Totti e la serie tv «Speravo de morì prima»: «ironia e commozione» per l’ultimo anno del campione

«Il pallone è gioco, amore, vita. Vorrei che non finisse mai», dice Pietro Castellitto nei panni (con la maglia) di Francesco Totti. Invece quel momento arriva, ed è quello che racconta Speravo de morì prima, la serie di Sky da venerdì in sei episodi. I 18 mesi del ritorno di Spalletti (Gianmarco Tognazzi, che sul set chiamavano mister): l’allenatore diventerà il primo avversario del capitano della Roma. Una storia che va al di là del giocatore. Un duello epico raccontato con la chiave della commedia. Leggerezza, ironia e toni pop, come dicono nella presentazione avvenuta allo stadio Olimpico i produttori Nicola Maccanico, Mario Gianani e Virginia Valsecchi, che acquistò i diritti dell’autobiografia Un capitano scritta da Totti e Paolo Condò. Il titolo è lo striscione geniale scritto da un tifoso della Roma alla partita dell’addio: gli è stato riconosciuto il copyright. Qui c’è l’uomo prima del calciatore. Pietro non ha cercato somiglianza, «giusto i capelli stirati, il cinema è evocazione e non imitazione». Ma Totti era il suo idolo, da bambino aveva il suo poster in camera, a 9 anni gli dedicò un capitolo del suo diario, scrivendo «Franciesco» con la «i». L’ha conosciuto e ha cercato di «amplificare i miei ricordi, la sua ironia»; è stato colpito dalla sua loquacità, «mi parlava degli inizi, io gli chiedevo delle punizioni tirate a un certo punto di collo esterno, curiosità da tifoso»; ha visto la serie con Greta Scarano che impersona la moglie Ilary Blasi, «è una coppia che si prende in giro, ci ha fatto piacere perché noi siamo andati in quella direzione lì». E Totti ringrazia il giovane attore sulla rampa di lancio, figlio di Sergio Castellitto e Margaret Mazzantini. «Pietro ha cercato di farmi uscire come sono, ho visto cose che non conoscevo del mio carattere». In una scena fa i compiti di matematica col figlio e all’attore ha detto: «Io non saprei fare i calcoli».Perché l’addio di Del Piero, altra bandiera mentre oggi le casacche si cambiano, non è stato altrettanto struggente? «Perché Torino non e Roma e Totti è un archetipo, una personalità unica, così forte perché strafottente in campo». Mamma Fiorella ne intuì il talento e in casa accolse Cassano con le sue cassanate, (l’attore è Gabriel Montesi); lei così presente, tutta cuore e carne, è Monica Guerritore: «Unisci madre e Roma e viene fuori Fiorella»; Giorgio Colangeli è papà Enzo, venuto a mancare in ottobre, ci sono i suoi silenzi, per lui una parola era già abbastanza: «Portava la mortadella agli allenamenti per tutta la squadra». Se Greta Scarano ha vissuto il set «come un dramma shakespeariano», Spalletti è Jago. La minestra riscaldata al secondo mandato nella Roma. Protettivo, «un amico» lo definisce Totti; ma quando torna dopo dieci anni, Totti finisce fuori dal campo, «mi ha cacciato dopo 24 anni, è il gemello str… di quello di prima» dice il numero 10 nel film. Gianmarco Tognazzi è Spalletti: «Io alleno la Roma, non soltanto Totti». In comune la stessa pelata. «Un personaggio controverso — afferma l’attore —, ha ripreso in mano un rapporto dove ci sono stati malintesi e non detti, ma non mi piace l’idea dell’antagonista». Il regista Luca Ribuoli parla di «massimo rispetto di tutti»; sottolinea che è un film che va al di là di una tifoseria (e di una piazza umorale), «mi aspetto ogni reazione perché ogni tifoso farebbe una sua regia»; spiega che la chiave drammaturgica, accanto alla leggerezza ma anche alla fragilità di un asso che vuole vincere il tempo, è «la normalità, la solidità della famiglia» che ha fatto da argine alle pressioni. Le ragazzine lasciavano gli slip col loro cellulare sotto casa di Totti, e i tifosi andavano a rubare lo zerbino nell’androne cercando le orme del loro campione.

Valerio Cappelli, Corriere.it

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