AMERICA-ITALIA A CONFRONTO, ECCO COME VINCERE UN OSCAR (O UN DAVID) A SOLI 30 ANNI

Da Harvard al Centro Sperimentale ecco dove si formano i talenti e dove hanno allestito le loro fucine creative

Con 14 candidature agli Oscar il 34enne Damien Chazelle è il più giovane cineasta della storia dell’Academy ad aver vinto una statuetta per la regia (ne ha totalizzate ben 6 con La La Land). Per questo è diventato il simbolo del ricambio generazionale di Hollywood, confermando una tendenza globale. Xavier Dolan e Jeff Nichols sono solo alcuni degli altri esempi di creativi, sicuri, determinati e impavidi che, negli ultimi anni, si sono affermati nelle sale e nei festival internazionali con ambizione e irriverenza. Nel 2009 per esempio, appena ventenne, Dolan sfidò il sistema canadese dei finanziamenti definendolo “un meccanismo obsoleto finalizzato a tenere in ostaggio la creatività del paese”. Chazelle, da parte sua, ex brillante studente del Visual and Enviromental Studies Department dell’Università di Harvard, già nel 2015 con Whiplash si era aggiudicato tre Oscar (attore non protagonista, montaggio e missaggio).
Da Harvard a Roma, le scuole del successo e gli outsider
Con la moltiplicazione dei canali mediatici e il potere suggestionante dei mestieri che ruotano attorno all’audiovisivo, negli ultimi vent’anni le scuole di cinema e produzione multimediale sono aumentate in maniera esponenziale e hanno raffinato l’offerta didattica per diventare sempre più competitive. Così negli Stati Uniti le fucine creative sono l’University of Southern California – School of Cinematic Arts, l’University of California, Los Angeles, l’American Film Institute, Los Angeles e la Tisch della New York University, le cui rette stratosferiche corrispondono ad una formazione all’avanguardia, premiata dal mercato con un invidiabile tasso di occupazione e successo degli ex studenti. Alle grandi università seguono poi un corollario di accademie e istituti, tra cui il più famoso è la New York Film Academy, un franchise con sedi sparse per il mondo che si avvale di master class con i personaggi più premiati dello spettacolo e di strutture e logistica di altissimo livello.
Nell’atmosfera di rinnovamento anche dall’Italia arrivano alcune avvisaglie di novità con una combattiva falange di giovani autori di provenienza eterogenea. L’eccellenza del Centro Sperimentale, che vanta una storia prestigiosa e un corpo docenti d’eccezione è ancora quella che produce il maggior numero di talenti che poi approdano al cinema come registi o maestranze collaterali. “È una struttura che ci invidia tutto il mondo – commenta Giuseppe Lanci, direttore della fotografia, docente e coordinatore della scuola – tra le migliori d’Europa per tradizione offre una formazione a 360° sui mestieri del cinema. Non a caso tra i nostri ex allievi emergono sempre nuovi talenti”.
Quest’anno per esempio tra i candidati ai David di Donatello figuravano Edoardo De Angelis con Indivisibili (17 candidature) e Claudio Giovannesi con Fiore, entrambi classe 1978 ed entrambi ex allievi del Centro Sperimentale. E pure il miglior regista esordiente, Marco Danieli con La ragazza del mondo, veniva dalle stesse aule. Insieme a loro c’era però anche Matteo Rovere, classe 1982. Produttore, sceneggiatore e regista di Veloce come il Vento, senza background accademico, ha incassato 6 David su ben 16 nomination.
Se questi dati non bastano ad affermare che anche in Italia i tempi sono maturi per una ventata di rinnovamento e di ricambio generazionale è utile ricordare alcuni altri nomi: Alice Rohrwacher, per esempio, che a 33 anni si è aggiudicata il Gran Premio della Giuria al Festival di Cannes 2014, Laura Bispuri, classe 1977, in concorso a Berlino 2015 con Vergine Giurata dopo aver fatto incetta di premi per i suoi cortometraggi (tra cui un David) oppure Caterina Carone, Premio Solinas, documentarista e soggettista che ha esordito alla regia con Fräulein – Una fiaba d’inverno grazie a Tempesta Film di Carlo Cresto-Dina. Tra i più attivi e apprezzati poi, anche al botteghino, il collega e socio di Matteo Rovere, Sidney Sibilia, anche lui senza formazione accademica, che ha dato vita ad un raro esempio di franchise all’italiana con la fortunata saga Smetto quando voglio.
