Luca Tommassini firma il debutto di Eva Emaus: «La musica è provocazione»

Il coreografo e la cantante, al primo singolo, hanno unito le forze per confezionare un videoclip ambizioso. Perché «Il pop non è morto. Ha una grande occasione, e un artista deve (anche) saper eccitare», parola di Tommassini

«Never yours again», «Mai più tua». L’urlo di Eva Emaus, che nella musica ha guadagnato l’epiteto di «nuova promessa del pop internazionale», non ha a che vedere, unicamente, con la consapevolezza amorosa. «Quel che volevo è raccontare un bisogno di libertà, qualcosa di universale, che si possa manifestare tanto nella sfera privata quanto nella sfera sociale», ha spiegato la cantante, la cui passione per la musica ha radici antiche. «È cominciata che ero una bambina. Cantavo al Teatro San Carlo, nel coro delle Voci Bianche.

Ho avuto una formazione classica, alla quale poi ho accostato lo studio del violino. Crescendo, però, ho sentito il bisogno di esplorare anche altro. Ho preso a fare lezione con insegnanti più pop e, viaggiando, ho cercato di arricchire il canto e lo strumento con le tecniche dei luoghi visitati», ha raccontato ancora Emaus, cresciuta tra Napoli e Roma, e approdata poi all’estero. «Con Federico Paciotti, ho finito di scrivere il mio album», ha detto, spiegando come Never yours again, suo singolo d’esordio, sia il primo di una serie che si spera lunga.

Il brano, accompagnato da un video diretto da Luca Tommassini, è un pezzo «elettro-pop», dove l’apparente leggerezza cela un invito più profondo alla riflessione. Quel «Mai più tua», cantato da una voce giovane e versatile, vuole essere sprone all’emancipazione, un grido capace di valicare i confini territoriali.

Com’è nata la collaborazione tra voi?

Eva: «Never yours again è stato il primo pezzo che ho scritto con Federico Paciotti. Ci ha presentati lui. Poi, sono seguite riunioni su riunioni. Con Luca, abbiamo individuato le due facce di Eva, lo stato sensuale di una donna libera e la sua corazza, omaggio alla Human Nature di Madonna».
Luca Tommassini: «Di solito, non faccio videoclip. Federico, però, ha insistito. Ci conosciamo dai tempi dei Gazzosa. È venuto a casa mia. “Ma no, dai. Ormai, faccio video musicali solo su progetti o per persone che mi piacciono”, gli ho detto. “Vedrai”, mi ha risposto. E sono rimasto di sasso. Eva mi ha colpito sin dal primo incontro. È fenomenale».

Un colpo di fulmine, quindi.

L: «Sì. Io sono abituato a riconoscere gli artisti senza trucco. Spesso, senza una carriera. Negli anni, ho imparato a riconoscerli. Su di lei, mentre mi parlava, ho cominciato a cucire mille idee. È una ragazza di Napoli, capace di trasformarsi in Grace Kelly. Quando mi ha detto di aver fatto classico sulle punte, sono andato fuori di testa. Sono onorato di aver potuto plasmare tanta bellezza, interiore ed esteriore. Specie, perché in Italia non ci sono tanti ragazzi così».

Così come?

L: «Che viaggino. Io sono andato in America a sedici anni, e come me Eva ha creduto sin da bambina nel sogno di essere un giorno una popstar. Parla cinese, ha vissuto in luoghi lontani. Non appartiene alla categoria dei figli di madri italiane: donne meravigliose, che tendono però a tenere vicini a sé i giovani».

Perché l’omaggio a Madonna, nel video di Never yours again?

E: «Nel brano, come nell’album che uscirà nel 2022, io ho cercato di parlare di tematiche un tempo inaccettabili. Tematiche importanti. Il rimando a Madonna, con il look sadomaso, ha voluto essere un grido di libertà: un invito a combattere le cattiverie, armandosi quando serve della propria corazza».
L: «Human Nature credo sia il video più apprezzato di Madonna.  Avevamo i milioni a disposizione, all’epoca. Avvicinarsi a Madonna, oggi, è difficile. Ma a me piace sempre seminare nei miei video elementi che possano essere riconosciuti universalmente, visione dopo visione. Marzo di Giorgia, ad esempio, è bello e attuale ancora oggi, perché in qualche modo è classico. Il cielo è perfetto, le nuvole lo sono. Io uso la luce artificiale anche all’esterno, le ustiono queste donne. Giro i clip per dar loro vita eterna. È presuntuoso? No. è ambizioso.  Per un video destinato a passare non chiamate me».

