Walter Bonatti, il bambino “piacentino” che sognava l’avventura

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Walter Bonatti il prossimo 22 giugno avrebbe compiuto 90 anni. E di lui, a nove anni dalla scomparsa, si continua a parlare. Dal 29 settembre al 1° ottobre, per esempio, al Teatro Manzoni di Milano andrà in scena È questa la vita che sognavo da bambino?, uno spettacolo di Gianni CorsiEdoardo Leo e Luca Argentero. È questa la vita che sognavo da bambino? era in cartellone a febbraio ed è stato rinviato in autunno a causa del Covid-19.

Sul palco Argentero racconta le storie di personaggi dalla vita straordinaria. Uno di questi è Walter Bonatti. Soprannominato “il Re delle Alpi”, Bonatti è stato una delle figure più eminenti dell’alpinismo italiano e mondiale. Nato appunto il 22 giugno 1930 a Bergamo, è cresciuto anche “sulla riva emiliana del Po”. Molti ricordi del giovane Bonatti sono legati a Piacenza, San Pietro in Cerro e alla bassa. E da bambino il piccolo Walter era solito giocare con gli amici anche lungo il Po: vinceva chi per primo raggiungeva a nuoto la riva lombarda, “attraverso le difficoltà della corrente”.

Poi arriva la scoperta delle grandi montagne. Tra le sue scalate più famose, quella della parete est del Gran Capucin e la conquista in solitaria della parete sud-ovest del Petit Dru, entrambe nel massiccio del Monte Bianco. Quest’ultima è considerata ancora oggi un’impresa che segna una tappa indimenticabile della storia dell’alpinismo.

Altra ascesa molto importante, l’ultima fatta in solitaria, è l’apertura di una nuova via in invernale lungo la parete Nord del Cervino, una montagna con cui Bonatti ha sempre avuto un rapporto strettissimo, e che chiude la sua carriera nel 1965. Senza dimenticare le scalate delle pareti Nord di Eiger e Grand Jorasses, sempre in invernale e solitaria, con l’alpinista primo al mondo a completare questo trittico fino ad allora ritenuto impossibile.

“Il Re degli 8.000”, Reinhold Messner, che con lui ha scritto il libro Walter Bonatti Il fratello che non pensavo di avere (Mondadori), ricorda l’amico con queste parole: ”È stato uno degli alpinisti più grandi della storia, l’ultimo alpinista tradizionale, fortissimo in tutte le discipline.”  

Fin dall’inizio della sua carriera Bonatti va anche in giro per il mondo, dalla cime dell’Himalaya a quelle della Patagonia. Così nel luglio del 1954, a soli 24 anni, partecipa alla spedizione italiana per il primato nella conquista del K2, la seconda vetta più alta del mondo con i suoi 8.610 metri, nella catena del Karakorum

Volontariamente abbandonato dai compagni Lacedelli e Compagnoni, Bonatti è costretto a trascorrere la notte a 8.100 metri senza sufficiente protezione rischiando l’assideramento, insieme con Mahadi, uno sherpa di nazionalità hunza.
I due alpinisti temono che il giovane Bonatti voglia superarli e conquistare la vetta per primo. Questa esperienza lo segna nel profondo. Per oltre 50 anni la verità su quelle ore non è stata accertata. Solo negli anni 2000 viene confermato che Bonatti ha sempre detto la verità. Così dopo il CAI, anche la Società geografica italiana accetta la versione dell’alpinista.

Nella seconda metà degli anni 60, abbandonato l’alpinismo estremo, Bonatti ha ancora sete d’avventura. E decide di trasferire le sue esplorazioni “dalla verticalità delle altitudini all’ampiezza del mondo orizzontale”.

Racconta nel libro Un mondo perduto (Dalai editore): ”Da ragazzo ho sempre divorato libri d’avventura, trasponendone poi il contenuto nei luoghi a me familiari. È così che il Po raffigurava per me il Mississipi o il Rio delle Amazzoni. StevensonDefoeConan DoyleConradJack LondonMelville e tanti altri sono stati i miei vangeli. E quando ho avuto la preparazione per farlo, e i mezzi, mi sono dedicato a verificare l’esattezza di quelle che sovente parevano creazioni scaturite della fantasia. Autori erano questi che sapevano vedere il mondo come anch’io avrei voluto vederlo. Ed è ciò che avvenne”.

Negli anni che vanno dal 1965 al 1978 Bonatti diventa giornalista e fotoreporter per la rivista Epoca. Nei suoi reportage, realizzati in luoghi lontani e sperduti, incontra animali selvaggi e natura incontaminata, appassionando l’Italia intera. Quelle per il settimanale sono avventure che l’esploratore non si accontenta di fotografare, ma che vuole vivere.

Così mette a punto la tecnica dell’autoscatto, con sistemi sofisticati e ingegnosi: fili lunghi 50-100 metri che collegano la macchina a un pulsante, transistor e impulsi radio, centraline grazie alle quali “potevo comandare fino a tre macchine fotografiche, ognuna con la sua lunghezza focale”.

Negli anni 80, dopo il divorzio dal primo matrimonio, Bonatti comincia una relazione con Rossana Podestà. L’attrice durante un’intervista dice che avrebbe scelto un uomo come Walter Bonatti per fuggire su un’isola deserta. Lui, reduce delle sue spedizioni negli angoli più remoti della terra, le scrive.

I due s’incontrano e così nasce la loro storia d’amore. Negli anni successivi Bonatti, che ha l’avventura nel Dna, decide di condividerla con lei, accompagnandola in alcuni luoghi dei suoi reportage. Nelle ultime interviste, la Podestà (anche lei scomparsa nel 2013) alla domanda se non avesse avuto paura in quei posti risponde: ”No, perché io avevo Walter con me”.

Bonatti ha sempre sostenuto che la sete d’avventura si soddisfa prima di tutto usando l’immaginazione. “È dunque sognando a occhi aperti, io credo, che vivi intensamente; ed è ancora con l’immaginazione che puoi trovarti a competere persino con l’inattuabile. E qualche volta ne esci anche vincitore”.

E lui ha decisamente vinto la sua sfida con l’immaginazione. Dal bambino del piacentino, che divora romanzi d’avventura, è diventato il protagonista di quelle avventure. È riuscito a coniugare l’eroe con l’uomo semplice e onesto. Per questo la sua vita straordinaria continua a far sognare.


Caterina Pagani, Ilmiogiornale.net

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