Milena Vukotic: “Ero per tutti la Pina di Fantozzi. Ora, a 84 anni, ho scoperto di essere bella”

Da quando è scesa sulla pista di Ballando con Stelle, Milena Vukotic ha conquistato tutti. Un trionfo di complimenti meritati. Per la sua bravura come ballerina, lascito di un passato nella danza che le ha regalato una grazia che dalle movenze si riflette nei modi. Ma anche per la sua bellezza, che le consente di portare straordinariamente bene gli 84 anni che compirà il 23 aprile. Un ribaltamento di prospettiva sorprendente e inatteso per lei, che nei panni dimessi della signora Pina Fantozzi, è entrata nell’immaginario collettivo. «Mi ripeto che devo stare concentrata su cosa ancora c’è da fare, ma per quanto ci si ubriachi di buoni proponimenti, di fronte a tutte le belle parole l’emozione ha il sopravvento».

Immaginava che Pina sarebbe stata così fondamentale per la sua carriera? «Villaggio era un genio, quindi un po’ lo pensavo. Aveva creato degli archetipi. All’inizio, mi aveva detto: dimenticati ogni velleità, ormai siamo dei clown. E ho aderito, sono molto disciplinata».

Si è mai pentita? «Mai, anche perché quella è una maschera universale. Ho cercato di sviluppare tutte le sue possibili sfumature. Penso di averlo fatto. Al punto che un giorno, invitata a colazione a casa di Paolo, dopo aver aperto la porta, la colf disse: signora, è arrivata la moglie di suo marito. Paolo rise molto, ci volevamo bene. In generale, credo conti avere consapevolezza di fare ciò che ci appassiona».

Ma prima di essere attrice è stata ballerina: era nel Grand Ballet du Marquis de Cuevas. «Ho dedicato alla danza una frazione della mia vita: anche se l’ho abbandonata molto tempo fa, ora un po’ mi avvantaggia. Ricordo quegli anni come una specie di servizio militare: bisognava sposare il rigore. Non è un peso se senti di amare quello che fai».

Solo che, a un certo punto, ha sentito di amare la recitazione, è così? «E’ successo dopo aver visto La strada, di Fellini. Mi ha illuminata: ho capito che volevo recitare. Così mi sono buttata, ho ricominciato da zero. Ma volevo incontrarlo: mi aveva dato un segno».

Ci è riuscita? «Sì. All’appuntamento sono andata con una lettera di presentazione che mi è rimasta in tasca: è stato subito amichevole, sapeva mettere chiunque a suo agio. Ero andata dal parrucchiere, cosa che non mi capita spesso, e lui mi aveva messo una mano in testa. Negli anni siamo diventati amici, ma non gli ho detto che per me era stato così fondamentale».

Ha lavorato anche con Luis Buñuel: come lo ricorda? «Un altro maestro. Abbiamo fatto tre film. Prima di incontrarlo avevo chiamato proprio Federico per chiedergli un parere, come ormai facevo abitualmente. Era entusiasta, mi aveva detto di salutarglielo e prima di mettere giù mi aveva chiesto: ma… quanti anni ha? Anche Buñuel, poi, era stato felicissimo di ricevere i suoi saluti: mi aveva detto che lo amava molto, mille complimenti. E prima che andassi, mi aveva chiesto: ma… quanti anni ha?».

Ha recitato per loro, Risi, Scola, Bertolucci, Monicelli… «Sono stata fortunata, senza dubbio. Ora mi piacerebbe farlo per Gianni Amelio, Nanni Moretti, Alice Rohrwacher. E Sorrentino, certo, ma ammetterlo è un po’ imbarazzante perché in passato mi aveva cercata… poi non siamo riusciti… vedremo».

Nella sua carriera ha avuto spesso il ruolo di moglie, no? «Mogli e fidanzatine disgraziate, zitelle… Personaggi che ho sempre curato con felicità, cercando di renderli veri. Avendo un fisico che non corrisponde a certi schemi di bellezza, forse era inevitabile. Ricordo un mio incontro con Renato Castellani. Mi disse: ma lei cosa vuole fare? Il cinema? Bisogna essere o belle come Gina Lollobrigida o avere una tipologia marcata come Anna Magnani: lei non ha una cosa e nemmeno l’altra, le consiglio di lasciar perdere».

Parole non semplici… «Eh, insomma… ma aveva detto ciò che pensava. Anni dopo mi volle per un suo film: non se ne ricordava. Certo, vedersi affidare sempre certi ruoli, un po’ ti segna».

A cosa pensa? «Ad esempio, a quando Lattuada mi scelse per Venga a prendere il caffè da noi. Io, Angela Goodwin e Francesca Romana Coluzzi dovevamo essere tre emblemi della bruttezza. A una avevano dovuto mettere una cosa in bocca, all’altra deformavano il viso con il trucco… a me, invece, non avevano fatto niente: andavo bene così».

Che effetto le fa sentirsi dire oggi che è bella? «Mi fa sorridere. L’età c’è, ma è bello festeggiare l’essere in vita. Riguardo al fisico, penso sia la danza ad avermi aiutata, chissà. Mi tengo stretta queste belle parole».

Per lei è una rivincita? «Non saprei, forse in un certo senso… Ma, tornassi indietro, non cambierei nulla. Non ho rimpianti, visto come è andata. Sempre Fellini mi diede un consiglio che per me resta importante: nei limiti della decenza, bisogna fare tutto».

Chiara Maffioletti, Corriere della Sera

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