Beppe Caschetto: “Ho venduto una campagna a 5 mln. Alba Parietti? Fragile. Lele Mora? È stato abbandonato”

È più potente lei o Presta?
«Presta».

Non si butti giù.
«Giochiamo in campionati differenti. Lui corre i 100 e i 200 metri, io lavoro più sul mezzofondo».

Chi gli soffierebbe?
«Non ci ho mai pensato. Ma sarebbe emotivamente interessante lavorare con Benigni».

Com’è riuscito, lui, a portare Mattarella in tv?
«Ci siamo riusciti pure noi nel 2015, quando il presidente della Repubblica è intervenuto al programma di Fabio Fazio Viva il 25 aprile!: venne nella piazza del Quirinale ad ascoltare l’Inno nazionale. Ci aiutò Giancarlo Leone».

Beppe Caschetto è l’agente di Lilli Gruber e Giovanni Floris, Luciana Littizzetto e Virginia RaffaeleMaurizio Crozza e Neri Marcorè, Geppi Cucciari e Fabio Volo, Stefano De Martino e Lucia Annunziata. La lista è ancora lunga, come la carriera che riesce a garantire ai personaggi che rappresenta con la Itc 2000, azienda per il 70% sua, per il 15% della moglie Rossana Mignani e per il 15% della figlia Federica. Questa è la terza intervista che concede in 30 anni di carriera, davanti a un infuso di zenzero e limone.

Cominciò tutto con Bibi Ballandi.
«Lavoravo in Regione con l’assessore Alfredo Sandri. L’Emilia Romagna aveva firmato una convenzione con la Rai per realizzare in Riviera eventi televisivi importanti, e Ballandi gestiva al Bandiera gialla Beato tra le donne. Il colpo di fulmine fu a Roma a una riunione con Pingitore, autori e dirigenti Rai, un piccolo girone dantesco dove tutti litigavano. Presi la parola e si tranquillizzarono. Ballandi chiese: sapresti rifarlo?».

Prima artista: Alba Parietti.
«La raggiunsi in Sardegna il 13-14 agosto 1993. Era un astro nascente assoluto, esigentissima: in quel momento ti consentiva di parlare con chiunque, ministri e non. Fini le chiese addirittura di candidarsi come sindaco di Roma».

Un aneddoto incredibile?
«Mi si presentò un signore distinto, disse che possedeva banche e ville. Stavano facendo una grande lottizzazione a Sharm el-Sheikh e chiedeva che Alba partecipasse alla conferenza stampa a Milano con il ministro degli esteri egiziano. Era disposto a pagare un buon compenso e a darle “pure una villa”. Ai tempi io facevo fatica a fare il pieno della benzina…».

E quindi?
«Risposi va bene e gli chiesi la villa. Replicò che aveva detto tanto per dire. Ed io: no, ha parlato lei della villa e ora gliela compra. Lo fece».

Parietti racconta che vi siete lasciati perché non le rispondeva più al telefono. È vero?
«No, le rispondevo meno. Il tema era un altro: capivo di esserle poco utile professionalmente».

Impossibile.
«Alba aveva una sua inespressa fragilità: faceva solo le cose che riteneva di poter fare. Le faccio due esempi. L’agente di Mia Farrow mi cercò perché il produttore di 007, Albert Broccoli, aveva letto sul New Yorker un servizio dedicato a lei e la voleva per il ruolo di antagonista nel nuovo film di James Bond. Mi chiese come se la cavava con l’inglese, risposi che sarebbe potuta stare sei mesi in Inghilterra per perfezionarlo. Quando glielo proposi, rifiutò: che noia Londra».

L’altro esempio?
«Fece a teatro Nei panni di una bionda, un successo. Poi un giorno mi telefonò perché Franco Branciaroli l’aveva chiamata: Ronconi voleva fare una cosa teatrale con loro. Pensai: Bingo! E lei: non me la sento. Capii di essere inadeguato. Le ho voluto bene, le sono riconoscente, ma non sono un percentista: se non ci metti nulla di tuo, non ha senso fare questo lavoro».

Non è un percentista, ma prende una percentuale. Quant’è?
«Un agente guadagna dal 10 al 15 per cento».

Il contratto più importante?
«Come faccio a dirglielo? Ho venduto una breve campagna pubblicitaria a 5 milioni e stagioni televisive per qualche milione».

Chi guadagna di più, tra quelli che segue?
«Alcuni guadagnano milioni, ma generano anche ricavi per milioni».

Cura da solo le trattative?
«I contratti minori li seguono le mie assistenti: ho 14 dipendenti, tutte donne. Più un avvocato e un commercialista».

Com’è lavorare con sua figlia?
«Complicato. Fa bene, ma non vuole che il lavoro diventi la sua ragione di vita. Lo rispetto».

È anche produttore: di quale film è più fiero?
«Del Traditore , mio vecchio pallino. Grazie a Bellocchio ho avuto la percezione di giocare in un altro campionato. Tre giorni dopo averlo contattato, mi richiamò e disse: Il traditore. Non era solo un titolo, ma la sintesi di una cosa che altrimenti non avrebbe avuto senso».

Ha visto la serie tv «Call My Agent – Italia»?
«In parte: c’è un artista che rappresentiamo, Maurizio Lastrico, un talentaccio. Quando avevo visto la serie francese avevo pensato a un progetto simile in Italia, ma credo che un agente non dovrebbe mai raccontare quello che fa».

