Applausi al festival di Berlino per docu di Peck che sfida Rosi agli Oscar
E ancora nel docu, molto applaudito alla prima stampa, le rivolte dei neri, i pestaggi della polizia e le morti eccellenti. Il regista ha utilizzato infatti gli appunti del libro di James in cui si affrontavano le morti di Medgar Evers, Malcolm X e Martin Luther King Jr.
Musica straordinaria (c’è anche un giovanissimo Bob Dylan che canta Only a Pawn in their Game), ritmo giusto delle sequenze, poca retorica e tanti personaggi, da Marlon Brando a Bob Kennedy fino ad Obama, per raccontare questa brutta storia, ancora aperta. Ovvero della violenza razziale degli anni ’60 ad oggi. E questo senza una tesi di fondo, senza soluzioni da proporre se non quella, appunto, che la storia stessa dell’America del futuro si lega molto al rapporto che questa nazione avrà con la sua comunità di colore. A fare da collante al tutto, la persona stessa di Baldwin, tramite video e immagini dello scrittore, e la lettura delle sue parole contenute nella lettera Remember This House. Tra i capitoli del documentario del regista e attivista politico haitiano Raul Peck, già presentato al festival di Toronto 2016, uno dal titolo ‘Selling the Negro‘, ovvero la cronaca dell’immagine dei neri sui media e al cinema (in genere rappresentato come fedele servitore di un bianco trionfante) e la lenta accettazione della loro cultura nel mainstream.
Tra le immagini del film compare anche, solo per pochi secondi, Donald Trump, ancora non presidente degli Stati Uniti, all’interno di una carrellata di personaggi, politici e non, che esprimono le loro scuse verso qualcosa che hanno detto riguardo al razzismo. Tra le frasi cult di questo documentario che potrebbe dar filo da torcere a Fuocoammare di Gianfranco Rosi, se non altro come simbolico ‘schiaffo’ di Hollywood a una neo presidenza non amata troppo dall’Academy, quella che dice a un certo punto lo stesso Baldwin: “Il negro non è affatto così docile come i bianchi americani vorrebbero che sia”.
Infine, frase cult piena di sfumature, lo stesso titolo, Io non sono il tuo negro: un’affermazione che è anche una non troppo velata minaccia.
ANSA