Tokyo 2020: Debora Vivarelli e il ping pong

Quella che il 23 luglio sfilerà durante la cerimonia d’apertura dei Giochi sarà la squadra italiana con il più alto numero di presenze femminili nella storia. Le Atlete azzurre si sono prese la scena. Talvolta stabilendo primati, riuscendo sempre a sconfiggere le difficoltà e i troppi «non puoi» che si sono sentite dire nel corso della loro vita. Ne abbiamo scelte sette. Sette storie emblematiche che, comunque vada in Giappone, profumano già di vittoria.

«Correre i 100 metri giocando a scacchi»: è il ping-pong secondo Debora Vivarelli, unica qualificata ai Giochi in questa disciplina dominata da una sola nazione, la Cina. Vincono loro, comandano loro e sono dovunque, «chi non riesce ad arrivare al top in patria prende un altro passaporto». Una supremazia che spinge il resto del mondo a
coalizzarsi, «si gioca per avvicinarsi più che per batterli». Avvicinarsi costa 6 ore di fatica al giorno, 6 giorni a settimana, tutto l’anno, in un calendario che non prevede soste, per sincronizzare la velocità all’intuizione, abituare gli occhi e le gambe. Imparare a calcolare le mosse in base ai movimenti dell’avversario. Tra l’intermezzo del barbecue tra amici e il professionismo ci sono diversi gradi di separazione. Non esistono parentele. Debora, a 28 anni, è la numero 33 al mondo e a Tokyo ci vanno in 72. Si presenta con una tecnica «mascolina e aggressiva».

“Lo sport è più avanti della società e deve spingere. Merito di guadagnare come un uomo, anche con il ping-pong”

Il tennis da tavolo si è fatto più fisico con l’evoluzione dei materiali, per questo lei si è scelta un modello roccia: Lindsey Vonn. «Cento volte è caduta e cento si è rialzata. Indistruttibile. Inarrivabile». L’essenza della competizione secondo Debora, che guarda ai numeri della parità raggiunta ai Giochi e pensa alle cifre fantasma che resistono dietro la facciata, alle differenze di ingaggi e premi: «qui non si guadagna certo quanto nel tennis o nel calcio, però se uno prende 50, una incassa 20». C’è da farla viaggiare questa pallina.

(Giulia Zonca – Vanity Fair)

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