Groenlandia, Goon Films, Piramid Studios: dove nascono i film dei giovani
Rovere e Sibilia hanno una loro casa di produzione, la Groenlandia, in una location insolita, lontano dal quartier generale delle altre società cinematografiche romane, tutte assestate storicamente in zona Prati. Una sede forse strategica, in prossimità del MiBact, e confinante con un’importante ambasciata che garantisce sicurezza e privacy al palazzetto storico che ospita spazi per brainstorming, sale di registrazione e montaggio e un suggestivo giardino per operazioni di networking. Gabriele Mainetti, regista indipendente (David di Donatello al miglior esordiente nel 2016) che ha sbaragliato al botteghino i concorrenti con Lo chiamavano Jeeg Robot, ha studiato a Roma Tre prima di completare la sua formazione alla Tisch School of the Arts della New York University. Attualmente, mentre promuove la pellicola all’estero, tra cui il Giappone, per dirne uno, sta allestendo uno spazio nei pressi del Colosseo dove, oltre a produrre i suoi prossimi film, potrebbe dare spazio a progetti internazionali in cerca di supporto.
Altra realtà nascente per i giovani creativi e gli aspiranti registi è quella creata dal fondatore della Eagle Pictures, Pete Maggi, che ha acquisito un’ex fabbrica di 1500 mq giusto alle spalle della Piramide Cestia, i Piramid Studios, appunto. Spazio destinato al coworking d’ispirazione statunitense mette a disposizione dei giovani teatri di posa, uffici, costumi e scenografie. L’imprenditore garantisce che tutti i progetti pervenuti vengono esaminati e, nel caso, supportati anche nella ricerca di fondi. In quest’ottica a febbraio è stata lanciata l’iniziativa chiamata Etiquo diretta a giovani registi indipendenti o a studenti delle scuole di cinema di tutta Italia.
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Sfide per i creativi: mercato e internazionalizzazione
Non è così assurdo parlare di scuole come fucine creative, se anche la Biennale ha lanciato nel 2011 la sua attività strategica, rivolta alla formazione di giovani filmmaker provenienti da tutto il mondo, nell’omonima riserva chiamata College Cinema, che da quest’anno ha uno spazio deputato anche alla realtà virtuale. Secondo Martino Gozzi, direttore didattico della Scuola Holden di Torino, quella dove si è formata Alice Rohrwacher, “non è un azzardo pensare che le produzioni potrebbero in futuro rivolgersi direttamente alle scuole per cercare anche i registi”. Infatti, per le competenze tecniche, è accertato che le scuole sono le riserve da cui le grandi società attingono figure come filmmaker, montatori e creatori di effetti speciali.
“Sono tantissime le aziende che ci richiedono tecnici – racconta Andrea Maggiolo, coordinatore del Dipartimento Film e Animazione del Sae Institute di Milano – operatori, ma soprattutto professionisti della postproduzione specializzati in motion graphics, animazione e montaggio. La figura più richiesta poi è quella del filmmaker. Un professionista duttile in grado di destreggiarsi coi linguaggi della pubblicità, del documentario, del cinema, secondo le esigenze”. E proprio perché parlare solo di cinema è ormai riduttivo, tutte le scuole si adattano alla multidisciplinarietà richiesta dal mercato e si orientano verso le nuove tecnologie con derive verso la realtà virtuale e la computer grafica: “Ci teniamo aggiornati su quello che accade nel mercato dell’audiovisivo – spiega Ira Rubini, coordinatrice e docente della Civica Scuola di Cinema Luchino Visconti di Milano – e sperimentiamo molto sulle tecniche innovative, dalla realtà aumentata ai 360° fino al videogioco narrativo, senza trascurare i canonici linguaggi che includono il documentario, il format televisivo e il video giornalismo”.
