Per essere filosofo come lui ci vogliono scienza e libertà

Morto il professor Giulio Giorello, scrittore, esperto di fumetti, studioso di John Stuart Mill. Mai settario e profondo con ironia

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Giulio Giorello era, in Italia, il filosofo della scienza. E questo in un Paese dove, si sa, la scienza non ha mai goduto degli allori della cultura alta, benché la cultura di Giorello fosse altissima, così vasta e sicura di sé che lui, con la sua indipendenza di pensiero e la sua simpatia, la sapeva mischiare benissimo con quella popolare, «bassa» per modo di dire, sfornando opere da filosofo che rivelavano, per esempio, la sua passione per i fumetti, come La scienza tra le nuvole.

Giulio Giorello sapeva bene di che cosa parlava, la sua opera era divulgatrice nel senso più elevato del termine: nato nel 1945 a Milano, la sua città, dove è morto ieri, dopo una lunga malattia e dopo avere superato il Coronavirus nelle settimane scorse, viveva in centro, vicino all’Università Statale dove aveva la cattedra di Filosofia della Scienza; ma prima si era costruito il suo patrimonio attraverso una doppia formazione, umanistica e scientifica, con una laurea in Filosofia (nel 1968) seguita da una in Matematica (nel 1971), con Ludovico Geymonat, che fu il suo maestro, e con il quale scrisse Le ragioni della scienza (Laterza, 1986). Aveva insegnato alle facoltà di Ingegneria di Pavia, di Catania, dell‘Insubria e al Politecnico di Milano, prima di tornare alla filosofia e all’epistemologia. Ricordava un po’ Gadda, per questo: l’ingegnere scrittore, del resto anche Giorello era vulcanico, e amava moltissimo la poesia, Leopardi su tutti (e anche Leopardi era stato scienziato, a 15 anni aveva scritto la Storia dell’astronomia e Giorello amava rileggersi lo Zibaldone, per le osservazioni filosofiche e scientifiche).

Insomma Giulio Giorello appartiene a una tradizione, in Italia non diffusissima, ma che esiste, che tiene insieme scienza e umanesimo, rigore e creatività, fisica e storia, matematica e filosofia, e della quale fa parte, per esempio, Edoardo Boncinelli, che infatti è stato un suo amico carissimo, fino all’ultimo giorno, occupandosi anche delle nozze, avvenute 4 giorni fa, fra Giorello e la compagna.

La scienza era il suo grande amore (ha diretto per molti anni la collana Scienza e Idee per l’editore Raffaello Cortina), insieme all’Irlanda (diceva di avere assistito a una sola partita di calcio, della squadra del Donegal) e a Joyce (e proprio oggi è il Bloomsday, che celebra l’Ulisse), a qualche bicchiere di whisky, che collezionava, o di vodka (che sorseggiava volentieri, fino a che è stato aperto, al ristorante russo Yar, con i biscottini al limone), alla birra, sulla quale aveva addirittura tenuto una rubrica sull’Europeo, ai fumetti di cui era un esperto, e a certi personaggi unici nel loro genere, per esempio Thomas Jefferson, il suo ideale di uomo politico, e Baruch Spinoza, il suo filosofo preferito. Una volta in una intervista, al tavolino di un bar sotto casa sua, parlando velocissimo da dietro le sue lenti mi disse: «Io sono un individualista». Non che ci fossero dubbi. Per lui la scienza era quella di Russell e Popper: fallibile, amante del dubbio, naturalmente scettica verso le certezze assolute, che sanno subito di intolleranza e di tirannia.

Alla tirannia, anche a quella della maggioranza, diceva che avrebbe risposto volentieri come Jefferson, con le pistole. La libertà, quella di poter dire ciò che si pensa (e poi verificarlo, falsificarlo, confermarlo…) era il suo punto di partenza, la base del suo pensiero (aveva curato l’edizione italiana di Sulla libertà di John Stuart Mill). Il punto di arrivo… beh, sulla religione diceva d tenere separati gli ambiti del «mondo fisico» e «di Dio», pur non condividendo un «atteggiamento ateistico militante». Forse, come il suo adorato Spinoza, immaginava anche lui Dio come «una grandiosa Intelligenza matematica», con cui scambiare qualche chiacchiera (e qualche ipotesi) anche lassù…


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