Come è nata, nel video, l’idea di giocare sul dualismo di Eva?

E: «In una delle riunioni, abbiamo pensato ad un gioco di contrasti. Nel video, è rappresentato l’Eden, poi una gabbia, richiamo metaforico al periodo che abbia vissuto e non solo. La gabbia è il Covid-19, la mancanza di libertà fisica alla quale siamo stati costretti. Ma è anche un invito a liberarsi di ogni relazione che ci faccia sentire a disagio, amorosa o meno che sia».
L: «Prima di farlo, le ho chiesto il permesso. Credo che Eva abbia in sé due anime: ha in sé qualcosa della madre e qualcosa della mistress, pronta a prendere il frustino. Io, nella vita, ne ho sbirciato un po’ di porno. Così, ho deciso che avrebbe dovuto far sognare lo spettatore, eccitarlo. È un elemento importante, l’eccitazione».

Eppure, nel video, ogni significato sessuale è sottinteso.

E: «Sta nella gestualità, il mio messaggio. Abbiamo cercato di restituire l’idea di una libertà vissuta a trecentosessanta gradi. La sessualità è determinante, perché parte fisiologica dell’essere umano: qui, è colta come libertà di espressione, che, nella seconda parte del videoclip, diventa capacità di dire basta a certe situazioni tossiche. Scrivendo, ho pensato ai bambini e alle donne costrette, in lockdown, a subire la violenza domestica dei propri conviventi. Ma, scrivendo, e facendolo in inglese, ho pensato anche all’omofobia, alle piccole rivoluzioni che si stanno accendendo altrove».
L: «Ho cercato la sessualità nel rapporto tra Eva e il suo Adamo. L’ho trovato perfetto, Tommaso Stanzani, vincitore di Amici. Ha il viso angelico, ma credo nasconda l’animo di un porcone (ride, ndr). Non avevamo a disposizione grandi budget, ma ho deciso di arrangiarmi. Ho avuto pochissimo quand’ero piccolo, e questo poco mi ha insegnato a far tesoro di tutto. Ho vestito Tommaso ed Eva di carta e fiori, ed è venuta fuori una figata. La provocazione l’ho cercata nei movimenti, ho puntato sulla gestualità».

E di simboli, nonostante Never yours again sia figlia (anche) del Ddl Zan, avete deciso di non utilizzarne.

E: «Io credo sia importantissimo per un artista riflettere nella propria arte il mondo circostante. Con misura, però. Io, in questo momento di fermento sociale, con diversi artisti schierati pro-Ddl Zan, ho cercato di porre delle questioni. Di invitare alla riflessione, senza essere pressante. Vorrei aprire un dialogo, lasciando a chi ascolti la libertà di scegliere se e come interpretare quel che canto».
L: «Un videoclip non deve mai sposare l’epoca in cui è girato. Nemmeno nei look. È importante mandare messaggi di libertà e apertura. Open-up, si dice. Ma tutto ciò che passa in un videoclip deve essere immediatamente comprensibile. Se infilassi dei simboli, limiterei la diffusione di un video, nel tempo e nello spazio. Io, invece, ho la responsabilità di far fluire questi prodotti ovunque, nel rispetto delle culture e delle religioni altrui».

Ma il pop è ancora capace di dare messaggi sociali, civili?

E: «Pop è un termine generico, al cui interno fa capo tutto e niente. Dire pop, e basta, non vuol dire granché. Io, ad esempio, ho definito il mio brano elettro-pop, perché ho cercato di costruirlo su una sonorità dance ed elettronica, che restituisse l’idea di libertà e gioia. Ciò detto, però, credo che sì, la musica possa ancora avere un suo ruolo sociale».
L: «Il pop non è morto. È forte, fortissimo. Più potente oggi di quanto non lo fosse ieri. Non sono potenti le star, però. Oggi, ci si affeziona ad una canzone, non ad un artista. Credo sia colpa dell’enorme mercato di distribuzione. Finisce che il nuovo artista coreano, in classifica, fagocita il tuo artista preferito, portandolo a scomparire. Un tempo, avevamo venti artisti in un anno. Oggi, negli ultimi vent’anni, abbiamo avuto un solo grande artista: Lady Gaga. Lei, la conosce anche mia madre. Eppure, il pop non è il vuoto, ma il pieno di tutto, perché al suo interno ha la storia: un miscuglio di culture. Ha ancora una grande occasione, il pop».

Vanityfair.it

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