Enzo Iacchetti: “Sono diventato un artista migliore”

«Adesso che sto invecchiando cerco un rapporto di anima, la parte sessuale di me si è trasferita nella testa: spero di riuscire ancora a far l’amore, ma penso che accadrà solo se troverò questo tipo di rapporto». Enzo Iacchetti, 66 anni, di cui 40 trascorsi tra cabaret, palcoscenici e tivù, non obbedisce agli stereotipi dell’eterna giovinezza maschile. «Da quando la passione ha smesso di comandare i miei muscoli, sono diventato un artista migliore. Ho capito per esempio che mi piace fare il regista (ha da poco diretto Natale in Casa Marxinterpretato dal figlio Martino, ndr)», così posso ingrassare e non colorare i capelli. I conduttori devono apparire giovani: tinta, cerone e cemento».
La rivoluzione di Enzo Iacchetti si consuma fuori e dentro ai teatri: mercoledì si è inaugurato al Delfino di Milano Libera Nos Domine, una denuncia contro la società in stile teatro-canzone. «Il mio personaggio vuole liberarsi dai dubbi che lo affliggono su progresso, amore, amicizia, emigrazione e alla fine offre un’ ipotesi di rivoluzione».

Da dove è partita la sua ribellione?
«Mi sono concentrato di più sul lavoro. Ho poche relazioni sociali, il mio mondo non mi fa impazzire. Vivo con Lucino, un bastardino marchigiano che mi guarda tutto il giorno in adorazione. L’ho chiamato come Lucio Dalla. Forse è la sua reincarnazione».

Eravate molto amici?
«Ci facevamo delle telefonate così dolci e intense che ogni tanto lui scherzava: “Se ci intercettano pensano che anche tu sei gay”».

Invece ha la fama di grande seduttore.
«Nel mio spettacolo canto Identikit di Giorgio Faletti che dice: “Io che ne ho amate poche, ma conosciute tante”. Diciamo che rappresenta bene la mia situazione».

Partiamo dall’inizio: una moglie, un figlio e neppure un lavoro sicuro.
«Il successo è arrivato tardi, a 38 anni. Facevo il cameriere in un ristorante di montagna per 50 mila lire al giorno, ma ero deciso a non mollare, perché sapevo di avere un po’ di talento su cui investire. Martino era piccolo, di giorno portavo a casa la pagnotta e di sera andavo con una Renault 4 a tre marce ad esibirmi al Derby di Milano. Facevo 90 chilometri, arrivavo a mezzanotte: ma guadagnavo altre 12.500 lire».

Poi finalmente è passato il treno giusto.
«Di treni ne partono tanti, ma il binario lo devi trovare tu. Registravo tutte le puntate del Maurizio Costanzo Show e quando lui faceva le domande agli ospiti mettevo in pausa e rispondevo io da casa. Per un anno ho fatto così. Quando finalmente sono andato in trasmissione non ero un ospite, ma il suo psicologo. Lo stupivo perché sapevo come fare: mi ha tenuto con sé 190 sere».

Come è riuscito a farsi invitare?
«Al primo provino mi hanno scartato, andando via ho lasciato il copione sul tavolo, una redattrice lo ha letto per caso e mi ha richiamato dicendomi: “Ritorni” ».

Sembra Checco Zalone in «Cado dalle Nubi».
«Erano gli anni Novanta, tutti urlavano, io sono un remissivo e mi sono presentato con i libriccini e le canzoni corte. Costanzo capì che con la mia serena dolcezza potevo aiutarlo a girare le pagine del suo show. E io, da meno 25 mila lire sul conto corrente, sono passato a 4 milioni di lire» .

Cosa ha pensato quando l’ha chiamata Antonio Ricci per Striscia?
«Che ero su Scherzi a Parte. Da un po’ ero demoralizzato, mi chiedevo: “Ma perché nessuno mi nota? Sono sempre qui”. Ora sono 25 anni che faccio parte di Striscia».

La tivù ha fatto da traino al teatro, la sua grande passione?
«Moltissimo. Ho recitato in The Producers con Gianluca Guidi e nel Vizietto con Marco Columbro, ho imparato anche a camminare sui tacchi. Ma alla fine, se la gente mi ferma per strada, è per dirmi che mi ha visto a Striscia. Comunque va bene così: posso vantarmi di non aver mai fatto cattiva televisione».

Il rapporto con Ezio Greggio?
«Abbiamo fatto il patto di non litigare mai. Per questo ci vediamo poco, ma quando siamo insieme siamo scherzosi, a volte lo coccolo. In questi anni abbiamo condiviso molta vita privata: sono morte le nostre mamme, ci sono stati due divorzi, i dolori dei figli. A parte Giobbe Covatta, che è padrino di mio figlio, i miei grandi amici non fanno questo mestiere. Ma Striscia è una famiglia».

Cosa le ha insegnato Ricci?
«È uno capace di far bollire l’acqua fredda in un minuto: quando ha un’intuizione c’è da fidarsi. Come quando decise che ci voleva una bella donna dietro al bancone di Striscia. Arrivò Michelle Hunziker».

