«Sono qui per rovinare la festa»: il live a sorpresa di Lady Gaga a Hollywood

La popstar, dopo il duetto strappalacrime con Bradley Cooper e la statuetta vinta per «Shallow» agli Oscar, si esibisce a sorpresa in un piccolo bar di Hollywood. E l’emozione è grandissima

La prima apparizione dopo la notte degli Oscar, quella del duetto strappalacrime con Bradley Cooper e della statuetta per Shallow, Lady Gaga se la concede in un piccolo locale jazz sulla Hudson Street, nel cuore di Hollywood. Si chiama Black Rabbit Rose e Gaga, elegantissima con i capelli raccolti e l’abito lungo di pelle nera, sale sul palco sorprendendo tutti, clienti e maestranze. «Sono qui per rovinare la festa. Mi dispiace tanto», dice al microfono prima di cantare due successi di Frank Sinatra: Fly me to the Moon e Call Me Irresponsible.

Il pubblico contiene l’entusiasmo a fatica, centinaia di smartphone si sollevano e iniziano a registrare quell’evento che sembra più unico che raro e Gaga continua a cantare come se niente fosse. Come se uno stadio o un piccolo locale in centro risvegliassero in lei le stesse emozioni, la stessa energia. Insieme a lei, la band del bar la segue dall’inizio alla fine, non nascondendo una certa incredulità a suonare per la popstar che, a un certo punto, parafrasando Sinatra dice: «Per tutta la vita mi hanno definita irresponsabile, ma questo non mi rende arrabbiata perché un po’ è vero, e a me piace sentire la verità».

Per Lady Gaga quella al Black Rabbit Rose, che ogni giovedì regala una serata a tema jazz, non è la prima apparizione a sorpresa con il pubblico. Recentemente è stata, infatti, avvistata al cinema per vedere A Star Is Born di nascosto agli altri spettatori. Ad ammetterlo è stata lei stessa al Jimmy Kimmel Live, spiegando come si sia riparata con la busta dei popcorn per non farsi vedere in lacrime negli ultimi minuti del film. Intanto la cantante continua con successo la sua residency al Park Theatre di Las Vegas, fra i concerti della serie Enigma e alcune serate solo piano e voce.

Mario Manca, Vanity Fair

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