‘Glass’, Samuel L. Jackson è l’uomo di vetro nel sequel di Shyamalan

In sala il film con Bruce Willis e James McAvoy che chiude la trilogia iniziata con ‘Unbreakable’. Il regista: “Credo che ci sia qualcosa oltre ciò che possiamo vedere”

Samuel L. Jackson, siede nel salottino del londinese Corinthia Hotel, tutto di cachemire abbigliato, cappellino compreso. “Perché insistevo tanto per fare Glass con Shyamalan? Perché ho bisogno di lavorare” dice sorridendo l’attore incoronato da Variety come il più “bankable” di Hollywood. “Le due donne della mia vita, mia moglie e mia figlia, sono molto esigenti” sorride con la sua faccia da schiaffi. E in effetti la sua insistenza è stato uno dei motori che ha reso possibile Glass di M. Night Shyamalan, diciannove anni dopo Unbreakable – Il predestinato, con Bruce Willis eroe riluttante con il tocco per i cattivi e l’arcicattivo fragile uomo di vetro di Jackson appunto. Ma il sequel che arriva alle sale si è rivelato essere il terzo capitolo di una trilogia: ai due personaggi si aggiunge infatti il protagonista di Split, lo psicopatico dalle 23 personalità (detto anche “l’orda”) tra cui la bestia che si ciba di carne umana, al centro del thriller del 2016 campione di incassi, interpretato da James McAvoy. Ecco i tre riuniti e chiusi in un ospedale psichiatrico di Philadelphia, alla mercé di una psichiatra dall’aspetto morbido ma dalla volontà d’acciaio incarnata da Sarah Paulson (famosa per serie televisive come American Horror Story e American crime), convinta che i tre pazienti siano tutt’altro che super. Glass, da oggi in sala, è un misto di horror, thriller psicologico, ma anche “origin story” da fumetto. Il film è stato accolto in modo diviso dalla stampa, è piaciuto più agli europei che agli americani. Shyamalan racconta la genesi di Unbreakable. “L’idea mi venne al montaggio di Il sesto senso. Dopo un film di fantasmi volevo qualcosa di fumettistico. Ma dark, antico, che non avesse paura di entrare in luoghi scomodi e silenziosi. Avevo 27 anni ed ero senza paura. Invecchiando diventa più difficile. Vuoi proteggerti, non vuoi più essere ferito. I produttori dapprima non volevano il film ‘quello dei fumetti è un pubblico di nicchia, pochi patiti’. Nella promozione lo presentarono come un generico thriller. E invece io volevo raccontare di un uomo che credeva di essere un supereroe. Le prime reazioni furono negative: troppo strano, incomprensibile, non un granché. Quei giudizi mi ferirono, il coraggio non fu premiato”. Di quel set Jackson racconta: “La cosa più particolare che ricordo è il fatto che concessero che Night girasse il film in sequenza cronologica, così lavorai 13 giorni ma sono rimasto sul set due mesi e mezzo”. Il rapporto tra i due non fu proprio idilliaco: “Era un dittatore, sul set. Night. È preparato, sa molto bene quel che vuole e ha un modo specifico di raccontare le storie. Negli anni è diventato più aperto ai suggerimenti degli altri e questo è buono, ha finalmente capito che il cinema è più un esercizio di collaborazione rispetto a quello che hai preparato”. Eppure Jackson è stato uno di quelli che più hanno insistito con Shyamalan per avere il sequel: “Jackson mi fermava ovunque, persino al semaforo per strada a Beverly Hills, tirava giù il finestrino: ‘Quando fai il sequel, figlio di…?’. E io ‘ci sto lavorando’, anche se non era vero. Così, girato Split l’ho invitato a vederlo. E alla fine ha capito: ‘ma allora ora lo facciamo il film, figlio di…’. In Glass ho dovuto mettere insieme due generazioni molto diverse, quella di Split e quella di Unbreakable”. Oggi, ride Jackson “lo facevo solo perché all’inizio mi era stata promessa una trilogia. E perché volevo lavorare, come dicevo ho una famiglia dispendiosa”.Glass vs Nick Fury. Così Jackson racconta la differenza tra i film Marvel e quelli di Shyamalan: “Questo film è un ritratto di gente straordinaria, il modo in cui è raccontato, il mondo che fa da cornice a queste storie è molto diverso dai film Marvel, storie di supereroi e cinefumetti con un tono è diverso. Lì c’è spazio per gente che sa volare o ha un altro colore della pelle, che viene da altri posti, fa cose straordinarie. In questo mondo particolare che è molto simile al presente, alla realtà che viviamo, se ti dicono che c’è qualcuno invulnerabile tu dici ‘abbiamo bisogno di parlare’. E questo sono i personaggi, gente forte, invulnerabile o almeno dicono di esserlo e qualcuno cerca di provare se lo sono davvero o sono normali esseri umani, e il personaggio di Sarah Paulson, in qualche modo straordinario anche quello, arriva a dire che loro possono vivere nella nostra società da gente normale e non nel mondo straordinario che intendono loro”. Quella del regista è una descrizione decisamente più spirituale e poetica, riguarda il suo cinema in generale: “Credo nel piccolo pezzo di dio che c’è in ciascuno di noi. Lo chiamano sovrannaturale, non so se è la parola giusta, credo che ci sia qualcosa oltre ciò che possiamo vedere. Ma non ho le prove quindi continua a fare film che raccontano: e se?”.Samuel, nuove e vecchie pantere nere. Con 182 titoli, la filmografia di Jackson è un pezzo di storia del cinema, tra Hollywood e cinema indipendente. Cosa pensa oggi della nuova ondata di successo di storie e registi afroamericani, anche rispetto agli Oscar. “Black Panther è stato un fenomeno interessante, l’anno scorso. Ma così come lo è ora Se la strada potesse parlare, e sarà interessante vedere come saranno trattati alle nomination Barry Jenkins o BlackKklansman di Spike lee, che è ancora molto rilevante, importante ancora oggi dopo tanti anni, con temi che risuonano e che informano le persone sui parallelismi col passato. E poi James Baldwin che scrive sempre cose interessanti ed è importante che possiamo ancora godere delle sue storie, condividere la sua visione del mondo. E poi non dimentichiamo che quest’anno ci sono tante storie importanti con protagoniste donne”. Indubbiamente Unbreakable fu oscurato da Il sesto senso: “I produttori furono delusi perché incassò meno del film ‘vedo la gente morta’ che aveva fatto talmente tanti soldi. Ma per me fu un successo e divenne un culto. Successe la stessa cosa con Jackie Brown che fu oscurato da Pulp Fiction”. A proposito della longeva amicizia con il regista: “Non sono nel film che ha fatto ora. Ma se si riferisce a quelli precedenti, beh, c’è una grande collaborazione con Quentin, anche perché lui regala agli attori la possibilità di fare prove per un mese. Si parla, si riscrive, si riprova. Con tanto tempo. Certo, se poi mi sta chiedendo perché non sono in questo suo nuovo film – commenta, un po’ scherzando un po’ no – mi chiedo: che cavolo di lealtà è questa?”.

Arianna Finos, repubblica.it

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