Scarlett Johansson, la polemica continua: “Come attrice potrei interpretare qualsiasi persona”

Dopo aver rinunciato a interpretare ‘Ghost in the Shell’ e un criminale transgender in ‘Rub & Tug’, l’attrice si è sfogata in un’intervista provocando nuove proteste

L’estate scorsa Scarlett Johansson rinunciò a interpretare un criminale transgender nel film Rub & Tug, in seguito alle proteste della comunità Lgbt che sosteneva il ruolo dovesse essere interpretato da un vero attore transgender. Un anno dopo, ricordando anche il precedente di Ghost in the Shell (lì le polemiche riguardavano il fatto che l’attrice interpretava un’asiatica), Johansson si è sfogata in un’intervista, sostenendo che come attrice le dovrebbe essere permesso interpretare “qualsiasi persona, qualsiasi albero, qualsiasi animale”. Altre polemiche per il paragone, ritenuto offensivo, marcia indietro di Scarlett. Da noi il politically correct è sostanzialmente sconosciuto, e forse ce ne vorrebbe un po’. Ma negli Usa è ormai fuori controllo, e non si può non provare simpatia per Scarlett, che già era intervenuta meritoriamente in difesa di Woody Allen. Portando il ragionamento al paradosso, infatti, le rivendicazioni in oggetto condurrebbero, semplicemente, alla morte della professione dell’attore, che è per definizione una persona che finge di essere qualcun altro. Il ragionamento dovrebbe colpire infatti i giovani che interpretano i vecchi, o i magri che interpretano i grassi, o tutti gli attori (generalmente benestanti) che fanno la parte dei poveri. Si obietterà: le proteste riguardano solo le minoranze discriminate, che dovrebbero avere la possibilità di autorappresentarsi. Ma è un ragionamento ingenuo. Siamo sicuri che affidare il ruolo di un trans a un vero trans, di un gay a un vero gay, di un nativo americano a un vero nativo, sia garanzia di autenticità? Che siano così automaticamente schivati i rischi del compiacere la maggioranza e dell’autoapologia? Per restare agli Usa, si pensi alle polemiche verso il troppo garbato Sidney Poitier, attaccato dai gruppi radicali tipo Black Panther come una specie di collaborazionista. O più indietro: se certo i minstrel show, con i bianchi dal volto dipinto di nero, perpetuavano certo stereotipi razzisti, la prima attrice di colore a vincere un Oscar fu Hattie McDaniels, la Mamie di Via col vento. Non esattamente un modello di progressismo.

Emiliano Morreale, repubblica.it

 

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