Davide “Gammon” Scheriani, lo psico-cantautore che mixa psicoterapia e musica

Un cantante che unisce le sue tante anime in un unico personaggio: da un lato psicologo, dall’altro songwriter e infine artista che nel canto trova un modo per esprimere le proprie emozioni e quelle altrui, riuscendo ad affrontare e metabolizzare problemi in una prospettiva inedita. In occasione dell’uscita del suo nuovo singolo, “Diario del dopobomba” (in anteprima esclusiva per Sky TG 24) abbiamo intervistato Davide “Gammon” Scheriani per chiedergli come “cura” con la sua arte

DavideGammon Scheriani è un nome che in sé sintetizza tante anime, prima ancora di tante professioni. Si tratta infatti di uno “psico-cantautore”, come egli stesso si definisce: da un lato psicologo, dall’altro songwriter e infine artista che nel canto trova un modo per esprimere le proprie emozioni e quelle altrui.

Questo musicista sottostà a una vera e propria vocazione: quella di mettere l’arte al servizio del benessere mentale, dell’armonia emotiva, della calma, della pace con se stessi. Per lui la musica non è questione di belle canzonette da canticchiare sotto la doccia, né di hit che passano no stop in radio: i brani scritti e cantati da Davide “Gammon” sono strumenti per affrontare e metabolizzare problemi in una prospettiva inedita e assai interessante, quella della psico-canzone appunto.

In occasione dell’uscita del suo nuovo singolo, intitolato “Diario del dopobomba”, abbiamo intervistato Davide “Gammon” Scheriani per chiedergli in cosa consiste il suo lavoro, come nasce e quali sono i suoi progetti futuri. Potete guardare in anteprima esclusiva per Sky TG24 il videoclip della canzone “Diario del dopobomba” nel video che trovate in fondo a questo articolo.

Uscirà venerdì 20 maggio il nuovo brano corredato da un eccezionale videoclip: “Diario del dopobomba” è prodotto da Lory Muratti e viene accompagnato da un video-racconto d’autore (diretto dalla stessa Muratti).
Sia il testo della canzone sia il videoclip raccontato il “dopobomba”, ossia il post-lockdown.
Non si tratta soltanto di un’istantanea pessimistica che sottolinea il malessere dilagante che la pandemia ha portato con sé: il prezioso plus di “Diario del dopobomba” è il suo essere propulsivo al “risveglio”, quell’aprire gli occhi e alzarci dal letto in cui da troppi mesi ormai ci ritroviamo incastrati.

Infatti, secondo le stesse parole dell’autore, la canzone offre spunti per trovare vie di fuga e per attuare un’evasione dalle proprie  “camerette interiori”.

“In questi ultimi due difficili anni ho continuato a comporre e, parallelamente, a lavorare per il benessere mio e di coloro che si sono rivolti a me in qualità di psicologo. Riflettendoci sopra, è come se le parole del ‘diario del dopobomba’ fossero state da me scritte e musicate per dare voce a una decisa affermazione: ognuno di noi (genitori, figli, oppure semplici individui) ha il diritto e il dovere di
riprendersi il rischio di vivere, di incontrare cose e persone nuove, di lasciarsi scaldare la pelle dal sole”, racconta Davide Gammon. “In breve di uscire di casa per riprendere il cammino e, osservando lo scenario del mondo mutato da pandemie e guerre, ritrovarlo ancora vivido e ricco di possibilità”.

Attivo sin dagli anni ’90 e costantemente alla ricerca di un connubio tra la propria attività di terapeuta e quella di songwriter attento alla contemporaneità, lo scorso marzo ha pubblicato “L’ironia della sorte” (Visory Suisse Rec.), primo episodio di un percorso musicale prodotto e realizzato da Lory Muratti all’interno del Laboratorio creativo “the house of love”.

