CORRADO GUZZANTI È MARIO BAMBEA: “NÈSTRA” E “DÒSTRA”, L’EDITORIALE SUPERCAZZOLA

corrado guzzantiA cinque anni da “Aniene”, Corrado Guzzanti torna in televisione con la serie “Dov’è Mario?”, in onda dal 25 maggio su Sky Atlantic HD alle 21.10 (il primo episodio anche in chiaro su TV8). Prodotta da Wildside per Sky, scritta dallo stesso Guzzanti con Mattia Torre, diretta da Edoardo Gabbriellini, la serie – in quattro puntate – racconta le vicende di Mario Bambea (Guzzanti), intellettuale di sinistra snob e innamorato di sé, che in seguito a un incidente d’auto si “sdoppia” e diventa – anche – Bizio, un comico trash. Nell’editoriale che segue, firmato da Corrado Guzzanti, un esempio del lessico di Bambea e della sua idea del mondo.
SIAMO dunque così invariabilmente certi, così geo politicamente polarizzati, ora che il mondo ideale di riferimento è esso stesso in uno stato di crescente mercificazione che se non è ideologia così poco (tempo e volontà), ci manca? Quali che siano le formule del destino istituzionale sul doppio perno seicentesco della bicamere, è in vista del referendum, lecito se non doveroso dubitare sul lungo periodo che vedrà l’Europa auto desovranizzarsi per la santa icona di ciò che di più europeo c’è stato e non come sogno onanistico, cioè e dunque l’euro. Feticcio di ottone e sangue. Di pomi d’oro e manici di scopa che qui nessuno vuole più ricordare. Ogni cosa si defila e lascia dietro di sé i suoi simboli. Abbandonare i carri armati per raggiungere in ritirata la riva.
La lezione la sappiamo anche se farne memoria è esercizio ingrato per tutti. Ha un bel dire Salvini che di queste capitalizzazioni a “grande Arcata” per dirla con Solimard, ha fatto un vessillo ma anche una pratica tenda parasole; ne ha un bel dire Giorgia Meloni che fino a ieri poteva procrastinare all’infinito la ricetta di destra paraLePeniana, ovvero di Destra Nostrana, o “Nèstra” o “Dòstra”, come dicono in certi paludati ambienti che non hanno più bisogno del selfie asettico di Casa Pound o di altre glorie fascio-associative.
Starebbe quindi a noi, in un ipoteticamente nuovo gioco della pallacorda, annunciare daccapo l’identità istituzionale che a questo punto è al pari se non più importante dell’identità politica di novecentesca memoria. Nel vuoto parascientifico di idee, per chi ha ancora l’amore e la pazienza di frequentare gli oroscopi, sarebbe a dire che “l’ascendente conta più del segno”, ma fuor di metafora qui è così perché il “segno” è passato. E noi tutti lo sappiamo. Sarebbe a dire che è compito della borghesia, anche se per alcuni ancora oggi la borghesia è invariabilmente e sempre borghesia-mercantile.
C’è poi l’idea altra, l’idea altra da sé, altra da noi, che Geymonat non riteneva degna di nota in filosofia. E quella era ed aveva i tempi rivoluzionari di un moto ad excursus europeo innanzitutto, e poi trans europeo e internazionale. L’idea della gatta. La gatta che scoppia di salute nel pasciuto ventre occidentale del secondo dopoguerra, degli anni 50 à la coréenne, del rimpianto Camus, straniero a se stesso e al suo autore. La gatta dicevamo, che scoppia di salute. E muore.
Scriveva il compianto Dehli Askal che la vita politica di altro non potrebbe alimentarsi se non di queste estro pensioni del nostro esprit de finesse (tu culu buttu nuvutu ur putu) se non ché noi com’è noto abbiamo il Vaticano. E anche con il progressismo di un Bergoglio si può sperare che passi senza pugna un viatico al liberalismo come qui non si è mai veramente visto, e, con buona pace degli ex Psi come Brunetta, neanche mai veramente pensato.
“Questa è la prugna” diceva Neville al Buon Newton, “e la prugna non cade certo per l’inverso della distanza, ma per il dritto dell’esofago. Ed io ne so qualcosa”. Era profetico? Non proprio. Qui c’è qualcuno che le avvisaglie le aveva segnalate da un pezzo e marchiate di rosso. Le maestrine dalla penna vermiglia che però erano anche le staffette per la Resistenza. Le stesse che in Cecoslovacchia eressero un muro di panni, che in Belgio incrociarono le ginocchia contro l’ecoperpetrismo. Anche se forse era il rosso di Bayder. Il rosso che sbiadisce quando tira aria di guerra. Il postribolo dei molti. La vitrea ganassa che si fa fagotto. La supercazzola d’un editoriale.

* È il personaggio dell’intellettuale interpretato da Corrado Guzzanti in “Dov’è Mario?”

Repubblica

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