Giovanni Vernia: «Viviamo dentro squid game senza accorgercene. La tv? Troppo ripetitiva»

Un dilemma shakespeariano, ma in chiave comica. Vernia o non Vernia? «Vernia è come Zelig, il personaggio di Woody Allen. Il fatto è che io non riesco mai a essere me stesso, ma assumo le sembianze di chi attira la mia attenzione. Fin da piccolo avevo questo spiritello dispettoso, un demone interiore che ha cominciato ad apparire da bambino, stimolato dalla Genova in cui sono cresciuto e dagli stravaganti parenti pugliesi e siciliani che mi circondavano. Uno spiritello dispettoso che si è manifestato in modo sempre più invadente, anche quando facevo l’ingegnere».

Un passo indietro. Perché Giovanni Vernia è diventato comico quasi per caso. Laureato in ingegneria elettronica con il massimo dei voti, aveva cominciato a lavorare in azienda, orario d’ufficio: «Ho sempre voluto far divertire chi mi circondava senza pensare alle conseguenze. Imitavo i miei capi, la voce si spargeva e non riuscivo a fare carriera perché non c’era tanta autoironia in giro. Ogni volta ero costretto a cambiare azienda. Ma non imparavo mai la lezione, c’era sempre questo demone interiore che mi spingeva a trasgredire. Alla fine sono finito mio malgrado su un palco a fare quello che ho sempre sognato, ma la strada è stata lunga e tempestosa. Ero una persona nomale che si è ritrovata catapultata nel mondo dello spettacolo all’improvviso». Merito della sua cattiva coscienza a cui ha sempre dato ascolto: «L’unico ragionamento che riesco a fare si deve tradurre in risata». Adesso il comico torna in scena (da martedì 16 novembre) con Vernia o non Vernia, una tournée di 20 date per festeggiare la riapertura dei teatri: «Divertimento puro. E nel caso lo spettacolo non piaccia, tranquilli perché nel lockdown ho imparato a fare le pizze, almeno alla fine si mangia».PUBBLICITÀ

Uno spettacolo che è un acuto viaggio attraverso i luoghi comuni di questi strani tempi moderni, uno spettacolo che spazia con disinvoltura dal racconto alla parodia, dal canto al ballo. Uno spettacolo dove non si parla di social («lo trovo un tema già vecchio»), ma (anche) di serie tv: «Lo squid game è l’amplificazione di quello che viviamo quotidianamente tutti noi, siamo circondati da stronzi, che venderebbero la madre per raggiungere l’obiettivo. Siamo dentro squid game e non ce ne siamo resi conto. Altro che altruismo, altro che andrà tutto bene». Far ridere oggi è diventato più complicato: «Con l’avvento dei social la comicità è fruibile a tutte le ore; c’è anche una bella comicità, sugli argomenti in tendenza circolano battute davvero straordinarie — fatte anche da gente che non è del mestiere. Adesso la concorrenza è ovunque, le idee sono nell’aria e quindi rischi di arrivare dopo».

Zelig, inteso invece come trasmissione (da giovedì 18 novembre), Vernia porterà il suo personaggio più conosciuto: «Per questa edizione celebrativa torno a indossare i panni (canotta, pantaloni muccati, sguardo vacuo) di Jonny Groove, il personaggio che è l’apoteosi della festa, quello che mi ha permesso di fare questo mestiere. Dopo averlo ucciso per 7 anni ho deciso di riappacificarmi con lui. Perché a un certo punto l’ho odiato: la gente mi fermava per il suo tormentone e io alla fine ero solo Jonny Groove, era una gabbia».

La tv però dà pochi sbocchi: «Trovo che ci sia un po’ di ripetitività, alcuni format si reiterano da anni e giocano spesso sulla polemica. Mi manca tanto la leggerezza, quella del varietà. Che sembra un termine antico ma non lo è. Su RaiPlay ho visto uno show di Walter Chiari di una modernità incredibile. E vogliamo parlare di Arbore? Non è forse ancora moderno lui? Manca il coraggio di riaccendere la leggerezza e il varietà. A parte pochi casi, vedi Lundini, sarebbe bello rivedere una seconda serata viva, frizzante, allegra. Le idee e le persone che possono farlo ci sono, basta cercarle…».

Giovanni Vernia, corriere.it

Torna in alto