“DIARIO DEL DOPOBOMBA”, UN PRONTUARIO MUSICALE ED EMOTIVO

“Diario del dopobomba” vuole porsi come una sorta di prontuario musicale ed emotivo, un vademecum di strategie utili all’evasione, alla rivendicazione di bisogni elementari per la ripresa di una vita “normale”. Si tratta della tappa di un viaggio musical-emotivo, una Via Crucis in cui ogni stazione è finalizzata a liberarci da un fardello psicologico ed emozionale.


Il brano è accompagnato da un videoclip d’autore situazionista, scritto e diretto da Lory Muratti. Quest’ultima si è trovata perfettamente a proprio agio, come regista, con la ricercae  l’interpretazione di mondi interiori connessi al sentire e ai bisogni psicologici. In questo modo Muratti è riuscita a interpretare l’immaginario di Davide Gammon in maniera mirabile.
Il racconto da lei firmato è una fotografia di un’adolescente (la figlia di Davide) incastrata nella routine imposta dal lockdown.


“Una notturna e intima narrazione scandita da attimi che sembrano durare in eterno. Una camera da letto che si trasforma in un universo fatto di piccoli gesti, di miniature che divengono rappresentazione di una vita distante. Compulsioni, contemplazione e ripetizioni attraverso le quali la protagonista traccia i contorni di un confinamento imposto, sofferto e innaturale. Una prigionia mai rassegnata”, spiega Lory Muratti. “La deformazione del tempo si traduce nelle elaborazioni visive che caratterizzano alcuni passaggi del video e nella penombra in cui le riprese sono state catturate con la camera alla mano. Territori di mezzo che raccontano lo sguardo di colei che attende, osservando strade che intuiamo silenti oltre le finestre. Un mondo immobile e ferito eppure pronto ad accogliere i passi finalmente liberati di chi ora può comminare e respirare nella vivida apertura di luce e suono del finale”.

I SOGGETTI DELLE CANZONI ARRIVANO ANCHE DALLO STUDIO DA TERAPEUTA

La storia che Davide racconta in “Diario del dopobomba” ha come fonte anche ciò che ogni giorno passa dal suo studio di psicoterapeuta. Ciò che incontra quotidianamente grazie al suo lavoro di psicologo è indissolubilmente legato alla sua arte.
L’artista si ritrova a rapportarsi con adolescenti del tutto simili alla protagonista del video: ragazzi che rischiano di non saper ritrovare la strada per uscire dalle proprie “camerette”, spaventati dai notiziari e rassicurati soltanto dalla “distanza di sicurezza” garantita dall’utilizzo dei social e dall’adesione a uno stile di vita che “flirta” (con preoccupante e crescente interesse) con l’autoreclusione e l’abbandono della fisicità delle relazioni extrafamiliari.

INTERVISTA A DAVIDE “GAMMON” SCHERIANI

Abbiamo raggiunto lo psico-cantautore Davide “Gammon” Scheriani per chiedergli direttamente di raccontarci la sua storia, il suo percorso e il suo prezioso contributo non solo alla colonna sonora di quest’estate (in cui senz’altro rientrerà il suo “Diario del dopobomba”): il suo contributo impagabile è quello di fornirci uno strumento per reagire in/a questo periodo storico in cui ci sentiamo annegare nelle sabbie mobili dell’insicurezza. Ecco cosa Davide “Gammon” ha raccontato a Sky TG 24.

Si definisce “psico-cantautore”. Ci potrebbe spiegare meglio il suo rapporto tra musica e psicoterapia?