Per raccogliere le sfide lanciate da gruppi come Amazon e Netflix, realtà contemporanee che stanno scardinando il concetto stesso di produzione e fruizione così come intesa fin ora, tutti gli operatori del settore e i giovani talenti dovranno pensare a internazionalizzarsi. “Il problema più grande dei nostri prodotti – chiarisce Sidney Sibilia – è che la lingua ci isola. Siamo sessanta milioni di abitanti e non tutti vanno al cinema. Diventa necessario aprirsi almeno al mercato europeo, se non a quello internazionale, nella misura in cui i progetti diventano più ambiziosi ed esigono capitali d’investimento più cospicui”.
Costi di formazione, produzione e possibilità del crowfounding
Chazelle, Dolan, Mainetti, Rohrwacher hanno talento, ma hanno anche studiato in scuole molto costose. La Scuola Holden ha una retta di 10000 euro all’anno per due anni, con la possibilità di un prestito d’onore del 60% da restituire entro sette anni dall’erogazione. Il diploma biennale del Sae Institute costa circa 16000 euro, mentre sui corsi quadrimestrali per professionisti si aggira attorno ai 4000. Non prevede borse di studio. A confronto i circa 2500 euro all’anno per tre anni (più 400 di mensa e 900 di deposito cauzionale) del Centro Sperimentale, che però offre borse di studio, sembrano una cifra irrisoria. La più economica tra quelle prese in considerazione, risulta la Civica Scuola di Cinema Luchino Visconti di Milano che si assesta attorno ai 2000 euro all’anno in due rate, secondo ISEE. E se per entrare alle private basta pagare, l’ammissione al Centro Sperimentale e alla Civica avviene tramite selezioni.
Tutti quelli che non intendono avvalersi di studi, ma preferiscono l’esperienza sul campo e la gavetta attraverso i festival partendo dai cortometraggi devono affrontare tutte le spese legate all’autoproduzione e alla promozione. “Per quanto mi riguarda – confessa Matteo Rovere – la più grande difficoltà è stata l’età. In Italia pensare di proporsi come autori, cercare finanziamenti, cercare di scrivere le proprie idee e realizzarle, a 25 anni come a 32, è percepito con diffidenza. In un sistema così gerontocratico un giovane che voglia ottenere qualche risultato deve dimostrare il doppio del suo valore”. E c’è chi come Suranga Katugampala, regista di Per un figlio, decide di bypassare gli ostacoli indebitandosi personalmente pur di dare alla luce la sua storia. “Fare un film è sempre un miracolo – afferma Caterina Carone – In un settore in cui la gavetta sembra un tunnel senza fine e in un’epoca in cui gli esordienti fanno molta fatica, contano molto iniziativa personale, tenacia e fortuna, ma fondamentali sono le idee”.
Agli audaci che tentano questo temerario cammino vengono incontro le nuove tecnologie, sempre più intuitive ed economicamente abbordabili e il crowdfunding. Secondo Pete Maggi “le campagne di finanziamento collettivo in Italia si risolvono con performance di basso profilo se non associate a personalità social trainanti”. Società come Eppela e Cineama tuttavia provano ad emulare il successo delle piattaforme internazionali tipo Indigogo e Kickstarter e magari i millenials impegnati su questo fronte riusciranno ad eguagliarne i risultati.
Networking e intesa creativa
Cris O ‘Falt in un recente articolo su Indiewire sostiene che nel 2017 gli under 40 che hanno avuto riconoscimento sono quelli che hanno fatto networking durante gli anni di formazione, gruppi di ex compagni, ormai professionisti, cresciuti con un linguaggio e una visione comune. Damien Chazelle e Justin Hurwitz, Barry Jenkins con la sua troupe della Florida State University, Matteo Rovere e Sidney Sibilia, Marco Danieli e il direttore della fotografia Emanuele Pasquet, Caterina Carone, Melanie Brugger ed Enrica Gatto (fotografia e montaggio di Fräulein) sono solo una manciata di esempi che dimostrano quanto l’intesa creativa sia determinante per il successo. Questo però a prescindere dall’età.

Federica Polidoro, La Repubblica

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