo – un mezzo sorriso, la fronte aggrottata, un sopracciglio inarcato – a rendere lo stato d’animo del suo personaggio, la Rudolph, che interpreta un’impiegata, una che, con il tempo, è finita letteralmente schiacciata dalla ripetitività di ogni giorno, è più fisica, più dinamica; a tratti, per quanto forte possa suonare, esplosiva.

Insieme funzionano alla perfezione. L’uno compensa l’altra, e viceversa. Le due facce della stessa metà, o se preferite i due pezzi, perfettamente incastonati, di un puzzle. Non succede niente di straordinario (si fa per dire…) e va bene così. A parte la trama amorosa, e l’evidentissimo sotto testo da commedia, “Forever” è anche una serie che riflette su situazioni particolari, a volte terribili e altre, invece, straordinarie.

I comprimari, proprio come in “Master of None”, vengono avanti a tratti, prendendosi solo di tanto in tanto, quando serve per approfondire un certo tema o per vedere la storia da un altro punto di vista, la scena. Per il resto del tempo, restano come in disparte, in attesa, pronti ad intervenire per affiancare lui o lei, o per aiutarli in qualcosa (ci sono episodi in cui i due protagonisti sono divisi, e reggono ugualmente bene).

Pur nell’assurdità di quello che succede dopo (evitate qualunque tipo di rivelazione eccetera eccetera), ritorna sempre lo stesso ritmo appagante e familiare, mai eccessivo, mai troppo sopra le righe, così conciliante e affabile da tenere costante sia il tono del racconto, sia la qualità della scrittura. Il fatto, poi, che gli episodi durino poco – tra i venti e i trenta minuti, con un unico picco di trentacinque minuti – e che ce ne siano solo otto riesce a non affaticare né l’andamento nella storia, né, dall’altra parte, lo spettatore.

C’è una linearità quasi rilassante, in “Forever”. E gli sbalzi – che pure ci sono – sono anomalie accettabili, interessanti, che portano il racconto su un altro piano senza snaturarlo troppo. È una bella serie, insomma. Una piacevolissima sorpresa. Per tutte le cose che non vi abbiamo rivelato e che, ora, v’invitiamo a scoprire da soli. E pure perché segna un altro precedente per un certo tipo di commedia (che non è, e non va, intesa come “cosa divertente”), che fa della normalità, del meccanismo della quotidianità, il suo fulcro.

 

La Stampa

Torna in alto