Aurora Ruffino: «Il bello della distanza»

Sopravvissuta a una biografia che annichilerebbe chiunque oggi l’attrice dice di sé: «Sono molto fortunata». Aurora Ruffino, la Cris di «Braccialetti Rossi» ora protagonista de «La mia seconda volta», si racconta. Tra un fidanzato lontano (ma è una fortuna), e la tortura dello shopping

In principio fu la Benedetta innamorata di Questo nostro amore. Poi, la ragazza anoressica di Braccialetti Rossi, Cris. Quindi la sorella di Lorenzo il Magnifico, Bianca, nella serie in costume I Medici.

Se la fragilità è stata in qualche modo il denominatore della sua carriera, almeno finora, altrettanto non si può dire della sua vita. Aurora Ruffino, un aspetto angelico che s’incarna perfettamente in pensieri e parole posati e leggeri, è infatti di tutt’altra tempra.
Sopravvissuta a una biografia che annichilerebbe chiunque – quarta di sei figli, a 5 anni perde la mamma di parto e poi il padre, che abbandona la famiglia lasciandola alle cure di nonni e zia – oggi dice di sé: «Sono molto fortunata».

La fortuna, per lei, è anche fare un mestiere che «può trasmettere un messaggio, stimolare pensieri e riflessioni attraverso le storie». Come quella di Giorgia Benusiglio, ragazza che, nel 1999, a 17 anni, rischiò la vita per avere ingerito una mezza pasticca di ecstasy. «Dentro, i medici ci trovarono tracce di piombo e veleno per topi», racconta l’attrice piemontese, che interpreta un’amica di Giorgia nel film La mia seconda volta.

«Molti sanno che le droghe fanno male», ci dice, «ma pochi sono consapevoli che si può morire anche dopo aver provato una sola volta: a chi vede il film passa subito la voglia di provare».

Lei il rischio lo ha mai accarezzato?
«Ci sono andata vicino, ma la paura di non sapere che cosa sarebbe successo se avessi provato mi ha aiutato. Io poi non ho bisogno di bere o drogarmi per “sballarmi”: sono talmente libera dalle preoccupazioni e dal giudizio degli altri che mi diverto come voglio».

E in genere come vuole?
«Col ballo! Da ragazza entravo in discoteca alle undici di sera e uscivo alle 4 di mattina, senza fermarmi mai. Ballare è un modo per sfogarmi, liberarmi, condividere un momento bello da sola, ma anche con gli altri».

La danza, raffinata evasione, la coltiva sin da piccola?
«A 18 anni ho iniziato a lavorare per pagarmi le lezioni di danza, perché da bambina non ne avevo la disponibilità. Ma la passione l’ho sempre coltivata: anche da sola, in camera, davanti allo specchio».

Danza e recitazione sono state complici nell’esorcizzare il dolore?
«In parte sì, ma è stato soprattutto l’amore della mia famiglia a salvarmi, a farmi cambiare prospettiva sul modo di intendere e accettare le situazioni».

In che modo, mi scusi?
«Nel mio momento di sofferenza mio più grande, intorno ai 15 anni, ho cominciato a pensare che se non fossi riuscita a prendermi cura da sola di me, il sacrificio delle persone che con tanto amore mi avevano cresciuta sarebbe andato distrutto. E non sarebbe stato giusto: “Loro hanno fatto tutto questo per me e io devo diventare una donna forte, felice e responsabile, per loro”, mi ripetevo».

Quello è stato l’inizio della sua seconda volta?
«Sì, anche se poi ce ne sono state altre, di volte, perché le crisi non finiscono mai (sorride). Un altro momento di difficoltà è stato quando mi sono trasferita a Roma, lontana dalla famiglia. Di ritrovarmi sola in casa non mi era successo mai prima: con cinque fratelli, s’immagini, ero sempre circondata da persone, rumori e distrazioni. E le distrazioni spesso ti permettono di sfuggire ai cassetti bui della memoria. La solitudine e il silenzio, invece, mi hanno costretta ad affrontarli e ad accettarli».

Quest’anno le toccherà accettare anche «i trenta», al compleanno manca poco ormai.
«Poco più di un mese. Ma in realtà io la crisi dell’età l’ho già avuta in anticipo, intorno ai 25 anni. Ricordo che un giorno chiamai il mio ragazzo in lacrime: “Sono una donna non più una ragazza!”. Per la prima volta mi ero vestita come una donna, con un tailleur!».

Che poi lei ai vestiti neanche ci pensa.
«Infatti! Lo shopping per me è una tortura, a stare nei negozi mi viene l’orticaria. Io compro i vestiti perché li strappo e li buco non certo perché abbia voglia di comprarli (ride)».

Di anni ne dimostra molti di meno.
«Se all’estero chiedo un bicchiere di vino spesso ancora mi chiedono la carta d’identità. E questo mi fa piacere. Ma c’è anche un lato “brutto” della medaglia: sono troppo giovane per i ruoli da 30enne, e troppo grande per quelli da venti».

In compenso in Braccialetti Rossi si «confondeva» bene.
«Lì erano tutti minorenni e io 25enne! Però mi è andata bene».

Di rivederla nei panni di Cris in una quarta stagione c’è speranza?
«Purtroppo davvero non so niente a riguardo».

Ultima cosa: la Francia ce l’ha ancora nel cuore?
«Certo, e ancora il francese Maxime soprattutto! Dopo quattro anni di storia a distanza vorremmo condividere qualcosa in più, e alla fine credo che io andrò là. Anche se mi sono abituata troppo bene alla solitudine».

A distanza è meglio?
«Un po’ sì, perché insegna che “stare insieme” non vuole dire annullarsi per dedicarsi unicamente all’altro. Questo permette di avere maggior rispetto per se stessi e per l’altra persona, a non avere problemi di gelosia, e anzi a essere contenti se l’altro esce, si diverte. Non c’è l’ossessione dello stare attaccati, insomma. Per questo la consiglio a tutte coppie: state separati, ogni tanto, è una ottima terapia».

Raffaella Serini, Vanity Fair

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