Psico-cantautore è un’etichetta che ho coniato per rendere più evidente il fatto che da parecchi anni a questa parte cerco di mettere in comunicazione questi due mondi, che hanno a che fare con relazioni, con le storie. Il cantautorato a livello più artistico, quello della psicoterapia per incontrare storie degli altri. L’intento è quello di rimetterle a loro, di riuscire a restituire senso alle storie individuali in maniera tale da poterle narrare e che possano ristabilire un contatto emotivo. Mi baso sulle loro storie antiche e più recenti, la mia ricerca sta in questo: mettere in connessione un’attività più al servizio degli altri con una ricerca artistica più autoreferenziale. È un rapporto incrociato e da una parte frequentemente la mia storia professionale fornisce la scintilla iniziale per creare musica e arte. Ho un approccio creativo anche con il paziente all’interno della psicoterapia perché con un approccio di tipo artistico e sensoriale si riescono a trovare più contatti. In pratica la mia musica va verso la psicologia e viceversa. Lo stesso nuovo singolo, “Diario del dopobomba” con il video diretto da Lory Muratti, è un esempio significativo di questo momento che sto affrontando, questo momento storico che stiamo affrontando come categoria professionale. Sono uno psicologo impegnato nel rapporto con gli adolescenti e sto avendo a che fare con moltissimi ragazzi. Questi ultimi due anni sono stati difficili e complessi soprattuto per gli adolescenti, che sono individui in formazione. È stata tolta loro la possibilità di mettersi in gioco. Il senso della canzone e del video sta nel riuscire a ri-uscire, passatemi il gioco di parole: bisogna tornate a vivere nel mondo fisico, oltre a quello virtuale. “Diario del dopobomba” si pone come obiettivo quello di descrivere una situazione e di lanciare un messaggio: è necessario riprendere contatto oltre che con le nostre emozioni anche con la nostra vita concreta. Uscire dagli spazi abitativi in cui ci siamo dovuti confinare.

La sua attività da “psico-cantautore” affonda le radici negli anni Novanta. In questi ultimi anni pandemici quali frutti ha raccolto?

Tra guerra e pandemia, il mio lavoro mi ha permesso di offrire un messaggio di comunicazione e di avvicinarmi a coloro che ora sono più in difficoltà. Passare dalla musica alla psicologia e viceversa assicura un contatto diretto. Non credo di essere il primo a utilizzare la musica come strumento di incontro e anche di cura. Le sette note sono un modo eccezionale per arrivare alle persone, soprattutto ai giovani. In pandemia, durante i lockdown, ho consigliato l’idea di costruire delle playlist, delle playlist emotive, per descrivere le proprie emozioni. Anche quelle non positive, quelle dolorose: un brano che descriva situazioni dolorose, anche se ci fa provare tristezza alla fine ci aiuta. Poi aiutano pure le canzoni che portano allegria, chiaramente… Noto che la musica sta reagendo al periodo della pandemia pubblicando canzoni che inneggiano alla gioia, all’allegria, all’evasione. Anche sul palco dell’ultimo Sanremo molte canzoni hanno voluto mettere in scena un approccio più festoso, ad esempio “Ciao Ciao” de La Rappresentante di Lista.

In cosa la aiuta a livello musicale avere un approccio da psicoterapeuta?

Sicuramente il fatto di cercare di trovare il modo di contattare le emozioni del mio pubblico, di quello che è il mio potenziale pubblico. Io credo che il pubblico si aspetti di sentirsi emozionato dalla musica, altrimenti ha altro di più importante da fare. Lo stesso succede nella psicoterapia: se non si riesce a stabilire un percorso sull’aspetto emotivo ma si rimane sull’intellettuale, non funziona. Se per quindici anni fai terapia perché ti succhi il pollice, per esempio, arriverai a capire il perché ma non a connetterti profondamente. L’importante è sentire emotivamente le cose.

Il suo pubblico cosa riceve in più rispetto al normale pubblico di un musicista?

Quello che offre la mia musica è la possibilità di vedere la vita e le emozioni da un punto di vista più obliquo, anni fa ho scritto la canzone intitolata “Il dono dell’obliquità”, con un gioco parole con il proverbiale “dono dell’ubiquità”. Cerco di far sì che la mia musica riesca a far trovare un modo per connettere il proprio sentire, partendo dal mio (perché sono io a raccontare delle storie, quindi rielaborandole partendo dal mio sentire). Con le mie canzoni voglio dare magari solo accenni, per lasciare poi alla persona l’occasione di trovare contatti e connessioni con la propria storia personale. Spesso offro provocazioni: i miei testi fanno riferimento anche ad approcci ironici. Un mio singolo si intitola proprio “L’ironia della sorte”… Talvolta cogliere l’ironia della sorte può farci vedere le cose sotto una prospettiva diversa, nuova e innovativa. È questo che spero di offrire con la mia musica.

