Federica Fracassi, vita da strega

Mentre su Netflix si destreggia tra roghi e sortilegi, Federica Fracassi racconta vantaggi («mai ricevuto avance») e svantaggi («arrivo sempre seconda») della bellezza «non classica»

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Per metà dell’intervista, Federica Fracassi ripete che si vede brutta. L’attrice milanese lo dice mentre si sfila un berrettino di lana e libera una lunga coda rosso fuoco. Lo ribadisce mentre ordina un caffè americano senza brioche (è a dieta). Lo conferma tra una risposta e l’altra, con un sorriso gonfio di autoironia che viaggia lungo gli occhi verde velluto e arriva fino agli angoli delle labbra. È appena stata bellissima e non se ne è resa conto. Come probabilmente non se ne rende conto mai: né quando calca i palcoscenici di tutta Italia nei panni della Monaca di Monza o di Cassandra né quando diventa Alda Merini in Fuoco Sacro, un documentario sulla poetessa dei Navigli, né ora che ha appena finito di girare Luna Nera, la nuova serie Netflix disponibile dal 31 gennaio.

Qui interpreta Janara, guerriera dal passato oscuro e dai brevi discorsi: «Ha una cicatrice, deve aver sofferto, ma di lei non si sa nulla. Insieme a Tebe, Leptis e Ade (Manuela Mandracchia, Lucrezia Guidone, Antonia Fotaras, ndr) costituiscono una setta di streghe, depositarie di un antico sapere, impegnate nella difesa delle donne. E prese di mira da quanti temono la diversità».

Chi sono le streghe oggi?
«Tutte coloro che si distanziano dallo stereotipo di femminilità classica. E stanno bene nella propria pelle, senza sentirsi strane».

Lei si è mai sentita strana?
«Chi mi conosce mi definisce “una creatura”. In effetti è così: ho il naso lungo, il viso irregolare, capisco perché gli uomini mi percepiscano più come un’extraterrestre che come un oggetto del desiderio. Il che, a volte, ha i suoi vantaggi».

Quali?
«Non ho mai subito avance sul lavoro. In compenso…».

In compenso?
«A 48 anni sono una donna sola, e non è facile. Nessuno prenderebbe una con la mia faccia per fare la protagonista. Al massimo, in Italia, potrei fare la “racchia”».

Addirittura?
«All’estero è diverso. È stato provato che, quando rifacciamo un film che ha avuto successo in Francia, per esempio, alla protagonista femminile togliamo una decina d’anni. Qui dev’essere sempre un po’ giovane e bella. Io magari diventerò famosissima a 90 anni con un film stile A spasso con Daisy».

Il suo è un caso particolare: ha molto successo, di critica e di pubblico, ma è poco conosciuta. Evita la fama di proposito?
«La fama interessa a tutti. Per me sarebbe un mezzo. Un mezzo per incontrare i bravi della nostra epoca».

Chi sono secondo lei?
«Matteo Garrone. Paolo Sorrentino. Marco Bellocchio, con cui ho già lavorato e con cui tornerei a lavorare domani perché è un genio. Vorrei, però, un ruolo grande. Sento di poterlo fare. Ma io, ai provini, arrivo sempre seconda».

Un uso più costante dei social la renderebbe più popolare?
«A me sembra già di esagerare. Su Instagram pubblicizzo il mio lavoro, le date delle mie tournée teatrali. Ma per il resto penso: cosa dovrei postare, quello che mangio? Cioè, l’Australia sta bruciando e io metto un mio selfie alle prese con un’insalatona? Tra l’altro sto leggendo i saggi di Byung-Chul Han, un filosofo coreano che parla proprio di questo».

Di cosa?
«Dell’abitudine, che parte dal selfie ma va oltre, a guardare solo verso di sé. Facciamo fatica a entrare in contatto con l’altro. Lo rifiutiamo come troppo pericoloso. In un certo senso, la strega è proprio questo: è ciò che non si conosce e che perciò fa paura. Peccato che solo attraverso l’altro si possa stabilire un rapporto di condivisione. O d’amore».

Lei a rapporti d’amore com’è messa?
«Ne ho uno bellissimo con Musil, il mio gatto. È bianco e rosso, come me».

Google la dà come fidanzata dello scrittore Aldo Nove.
«Siamo stati insieme. Ora siamo amici».

Riesce a mantenere buoni rapporti con gli ex?
«Sì, anche se a volte ci vuole un po’ di tempo. Quando ami forte, poi serve un forte distacco. Ora sto lavorando su un principio di accettazione: essere single non è la fine del mondo. Ho tanti amici».

Un bambino lo vorrebbe?
«Sì, e per un po’ ho anche pensato all’adozione o all’affido. Ma poi come faccio? Sono sempre in tournée. Mi dedico ai miei figli teatrali: ventenni a cui do tre suggerimenti. Uno, vedete il più possibile, anche gli spettacoli che fanno schifo: solo così formerete un vostro gusto. Due, se avete la passione, buttatevi: oggi qualsiasi lavoro è difficile, tanto vale lottare per qualcosa che vi esalta. Tre, se le cose non vanno, l’alibi non sia che il mondo è cattivo».

Ma a volte lo è. O no?
«Lo è, lo è. Infatti la mia più grande paura è fare un passaggio insignificante su questa Terra».

Vanityfair.it

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