Annalisa, Nuda in musica: “Diamo spazio alla versione normale di noi oltre le distorsioni social”

Si chiama “Nuda” il nuovo album di Annalisa, nato prima del lockdown, ma affinato nei mesi di isolamento forzato, come la cantante ha spiegato a Fanpage.it. Un album diviso in due parti in cui la cantante fa un passo avanti verso la sua idea di pop, e che propone di togliersi di dosso “gli atteggiamenti che abbiamo quando comunichiamo con gli altri”

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Si chiama “Nuda” il nuovo album di Annalisa, nato prima del lockdown, ma affinato nei mesi di isolamento forzato, come la cantante ha spiegato a Fanpage.it. Un album diviso in due parti in cui la cantante fa un passo avanti verso la sua idea di pop, che nella scrittura, in alcuni punti, risente dei suoi ascolti rap: “Non faccio rap, faccio pop e lo faccio a modo mio, da sempre,

Cercando di non etichettarmi da sola e di non entrare in etichette” spiega, però. L’idea di mettersi a nudo nasce dalla voglia non solo di parlare di sé, come solitamente siamo abituati a intendere la locuzione, quanto, piuttosto, in maniera più generale come il “togliersi da dosso le sovrastrutture, gli orpelli, le costruzioni, le pose, gli atteggiamenti che abbiamo quando comunichiamo con gli altri”. Un lavoro che ha a che fare appunto anche col modo in cui ci poniamo rispetto all’esterno e in alcuni pezzi (“Romantica” e “Principessa”) parla dell’immagine che una certa società ha dell’immagine femminile.

L’ultima volta ci siamo sentiti in pieno lockdown per l’uscita di Houseparty, come sono stati questi mesi? 

Ho passato un’estate particolare in cui non sono andata da nessuna parte, mi sono mossa pochissimo, il minimo indispensabile, e sono contenta di avere avuto il tempo di ripensare a tante cose, tra cui anche questo progetto, sono molto soddisfatta di quello che uscirà.

Hai lavorato ancora all’album? È cambiato qualcosa nel frattempo?

Sì, ci ho rimesso mano, ho riaperto alcune tracce, ho fatto delle modifiche, aggiunto dei concetti alla prima traccia, “Nuda”, quella in cui dichiaro il mio intento che si ripercuote in tutto il disco, quindi ho voluto andare più a fondo.

Mettersi a nudo è un’espressione che conosciamo bene e che spesso è usata proprio per parlare di album nuovi e personali. In che senso tu usi questo termine, che apre e chiude l’album, dando ciclicità al progetto?

Intendo questo “Nuda” e “Mettersi a nudo” come togliersi da dosso le sovrastrutture, gli orpelli, le costruzioni, le pose, gli atteggiamenti che abbiamo quando comunichiamo con gli altri. Penso che questi atteggiamenti siano parte di tutti noi, non penso che siano sbagliati, ma credo che sia giusto, ogni tanto, privarsene, anche pensando molto al modo di comunicare che abbiamo sui social, che ormai fanno parte delle nostre vite e delle nostre giornate, quindi decidiamo di mostrarci nella nostra versione migliore. Ripeto, non è sbagliato, ma penso che sia giusto ricordarsi che oltre alla versione migliore c’è tanto altro: la quotidianità, la normalità che ognuno vive a proprio modo, ci sono le giornate storte, tante cose che ci rendono più umani e vicini gli uni agli altri.

Qualche mese fa ne parlavo con alcuni tuoi collegi e alcune tue colleghe di come però talvolta l’esposizione social porti anche un aumento di critiche, hating e non comprensione di alcune dinamiche…

Penso che in generale, tutti – sia chi fa il nostro mestiere ed è molto esposto, sia chi ha un semplice account Facebook o Instagram che usa per qualunque cosa -, tendiamo a scegliere cosa mostrare. Il mio discorso è legato al fatto che non esiste solo il paesaggio mozzafiato di quando sei in vacanza, ma c’è la casa incasinata, la casa normale che non è una mega stanza d’albergo, ci sono le cene con gli amici e non solo i party. Poi ognuno sceglie cosa mostrare e fa benissimo, ma a volte mi metto nei panni di chi sfoglia sui social e il fatto di vedere sempre questa ostentata, finta, perfezione può creare un punto di domanda, se non un disagio e io voglio rispondere a questa domanda tirando fuori tutto quello che posso, sperando di farlo meglio in futuro. A questo punto, però, sono arrivata qui e facendolo io spero di invogliare gli altri a farlo.

“Hai ragione, merito di più, guarda che luna Honeymoon” è una costruzione tipica del rap, non so quanto ci sia Dargen in questa barra e in che modo il rap cambia il modo di porsi verso la parola.