Qual è stato secondo lei il ruolo della musica durante la pandemia?

La musica ha avuto un ruolo fondamentale. Ho consigliato ai miei pazienti di fare playlist perché la musica è in grado di connetterci con il nostro vissuto, non sempre con modalità di tipo cognitivo ma soprattutto sensoriale. Specialmente per gli adolescenti la musica è stato un binario per evadere dalla realtà sentita come pesante ma anche per entrare più in profondità. Riuscire a comporre particolari percorsi di ascolto e ricerca è fondamentale. Una volta si facevano le cosiddette “cassettine” con le compilation, oggi le cassettine non ci sono più ma le playlist si possono continuare a fare. Sono inoltre più amante del do it yourself piuttosto che degli algoritmi, quindi credo sia importante creare playlist con il fai-da-te. Attraverso la compilation puoi mandare messaggi ad altri ma anche a te stesso: riesci a rivivere e a rileggere le cose, perché è passato del tempo. È un po’ come rileggere un diario. E quindi si ritorna al “Diario del dopobomba”. Il dopobomba si riferisce al post-lockdown, tuttavia purtroppo oggi questo tema ci sta toccando molto anche per via della guerra in Ucraina. In maniera distante a livello di chilometri, tuttavia a livello psicologico il conflitto è molto vicino, forte e potente.

Lei che è del mestiere, anzi dei due mestieri, come ci spiega la fase del “cantiamo tutti assieme sui balconi”?

La prima fase, quella dei balconi in cui cantare assieme, è stata una fase legata molto all’emotività. Uscire sul balcone, visto che non era possibile farlo per strada, e incominciare a cantare o a gridare – due espressioni che per certi aspetti hanno molte analogie – è stato un modo per sfogarsi e per comunicare. Avevamo il bisogno di farci sentire dagli altri, di comunicare, c’era bisogno di contatto. Adesso è necessario fare un ulteriore step, più organico, più strutturato. Adesso, sia dal punto di vista artistico sia da addetto ai lavori della psicoterapia, è fondamentale appellarsi alla cultura e all’arte per costruire espressione e aggregazione.

Quando potremo vederla esibirsi dal vivo?

Da fine maggio ritorno ostinatamente a proporre musica dal vivo, un aspetto fondamentale per me. Prima dell’industrializzazione della musica dovevi uscire di casa e cercare qualcuno che ti suonasse qualcosa. Poi benissimo tutto quello che è venuto ma a mio avviso non basta. L’incontro, la comunione di emozioni… solo l’aspetto dal vivo ti offre queste cose. Faccio musica per l’aspetto fondamentale di suonare dal vivo, incontrare le persone, vivere momenti unici. Che ci siano cinque persone o mille, è sempre una sensazione fortissima, sia per chi la fa sia chi la ascolta: entrambe le parti la vivono in maniera molto intensa. Sul mio sito web trovate tutte le date dei miei concerti, i prossimi saranno il 28 maggio a Lonate Ceppino, in provincia di Varese, e il 1° giugno a Milano.

Lei è uno dei pochi psicologi che hanno collegato questa attività a quella da Songwriter. C’è qualcun altro in Italia e nel mondo che fa lo stesso?

Ci sono altre esperienze anche in Italia di psicologi che hanno provato a mettere insieme le due vocazioni, ma si tratta di casi in cui la musica è più sbilanciato sul versante psicologico. Io mi sforzo di tenere l’equilibrio il più possibile. In ambito internazionale, c’è Bradford Keeney, uno psicoterapeuta americano che ha pubblicato CD, libri di settore per addetti ai lavori nell’ambito della psicologia e che lega i due mondi

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