Sara Ricci: «A Un Posto al Sole per dire no alla violenza sulle donne»

Per anni è stata la Adriana Gherardi di «Vivere», oggi si divide fra il set del «Paradiso delle signore» e quello della soap di Raitre, dove interpreta una donna vittima di violenza domestica. A 50 anni appena compiuti, Sara Ricci si racconta, dall’amicizia con Antonioni a quell’aperitivo con George Clooney

Che Adele Picardi, il personaggio che interpreta con successo in Un Posto al Sole, sarebbe stata vittima di violenza Sara Ricci lo ha scoperto per caso, indagando qui e lì. «Quando me lo hanno detto ero un po’ scioccata, ma allo stesso tempo ho pensato che avrei potuto aiutare le donne e gli uomini a prendere coscienza su un tema così delicato», spiega con voce ferma, dolce al punto giusto. È un giovedì mattina e Sara è finalmente a Roma, fra le calde mura di casa: oggi non è impegnata in nessuno dei due set che la vedono protagonista (Un Posto al Sole su Raitre e Il Paradiso delle Signore su Raiuno) e questo le dà la possibilità di parlare senza che il tempo le corra dietro.
Interpretare Adele, vessata fisicamente e psicologicamente dal marito Manlio, padre della giovane Susanna, è per lei un modo per lanciare un messaggio importante, per dire alle donne di denunciare e agli uomini di stare in guardia. Con Marina Tagliaferri, che nella soap presta il volto a Giulia, ha scoperto che in passato sono state molte le donne che, grazie a personaggi chiave di Upas, hanno scelto di allontanarsi da mariti maneschi e iniziare una nuova vita: «È bellissimo scoprire che il nostro lavoro ha un senso», insiste Sara che, per la prima volta, mostra un portfolio che la vede ritratta come un’anima fragile, con gli occhi pieni di lacrime e le labbra tremule che sembrano strozzare un grido di aiuto. Le foto, che potete vedere nella gallery qui sopra, sono realizzate da Gianni Visaggio e fanno parte di un progetto di cui Sara vorrebbe farsi promotrice: sostenere associazioni come la Be Free affinché il destino subìto da Adele non sia la norma. «Mi piacerebbe essere più presente in questa battaglia, diventare una volontaria», insiste con spirito guerriero.

Come si sente dopo aver girato una scena in cui riceve un pugno o uno schiaffo?
«Molto turbata. Ogni volta che io e Paolo (Maria Scolandro, interprete di Manlio, ndr) giriamo una di queste scene rimaniamo sempre un po’ storditi. È normale dopo che ti immedesimi in quello che il personaggio sta vivendo. Lui, nella realtà, è un collega dolcissimo, uno dei più amabili con cui abbia lavorato e, quando mi capita di rivederci, quasi mi spavento. Anche perché quando giriamo non mi sfiora neanche, da fuori, invece, sembra proprio che me le dà».

Per il ruolo, invece, come si è preparata?
«Ho lavorato molto sulla mia emotività e sul senso di colpa. Mi sono sforzata di capire cosa ci sia dietro al rapporto fra Adele e Manlio e così, seguendo il metodo americano, ho pensato al passato di questa donna. Adele potrebbe aver avuto dei genitori molto trasgressivi e, probabilmente, mentre frequentava la facoltà di Architettura, si drogava. Manlio è stato il suo appiglio, il modo per reagire a questa adolescenza maledetta, ed è per questo che si sente così legata a lui. A Paolo ho suggerito di fare la stessa cosa con il suo personaggio, magari giocando sul fatto che fare il militare sia stata un’imposizione, o perché, sotto sotto, nasconde un’omosessualità latente. Per fortuna, nella mia vita, un’esperienza come quella di Adele non l’ho mai avuta».

Il pubblico, che la seguiva già ai tempi di Vivere, la supporta sui social con grande affetto.
«Il mio pubblico non mi ha mai abbandonata nonostante non comparissi in televisione da un po’ di tempo. Dopotutto fare la soap non vuol dire rovinarsi o prestarsi a un’immagine stereotipata, come pensa qualcuno: io, grazie a queste esperienze, sto ricevendo un grande amore e questo è straordinario. Il personaggio di Adele, poi, mi permette di aiutare le donne a capire che il Principe Azzurro è morto, non esiste».

E cosa c’è al posto del Principe Azzurro?
«La consapevolezza della propria essenza. L’uomo per una donna non deve essere fondamentale, non deve essere l’obiettivo. La donna si deve sistemare a prescindere, indipendentemente dall’uomo che, al massimo, può essere un miglioramento della sua condizione. Mettiamoci in testa che non abbiamo bisogno di trovare il nostro futuro fra le braccia di un uomo. Dobbiamo investire su noi stesse, crederci un po’ di più. Non dico che dobbiamo essere tutte manager o in carriera, ma è ovvio che per una donna lo sforzo sia maggiore. Lavoriamo di più, eppure guadagniamo meno dei maschi. Anche noi attrici… ».Proprio uno dei temi portati avanti dal #MeToo negli Stati Uniti e da Dissenso Comune in Italia. Che idea si è fatta? Qualcosa è cambiato dopo un anno e mezzo?
«Secondo me sì, anche se la partenza non mi è piaciuta. È partito tutto da Asia Argento che, per me, voleva solo farsi pubblicità. Quello che è venuto dopo, invece, ha avuto senso perché ha permesso di creare un’importante catena di solidarietà femminile. Io amo la compagnia delle donne, mi trovo più a mio agio con loro, trovo più corrispondenza. Sarà per questo che, forse, molti colleghi uomini potrebbero non aver avuto piacere a lavorare con me».