C’è assolutamente un cambiamento, a me piace questo concetto qua, il fatto di vivere la canzone come un discorso piuttosto che come un bel canto. Ci tengo, ho cominciato già con “Bye Bye” e lo sto facendo sempre di più: costruire le canzoni come fossero dei discorsi, usando quindi un linguaggio quotidiano, voglio essere dritta, onesta, magari usando meno similitudini poetiche e più vita. Più verità, per come sono io, e il fatto di collaborare con Dargen e Danti, è un lavoro che va in questa direzione.

Collaborazione che ha influenza sulla parola, ma meno sull’aspetto musicale come mai?

Beh, ma perché io sono io, non faccio rap, faccio pop e lo faccio a modo mio, da sempre, cercando di non etichettarmi da sola e di non entrare in etichette. Sicuramente sono vicina al pop anche se lo vivo a mio modo, ed è per questo che continuo a fare così, è l’unico modo di essere onesti in quello che si fa: se si rincorre una moda, se si rincorre quello che fa qualcun altro perché è andato bene, magari hai un fuoco momentaneo che poi però si spegne, perché l’identità va mantenuta sempre.

Ho l’impressione che “Cena di Natale” diventerà un piccolo classico della tua produzione e perciò ti chiedo: come nasce?

È una canzone che ha tanta importanza nel disco, è una delle più sentite e in parte sofferta. Nel processo del mettersi a nudo quello è un momento difficile perché è un momento che per me significa bilancio: la cena di Natale è una cosa che tutti gli anni mi spinge a fare un paragone con gli anni precedenti, a rendermi conto di che cosa cambia, faccio bilancio di ciò che ho fatto, le strade che ho preso e quelle che non ho preso, è un momento importante. Un momento che condivido con persone a cui voglio bene, è una canzone a cui voglio bene.

Hai già tirato le somme per la prossima cena di Natale?

No, aspetto di stare seduta a tavola per capire a che punto sono arrivata quest’anno.

C’è un libro per bambini che si chiama “C’è qualcosa di più noioso che essere una principessa rosa?”. Mi ha fatto pensare ad alcune delle tue canzoni incluse nell’album, quindi voglio sapere da te in che modo un certo tipo di rappresentazione della donna sia tossico per voi.

Io penso che questa idea sia ancora presente nonostante si facciano passi avanti ogni giorno, ogni tanto se ne fa anche qualcuno indietro, certo, ma in totale penso che la media sia positiva. Credo che la strada sia ancora lunga e che l’unica maniera per andare avanti in questo senso siano i fatti, quindi chiedo: “A te cosa piace fare?”, per mutuare il titolo di una canzone del disco. Penso che ogni bambino e ogni bambina e chiunque, già da piccolo, debba poter seguire la strada che vuole perché ha l’istinto di seguirla e non perché c’è un campo che è ritenuto più giusto per i maschi o le femmine. Non bisognerebbe indirizzare le giovani menti verso una strada che si ritene più giusta, ognuno dovrebbe seguire la propria vocazione e con i fatti dimostrare che i risultati si ottengono non in base al sesso ma alle capacità.

In che modo quindi la Cultura, nelle sue varie declinazioni, quindi è uno strumento importante per scardinare questo discorso?

Penso che chiunque abbia la possibilità di arrivare a tante persone, quindi abbia un megafono potente come quello che abbiamo noi abbia il dovere di esporsi di fronte alle ingiustizie e aggiungo che quando ci si espone bisogna farlo sulla base dell’informazione e della Cultura, perché se hai un grande megafono ma sei ignorante allora è meglio tacere. Però nel momento in cui hai un punto di vista fondato, informato, ti devi esporre, soprattutto davanti a qualunque evento grave che si ripercuote su qualcuno che è debole.

“Annalisa nuda” diventerà chiave di ricerca su Google, te lo sei posta come problema?

Sì, ci ho pensato, poi me ne sono fregata, alla fine.

“Nascere umani e diventare animali”. Come nasce la canzone e in che modo fa da chiusura all’idea dell’album?

La canzone è nata un bel po’ di tempo fa, quando sono stata a Los Angeles a lavorare a questo disco. È nata da subito come un esperimento, con la voglia di giocare, di essere un po’ maliziosa, ma alo stesso tempo portare un messaggio, e dentro l’acronimo Nascere umani e diventare animali c’è un punto interrogativo legato a tutte queste costruzioni, a tutte le cose che dovremmo avere imparato: in realtà hanno aggiunto o tolto qualcosa? Ci hanno fatto evolvere o involvere? E questo è un punto di domanda che ho sempre desiderato lasciare aperto e lo lascio aperto anche adesso. Nel momento in cui questa canzone ha preso forma mi è sembrato perfetto coinvolgere Lauro che nel frattempo avevo conosciuto per altre cose. Perché lui è un po’ così, è uno che mischia la follia al contenuto.

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