“Diavoli” la nuova serie tv sulla finanza con Dempsey e Borghi

«Il mondo della finanza come non è stato mai raccontato», dice l’autore del romanzo da cui tutto muove, Guido Maria Brera. Questa è l’ambizione di Diavoli, serie di Sky Studios prodotta da Lux Vide, 10 episodi nella primavera del 2020. Nel libro ci sono banchieri che sono prestigiatori disposti a tutto e usano la paura. Combattono una guerra premendo un pulsante in Borsa. E si combatte in Europa. «Non ci sono buoni e cattivi, non si giudica», dice Alessandro Borghi, che prima della serie non sapeva «nulla di finanza».

Lui interpreta Massimo, umili origini e una carriera folgorante in una banca d’investimenti USA con sede a Londra. Vive in anticipo: oggi è già domani. È il delfino di Dominic, il suo mentore, impersonato da Patrick Dempsey. D’un tratto ognuno dei due si sentirà minacciato dall’altro. Uno scandalo coinvolge l’ex moglie tossicodipendente di Massimo, che finisce poi in una guerra finanziaria internazionale. Dominic non lo sostiene più, l’incarico promesso andrà a un altro, che inaspettatamente si suicida.

È un thriller finanziario ambientato nel 2011 (anno di prima timida ripresa dalla grande crisi economica del 2007 scoppiata a New York). Dicono che ciò che lo distingue da Wall Street e da film analoghi è il lato umano, oltre alla prospettiva europea e non americana. Borghi: «Io sono un ribelle che fa questo mestiere per soldi, ma poi non è più una questione di soldi ma di ego: voglio essere il migliore». Dempsey: «E io un eroe moderno, il Grande Inquisitore di Dostoevskij che in un momento di vuoto di potere della politica diventa un argine rispetto al caos».

Sullo sfondo la crisi della Grecia e quella spaventosa povertà di massa come «uno degli espedienti narrativi», dice Dempsey: «Così come con Grey’s Anatomy ho contribuito a far conoscere la medicina, spero che qui aiuteremo a dare consapevolezza sugli ingranaggi della finanza». Poi c’è Nina, sua moglie raffinata che viene da una famiglia aristocratica polacca e non sono andati lontano a cercarla, è Kasia Smutniak: «Nina è l’unica a conoscere Dominic, la sua più grande amica e nemica». Debolezze, quando getta la maschera del banchiere spregiudicato, ne ha anche Borghi, che ha sniffato il profumo del denaro ispirandosi a La grande scommessa, «il film con Brad Pitt che mi ha fatto capire le dinamiche della finanza».

Brera, 50 anni, fa due mestieri, finanziere e produttore, oltre a essere il marito di Caterina Balivo: «La finanza ha occupato il posto della politica, che ha lasciato fare al libero mercato. Ed è saltato tutto. Qualcuno doveva coprire il debito pubblico. Hanno dovuto abbassare i tassi d’interesse per non farlo pagare ai cittadini. Ma in Europa non abbiamo le risorse degli USA, i piccoli risparmiatori sono stati risucchiati in un sistema regressivo. La finanza ha imposto una Costituzione globale, non votata. Noi raccontiamo un sistema di controllo che agisce sulla vita di tutti i giorni». Il diavolo è il mercato? «Non è una serie contro la finanza, la politica dovrebbe prendersela con sé stessa».

Una volta tante banche bilanciavano i loro interessi con quelli dei clienti, oggi…«Oggi i consumatori dovrebbero essere tutelati dalla pubblica amministrazione — dice Borghi — io a Roma pago tante tasse per ricevere come servizi…». Nick Hurren è coregista (con Jan Michelini): «Il piccolo risparmiatore come pecora da tosare è uno degli aspetti. Le banche, prima percepite come entità in cui avere fiducia, cercano di sfruttare il denaro altrui. Raccontiamo l’enorme potere sul mondo da parte di una piccola popolazione. La finanza contiene tutto il dramma della vita, amore e odio».

Valerio Cappelli, Corriere.it

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