Sogna mai di mollare tutto e andare a Bali?
«C’è un tale carico, dal punto di vista emotivo, che non vorresti solo andare a Bali, vorresti proprio sparire. Se decidessi di andarmene, non mi troverebbe più nemmeno l’Interpol».

Nei primi anni Duemila i Fab 4 degli agenti eravate lei, Ballandi, Presta e Mora. Contattò Mora quando fu travolto dalle disavventure?
«Credo di averlo cercato una volta e di non essere riuscito a parlargli. Avrei voluto esprimergli solidarietà umana. Il nostro lavoro è un po’ come quella canzone di De André, ha presente? “Alla stazione c’erano tutti…”?».

…dal commissario al sagrestano.
«Lele Mora è stato organico a un mondo, e poi per ciò che ne so io è stato abbandonato».

La chiamano in tanti modi: Richelieu della televisione, Eminenza grigia, Uomo ombra, Lucio Presta della sinistra. Quale la diverte di più?
«Forse Lucio Presta della sinistra».

In effetti segue solo personaggi di sinistra.
«Seguo personaggi che mi corrispondono un po’, o forse corrispondo io a loro».

Però ha rappresentato anche Nicola Porro.
«Non solo lui. Lo proposi a La7 per fargli condurre In onda. Convinsi l’allora amministratore delegato Gianni Stella a raggiungerlo in Sicilia, dov’era in vacanza. Arrivammo in Calabria in aereo e da lì andammo in cima a Vulcano in elicottero, dove ci venne a prendere un’apecar che ci portò da lui».

Perché vi lasciaste?
«Non ci siamo lasciati. Lo avevamo seguito solo per quel programma».

Non segue più nemmeno Miriam Leone.
«Non è così. Ce ne occupiamo per la tv. Quando è stata matura per il cinema siamo stati noi a consigliarle un altro agente, perché non siamo un’agenzia di cinema: producendo film ci sarebbe un conflitto d’interessi. Fanno eccezione Luca e Paolo, Ferilli, chi è con noi da sempre».

Parla di conflitto di interessi, ma spesso in un programma si trovano diversi suoi artisti.
«E dove sarebbe il conflitto? Se io immagino che la Littizzetto possa funzionare da qualche parte, posso proporla o no? La scelta finale non è mia: chi decide pensa al bene del programma».

Lavora mai in nero?
«No, e non è una scelta virtuosa. Se sei figlio di carabiniere e cominci a fare questo mestiere a 36 anni, non sai nemmeno cosa significhi quando senti: “Quelli me li dai con l’elastico giallo”».

I suoi genitori ci sono ancora?
«No. Mio padre era anticomunista viscerale, litigavamo sempre. A 18 anni me ne andai. A 45 ho comprato una casa importante a Bologna, gliene ho dato una parte con il giardino dove poteva tenere un cane, il suo sogno. Non riusciva a capire che lavoro facessi. Non lo convinse neppure una foto autografata di Berlusconi che diceva: “Creda di più a suo figlio”».

Con quale direttore è stato più bello lavorare?
«Con Freccero, paradossalmente: è quello che mi ha fatto più danni, mi ha chiuso tanti programmi, compreso uno di Luca e Paolo che andava benissimo nell’access prime time».

È più difficile, ora, con il Governo Meloni?
«Non sono convinto che questo governo rappresenti un saccheggio. Il vero oltraggio è la regola che definisce nel triennio il periodo di competenza dell’ad e, a cascata, dei dirigenti. Il primo anno serve a capire, il secondo a cominciare a lavorare e il terzo è già di uscita…».

L’artista che segue da più tempo?
«Alessia Marcuzzi, da 30 anni. Quando la presi, il padre mi chiese cosa volessi farne. Vorrei che stesse a casa almeno un anno, risposi. Veniva dal Grande gioco dell’oca, era la ragazza nel fango. Feci almeno 20 viaggi da Gregorio Paolini di Mediaset prima di convincerlo a prenderla».

C’è un artista a cui vuole più bene?
«Sì, ma non glielo dico».

Libro preferito?
«Iliade e Odissea. Mi piace la parte in cui Ulisse sistema il conto coi Proci e poi cerca il padre».

Il film di sempre?
«Ombre rosse ».

Quello che vorrebbe produrre?
«Uno sulla Battaglia di Canne: Annibale mi piace da morire».

È scaramantico?
«Abbastanza. Una volta in Grecia mi attraversò la strada un gatto nero e per tornare allo stesso punto feci il giro dell’isola al contrario».

Gli occhiali sono un vezzo o le servono?
«Mi proteggono. Ma potrei non usarli».

La trattativa più lunga?
«Una durò 71 ore e mezzo. Il mio interlocutore arrivava ogni giorno sempre più in ritardo. Dopo la firma, sbottò: ma che uomo è lei, non le dava fastidio? E io: chi le dice che non mi desse fastidio?; non ha idea di quanto le sia costato».

Ama i proverbi. Il suo preferito?
«Male non fare, paura non avere».

Un hobby insospettabile?
«A 13 anni mi iscrissi al Club Magico Italiano: non ho più smesso di leggere i libri di magia».

L’hanno aiutata nel suo mestiere?
«Moltissimo. Perché c’è un segreto dietro ogni cosa: fa la differenza come la presenti».

Quale sfizio si è tolto con il benessere?
«Andare in vacanza come piace a me: con il mare a portata di piede».

A chi è più grato?
«A mia moglie: per tutte le volte che ha aspettato un marito che non arrivava mai a casa la sera».

Elvira Serra, corriere.it

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