È stato mai geloso del successo della coppia Greggio-Hunziker?
«Il pubblico si spacca: qualcuno dice che la vera coppia siamo io e il “signor Ezio”. Sinceramente? Penso che sia un’artista con una certa delicatezza, capace di gestire bene il suo personaggio e la sua simpatia. In comune abbiamo la passione per il musical, ma lei è molto più social».

Il vocabolario Treccani ha aggiornato la parola «velina» con la definizione «ciascuna delle due vallette televisive che si esibiscono in abiti succinti nel telegiornale satirico Striscia la notizia».
«Velina non è un termine antifemminista, ci sono cose più volgari sulle copertine. Nel varietà ci vogliono le belle donne, è una regola collaudata dalle Kessler in poi».

Domanda pleonastica: le sue veline preferite?
«Non lo dico io, ma il pubblico. Maddalena Corvaglia e Elisabetta Canalis non sapevano ballare bene, ma avevano una marcia in più. A Cologno c’è la loro gigantografia».

Le altre?
«Si fanno in quattro, ma non è fama vera e non guadagnano molto. Hanno una grande possibilità che non sfruttano: io da velina andrei a canto, a recitazione, terminato il contratto farei provini su provini, invece loro si fermano lì. Maddalena ed Elisabetta hanno usato bene questa opportunità».

Maddalena Corvaglia.
«Avevo 50 anni e lei 21, è stato un amore folle, poi ho capito che ero diventato suo papà. Dopo 6 anni ho cominciato a sgridarla per cose stupide. Lei mi chiedeva: “Andiamo in discoteca?”, io le rispondevo: “Ci ho passato la vita, ma a suonare, vai da sola”. Le prime notti dormivo, poi arrivava il sabato sera e mi angosciavo. “Perché non rientra?”,- mi chiedevo sveglio a letto. Erano le sei e lei rincasava felice, aveva appena mangiato la brioche».

Gelosia?
«No, mi è stata fedele, ne sono certo. Aveva già la testa di una donna, studiava filosofia, con lei potevi fare discorsi di qualsiasi genere».

Un’aspirante velina le ha mai lasciato il numero di telefono in tasca?
«Succede. Le sarte ci trovano nelle giacche i foglietti con i cellulari. Non li ho mai usati».

Il #metoo ha cambiato le dinamiche?
«C’è qualcosa che mi sfugge. Alcune donne sono state obbligate, ma erano anche molto decise a far carriera. Se tu mi fai una violenza, io sono stasera stessa dai carabinieri a denunciarla».

Cosa l’attrae di una donna più giovane?
«L’istintività. Ma non sono fissato con l’età, se bussa alla porta Belén non le salto addosso, devo connettermi con lei. Mia moglie era una coetanea».

Quando il matrimonio è finito le ha detto il classico «ti ho aiutato ad arrivare in alto»?
«Non l’ha detto, ma è vero, devo a lei se oggi sono qui. La sera mi spronava: “Vai a suonare al Derby, che è la cosa che ti riesce meglio”. Mio figlio aveva 14 anni quando ci siamo separati e ci ha confessato: “Finalmente, non ne potevo più delle vostre liti».

Lei proviene da una famiglia umile: i genitori hanno visto il suo successo?
«Mia mamma era figlia di mezzadri, papà faceva il calzolaio per strada, poi ha aperto con le cambiali un negozietto di vini. È morto a 56 anni, mentre mia madre mi ha visto diventare famoso, anche se le dicevano: “Ma che stupidaggini canta il tuo fioeu”. La rivincita l’ha avuta quando ho affiancato la Cuccarini: si vantava, per lei il successo vero era quello».

Perché non ha sfondato nel cinema?
«Quel poco che ho fatto mi ha annoiato: ritmi troppo lenti. Ma Carlo Vanzina era un regista bravissimo e un uomo leale».

Cosa è per lei il teatro?
«Un antibiotico superiore a ogni altro. Da piccolo mi ha curato dalla timidezza: sul palco parlavo, giù dal palco mi ammutolivo. Ogni volta che un teatro chiude è un delitto per l’umanità: per questo recito in quelli piccoli, come il Delfino».

Nel nuovo spettacolo si ride?
«Certo, a modo mio: amo Lionello, che non ispira la risata grassa. Il cabaret l’ho imparato da giovane nei locali notturni, una sera avevi le prostitute con i protettori, la sera dopo uno senza capelli: “Ma come ti pettini, con la pelle di daino?”. Battute così. Ho preso in testa tante croste di pizza».

Si arrabbiava?
«Le portavo a casa, le scaldavo e le mangiavo».

Però stavolta chiama Dio a scendere in terra.
«In Libera Nos Domine mostro le Torri Gemelle che cadono e i terroristi dell’Isis. Gli dico di venire lui in persona a darci delle spiegazioni, senza mandare un ragazzo di trentatrè anni».

Michela Proietti, Corriere della Sera

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