Si spieghi.
«Ho sempre notato una certa discriminazione. L’uomo osannato per la bellezza che, magari, ha più successo di una donna che è bravissima ma non ha quel fascino lì. Dobbiamo lavorare di più, essere le più brave ma, poi, siamo quelle che guadagnano di meno».

Immagino i suoi colleghi uomini e i suoi fidanzati a sentirla così critica in questo momento.
«Non mi fraintenda. Con i colleghi cerco di avere un ottimo rapporto di armonia perché ne va della resa del nostro lavoro e nella vita ho vissuto diverse storie importanti, l’ultima è durata quindici anni. Non è che non credo nell’amore, è solo che l’uomo non è la nostra sussistenza. Per me l’uomo è sempre stato colui a cui accompagnarmi e fare un progetto di vita, ma in modo assolutamente autonomo».

Parliamo, appunto, di autonomia e progetto personali. Da ragazza voleva fare la ballerina.
«Ho iniziato in un gruppo di danza contemporanea, ho fatto diversi spettacoli ma, siccome non avevo le basi della danza classica e ho avuto un problema al ginocchio, ho scelto di declinare sul teatro. Ancora oggi, però, il mio grande amore è quello, quando vado al teatro mi inebrio».

Ha declinato sul teatro e poi è arrivata al cinema con un esordio di tutto rispetto: a 27 anni era una delle protagoniste di Al di là delle nuvole, diretta da Michelangelo Antonioni e con un cast che andava da Marcello Mastroianni a John Malkovich.
«Ho conosciuto il Maestro nella sua casa, elegantissima e piccola, piena di vetrate. Ricordo il suo arrivo, con la cravatta rosa, di un’eleganza talmente incredibile che pensavo di sentirmi male. Lui mi diede un buffetto sulla guancia e da lì iniziammo un lavoro meraviglioso insieme, ancora prima di darmi il ruolo. All’epoca, con una moglie giovane e una governante, Antonioni si accompagnava a due ragazze con cui si presentava alle mostre e agli eventi e la mia amica mi disse che sarei stata perfetta per quel ruolo. È stato magico, anche se ogni tanto ci scontravamo».

Vi scontravate?
«Lo portavo spesso al cinema anche se lui, da buon esteta, non voleva vedere film sociali, impegnati. Una sera riuscii a trascinarlo a vedere Bad Boy Buddy, un film duro, particolare, e lui non vedeva l’ora di andarsene. Ero molto diretta e credo che a lui piacesse essere trattato come una persona normale».Com’è passata da Antonioni a Vivere?
«Un’amica mi disse di quella soap a Milano e tentai il colpo. Sapevo di avere un volto molto cinematografico, pieno ma con più borse, più occhiaie, ma alla fine le cose andarono bene. Dopo tre provini diventai Adriana, l’avvocato, un personaggio rassicurante. Per prepararmi al ruolo ricordo che rividi Sotto accusa con Jodie Foster. Di certo fu strano, anche perché la televisione, ancora oggi, la vedo pochissimo. Da quando mi sono separata, per pigrizia, non l’ho ancora attaccata all’antenna».

Quindi non si riguarda mai.
«No, neanche ai tempi di Vivere, dove credo di aver avuto la televisione in casa per un anno. Andavo, però, spesso ospite dei programmi. Quando mi invitarono al Maurizio Costanzo Show ero a fare shopping a Roma e la mia amica mi disse di comprare delle belle scarpe perché lei, grande osservatrice che guardava la tv, sapeva che da Costanzo le inquadravano spesso e aveva ragione. La verità è che sono troppo irrequieta per stare davanti alla tv, lo dico senza snobismo».

È vero che George Clooney, ai tempi di Vivere, la invitò nella sua villa per un aperitivo?
«Lo avevo conosciuto l’anno prima ai Telegatti e mi era parso molto simpatico. Dell’aperitivo mi informò il mio collega che era stato avvicinato dal segretario di Clooney informandoci di raggiungerlo a Villa Oleandra. Io, purtroppo, non potevo e di questo mi dispiace perché ci sarei andata molto volentieri, anche perché, da quello che avevamo capito, c’era l’intenzione di conoscermi meglio».

Il 27 novembre ha compiuto 50 anni. Che effetto le ha fatto?
«Quando ero giovane pensavo che sarebbe stato un traguardo triste, invece mi sento piena di energia. Cerco di accettare il cambiamento con felicità, come diceva Diodato in quella canzone dell’anno sorso. Non ho figli, perché ho scelto di non averne, non ho un compagno, ma sto benissimo perché vivo e gestisco la mia vita. Fare quello che vuoi e non rendere conto a nessuno per me è una conquista».

A proposito del tempo che passa: quindici anni fa, con il suo fidanzato di allora Beppe Convertini, posò completamente nuda per il calendario Maxim. Oggi lo rifarebbe?
«No, è stato un grande errore. Fermo restando che non eravamo John Lennon e Yoko Ono, il progetto doveva essere diverso all’inizio: avremmo dovuto realizzare dodici locandine tratte da altrettanti film erotici ma, per motivi di budget, saltò tutto. Quel calendario mi ha regalato grande popolarità ma, dal punto di vista professionale, non è stata una grande strategia. Nella vita devi capire quello che vuoi essere e io da una parte guardavo all’attrice immortale e dall’altro al personaggio commerciale, più cheap. Sono una donna contaminata. A cinquant’anni ascolto i Pink Floyd ma anche Shade, il rapper».

Mario Manca, Vanity Fair

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